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La crisi cambia i consumi fuori casa Italia terza nella classifica europea

I consumi alimentari fuori casa degli italiani (73 miliardi di euro nel 2012) costituiscono il 35% dell’intera spesa alimentare. La Federazione italiana pubblici esercizi presenta i trend e gli scenari di questo universo

di Daniela Fabro
 
15 ottobre 2013 | 16:45

La crisi cambia i consumi fuori casa Italia terza nella classifica europea

I consumi alimentari fuori casa degli italiani (73 miliardi di euro nel 2012) costituiscono il 35% dell’intera spesa alimentare. La Federazione italiana pubblici esercizi presenta i trend e gli scenari di questo universo

di Daniela Fabro
15 ottobre 2013 | 16:45
 

MILANO - Nel 2012 gli italiani hanno speso 73 miliardi di euro tra bar, ristoranti e take away, pari al 35% dell’intera spesa alimentare. Lo ha reso noto stamattina la Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, aderente a Confcommercio Imprese per l’Italia, nel presentare a Milano la ricerca, a cura del suo ufficio studi, “P.E. 24h la Cas@ fuori casa”, in occasione di Host 2013, in programma a Milano dal 18 al 22 ottobre.

Nonostante la crisi che, dal 2008 a oggi, ha sottratto 15 miliardi di euro al netto dell’inflazione alla spesa alimentare degli italiani per i pasti tra le mura domestiche, e morde anche nel settore dei pubblici esercizi che hanno segnato nel 2012 un -2,5% dei consumi pari al -4,7% del fatturato, l’Italia resta il Paese europeo con la maggiore incidenza dei consumi alimentari extradomestici sul totale della spesa alimentare (35% a fronte di una media europea del 32%).

In termini di spesa pro capite, gli italiani spendono in ristorazione circa 1.200 euro l’anno, il 32% in più dei francesi e il 53% in più dei tedeschi. Valori che pongono l’Italia al terzo posto nella classifica europea dei consumi fuori casa. Il bar rimane il luogo preferito per fare colazione con un totale annuo di 1,5 miliardi di consumazioni (pari a 3,9 miliardi di euro, il 21% del valore complessivo delle vendite del canale). Grazie ai bassi prezzi del caffè (94 cent il prezzo medio dell’espresso, e 1,26 quello del cappuccino).



Meno bene va ai ristoranti, se si considera che il consumo di cibo fuori casa nella pausa pranzo è diminuito: nel 2012 204mila italiani vi hanno rinunciato, a favore del pasto portato da casa e consumato in ufficio, della mensa aziendale o del panino al bar, mentre a 8 milioni di persone capita ogni tanto di consumare un pranzo fuori nei giorni feriali.

Un cambiamento di tendenze si registra anche per la cena, oggi il pasto principale per circa un quarto della popolazione. Ma se a cenare almeno una volta alla settimana fuori casa è quasi il 30%, la scelta si orienta per metà verso la pizzeria, solo per il 25% verso il ristorante e il resto verso le altre occasioni di consumo definite “social”, apericena e quant’altro. Che sono poi, tra “aperitivi ricercati” per i Fashion&Cool drinker, “aperitivo all’italiana, per i radical chic, e “Spritz time” per i social drinker, le occasioni di consumo nelle ore serali preferite dai giovani. Insieme al dopocena che si conferma non solo un momento di divertimento ma anche di valorizzazione degli spazi urbani.

Quanto ai prezzi, la dinamica più recente (agosto 2013 su agosto 2012), vede crescere in misura maggiore quelli di gelato artigianale e aperitivi. Seguiti nell’ordine da snack, gelati confezionati, consumazioni al bar, cornetteria e pasticceria, pasticceria, birra e bevande analcoliche. Mentre nello stesso periodo nella ristorazione crescono di più i prezzi di fast food, seguiti da pizzerie, ristoranti-pizzerie e gastronomie.

Insomma, il settore della ristorazione è ancora un patrimonio importante, anche se nel 2012 ha perso consumi per 1,2 miliardi di euro e nel 2013 si attende un calo di un ulteriore punto percentuale. E nello stesso anno il saldo tra vecchie e nuove aziende è purtroppo negativo di oltre 9mila unità. Ma si tratta pur sempre di oltre 100mila ristoranti e pizzerie e 172mila bar. Senza dimenticare 27mila take-away e migliaia di ristoranti in luoghi non convenzionali (circoli sportivi o culturali) oppure all’interno di alberghi e stabilimenti balneari.

Che danno occupazione (questi dati saranno resi noti nel corso di Host) a molti giovani che non trovano più lavoro nel settore manifatturiero. E che costituiscono un comparto dal valore strategico per la tutela del made in Italy, della vocazione turistica del Paese e delle specificità dei territori. Soprattutto in questi anni che ci separano da Expo 2015, il cui tema è: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Ed è in quest’ottica che Fipe offre servizi di consulenza innovativi come lo sportello online varato l’anno scorso e la nuova collana editoriale di volumi di strategia di impresa, le Bussole, lanciato quest’anno. “Un impegno per promuovere innovazione, professionalità e qualità”, senza i quali non ci sarà ripresa.

Lino Stoppani«Nel 2012 - ha dichiarato il presidente di Fipe, Lino Stoppani (nella foto) - il saldo tra aziende nuove e aziende scomparse è purtroppo negativo con -9.345 aziende. La cosa straordinaria è che, nonostante i tempi difficili, questo settore sta dimostrando comunque una grande vitalità sul piano occupazionale costituendo uno sbocco importante per i giovani e per quanti vengono espulsi dal settore manifatturiero. Purtroppo la politica non sembra capire il valore anche strategico del comparto (valorizzazione del made in Italy, della vocazione turistica del Paese, delle specificità dei territori), e continua ad adottare provvedimenti penalizzanti».

A margine della presentazione il presidente Stoppani è intervenuto anche in merito alla legge di stabilità, commentando la difficile situazione economica: «Oggi il consiglio dei ministri ha al vaglio la legge di stabilità e da questa possono venire notizie buone o cattive per la situazione italiana. Ci auguriamo fortemente che questa volta il Governo sappia privilegiare una vera lotta agli sprechi e ai costi esagerati - sarebbe il caso di dire a questo punto “irresponsabili” - della spesa produttiva. L’auspicio è che si lavori a tagli sostanziali ma intelligenti, quindi no ai tagli lineari. Nella sanità ad esempio sarebbe opportuno lavorare sui costi standard piuttosto che ai super-tagli di cui è girata voce».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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