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Rinnovo del contratto del turismo Fipe si avvicina alla disdetta

È ad un punto morto la trattativa sul contratto nazionale del turismo, con la Federazione italiana pubblici esercizi che più delle altre chiede una decisa revisione delle norme, soffrendo della mancanza di flessibilità del contratto nazionale e dei costi elevati che i pubblici esercizi devono sostenere

16 settembre 2013 | 16:55
Rinnovo del contratto del turismo
Fipe si avvicina alla disdetta
Rinnovo del contratto del turismo
Fipe si avvicina alla disdetta

Rinnovo del contratto del turismo Fipe si avvicina alla disdetta

È ad un punto morto la trattativa sul contratto nazionale del turismo, con la Federazione italiana pubblici esercizi che più delle altre chiede una decisa revisione delle norme, soffrendo della mancanza di flessibilità del contratto nazionale e dei costi elevati che i pubblici esercizi devono sostenere

16 settembre 2013 | 16:55
 

Si è incagliarta la trattativa tra sindacati e associazioni di categoria per il rinnovo del contratto nazionale del turismo, ormai scaduto il 30 aprile scorso. Da un lato ci sono le organizzazioni sindacali (Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil), dall’altro Fipe, Federalberghi, Fiavet e Faita, ovvero le associazioni di categoria che sottoscrivono il contratto. Tra queste, la Federazione italiana dei pubblici esercizi (Fipe) è quella che chiede una decisa revisione delle norme, perché soffre della mancanza di flessibilità del contratto nazionale e dei costi elevati che i pubblici esercizi devono sostenere.

Aldo CursanoIl silenzio è rotto da Aldo Cursano (nella foto), vicepresidente vicario nazionale Fipe e presidente Fipe Toscana, che per la prima volta, davanti ai microfoni di Italia a Tavola, prospetta lo scenario di una possibile disdetta del contratto. Una soluzione che, invece, le altre associazioni di categoria non considerano dal momento che per loro sembra prioritario chiudere comunque il contratto nazionale. «Noi chiediamo - ci ha spiegato Cursano - di rivedere il contratto sia da un punto di vista di flessibilità che, soprattutto, di costi del lavoro, perché il problema di fondo oggi è che per dare 1.200 euro di stipendio l'azienda ne paga 2.400: il risultato è che il dipendente è scontento e l'azienda deve comunque sostenere una spesa che molto spesso non è congrua alla produttività».

Si va quindi verso la disdetta? «C'è il rischio che se non si prende atto che la responsabilità delle parti sociali è di rispondere ai bisogni di un mercato, probabilmente questo aspetto viene superato. Quindi o creiamo le condizioni per mantenere l'occupazione in essere e magari svilupparla con incentivazioni intervenendo in modo forte sulle necessità che le imprese mettono sul piatto, diversamente è chiaro che non saremo più interpreti dei bisogni e delle necessità che il mercato ci impone. Richiamo dunque al senso di responsabilità da parte di tutti: se un'impresa chiude abbiamo fallito tutti. La priorità di tutti è quella di creare le condizioni affinché si riesca insieme a superare la crisi e se non si crea uno sviluppo economico sostanziale non ci saranno opportunità per nessuno. Il mio auspicio è quindi ritrovare il ruolo sociale che ci ha sempre caratterizzato nel trovare mediazioni al servizio della collettività».

Certo non è facile fare contrattazione in una fase storica ed economica difficilissima, in cui ogni mediazione deve essere valutata con attenzione soprattutto quando si parla di flessibilità e produttività, temi molto spesso interpretati dalle imprese come sinonimi di tagli lineari al costo del lavoro. Su questo tema vedi l'intervista video con Aldo Cursano.



Inizialmente era condiviso l’obiettivo di rinnovare il contratto entro la naturale scadenza e sono stati enucleati alcuni punti sui quali discutere: governance di settore, bilateralità, mercato del lavoro, flessibilità dell’orario, salario e costo del lavoro, contrattazione di secondo livello, terziarizzazioni e appalti, previdenza e assistenza integrative. Dopo una prima fase di presentazione e scambio di obiettivi, Fipe comunica che non avrebbe erogato l’elemento di garanzia, quella quota di salario “una tantum” prevista nel precedente contratto quale “penalità” per le imprese o i territori che non avevano definito la contrattazione di secondo livello nei tempi previsti dal contratto.

Ad aprile 2013 Federalberghi, Fipe, Fiavet e Faita ritardano di un mese l’erogazione dell’ultima tranche di aumento salariale prevista dal contratto e Fipe, dopo una pausa di riflessione interna, ritorna al tavolo con richieste precise: nessun aumento salariale fino al 2015, l’abolizione degli scatti di anzianità e della quattordicesima per i nuovi assunti e l’indebolimento delle clausole sociali nei cambi di appalto. Da qui la frattura, che porta la Federazione dei pubblici esercizi ad abbandonare il tavolo della trattativa e i sindacati a proclamare lo stato di agitazione e lo sciopero.

Il negoziato prosegue con le restanti federazioni di Confcommercio, anche se si incontrano alcuni ostacoli in larga misura imputabili alla fase del tutto inedita. Confindustria, invece, avanza alcune proposte: congelamento degli scatti di anzianità nell’ottica di addivenire ad una trasformazione dell’istituto; maturazione dei permessi per i nuovi assunti in 4 anni, la contrattualizzazione del lavoro a chiamata senza mai chiarire, seppur sollecitata, l’eventuale legame fra questi interventi; l’aumento della occupazione giovanile e il recupero di produttività.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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