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Ristorazione, bilancio ancora negativo 9mila imprese chiuse nel 2013

Il comparto italiano dei ristoranti ha chiuso un 2013 in negativo. La struttura dei costi sempre più onerosa ha ridotto produttività e margini. I ristoranti tradizionali stanno soffrendo molto più dei take away. La Lombardia conta il maggior numero di società (15,4%), seguita dal Lazio (10,7%) e dalla Campania (9,3%)

04 aprile 2014 | 12:01
Ristorazione, bilancio ancora negativo 
9mila imprese chiuse nel 2013
Ristorazione, bilancio ancora negativo 
9mila imprese chiuse nel 2013

Ristorazione, bilancio ancora negativo 9mila imprese chiuse nel 2013

Il comparto italiano dei ristoranti ha chiuso un 2013 in negativo. La struttura dei costi sempre più onerosa ha ridotto produttività e margini. I ristoranti tradizionali stanno soffrendo molto più dei take away. La Lombardia conta il maggior numero di società (15,4%), seguita dal Lazio (10,7%) e dalla Campania (9,3%)

04 aprile 2014 | 12:01
 

La situazione nel comparto dei ristoranti sta andando purtroppo ancora male anche se in maniera meno invasiva. La differenza fra le nuove aperture e le chiusure registra ancora una volta un numero preceduto dal segno meno, ma di minore consistenza rispetto a quello dell’anno precedente. È quanto risulta dal rapporto stilato dal centro studi Fipe-Confcommercio su dati provenienti dagli archivi del registro delle imprese gestiti dalle Camere di Commercio.

A livello complessivo il 2013 è stato per le imprese che offrono un servizio di ristorazione un anno ancora negativo sul fronte della movimentazione. Alla fine dei conti sono venute a mancare sul mercato oltre 9mila realtà. Il rapporto presenta una fotografia dettagliata del settore. Il numero delle imprese è 315.665, ripartito in 148.164 bar (46,9%), 164.519 ristoranti (52,1%) e 2.982 (0,9%) mense e catering.



La Lombardia è la regione che conta il maggior numero di società (15,4%) seguita dal Lazio (10,7%) e Campania (9,3%). Per quanto riguarda la forma giuridica, la ditta individuale rappresenta il 51,1% del settore; il 35% opera come società di persone, mentre la quota di società di capitale è del 12,9%. Se quest’ultima ripartizione si analizza anche dal punto di vista territoriale, la regione dove prevale il maggior numero di ditte individuali è la Calabria, mentre l’ultima è la Toscana.

Eppure è proprio la Calabria ad avere però la percentuale più bassa di società di persone (18%) contro il 49,6% della Valle d’Aosta. Infine, il Lazio, con il 27,55% di società di capitale insediate, è in testa alla classifica alla cui coda si trova il Trentino (5,7%). Altre peculiarità si trovano parimenti nell’analisi dei singoli comparti. Il bar, che presenta una forte correlazione con la popolazione residente, ha visto restringere la concorrenza di circa 4.295 unità.

La maggioranza delle realtà è costituito come ditta individuale (53,2%), contro il 36,2% delle società di persone e il 9,5% delle società di capitale. Analoga situazione la si ritrova nei ristoranti il cui numero continua a essere superiore a quello dei bar, perché nel primo caso si può disporre di maggiori gradi di libertà commerciale.

Qui va registrata una curiosità nell’andamento differente fra la ristorazione tradizionale (servizio al tavolo) e il take away. Nel primo caso il saldo tra aperture e chiusure è di -3.068 imprese; nel secondo è di -593 imprese. Nella formula tradizionale, sembra essere andata meglio solo a Cremona e Piacenza dove il mercato si è ampliato rispettivamente di 5 e 6 ristoranti. Sebbene siano numerose le province in cui le aperture superano le chiusure, anche se per poche unità, Milano e Napoli si presentano come casi emblematici.

Nel capoluogo lombardo, la concorrenza si estesa con 21 nuove attività per il take away, ma si è ridotta di 8 ristoranti tradizionali. Variazioni ancora più indicative si registrano nel capoluogo campano dove al saldo di +15 punti ristoro da asporto fa da contraltare il saldo negativo di 69 ristoranti dove si mangia solo se ci si siede.

«Che la crisi porti i consumatori a privilegiare offerte più economiche - commenta il presidente di Fipe-Confcommercio, Lino Stoppani - non basta a spiegare perché i ristoranti tradizionali stiano soffrendo molto più dei take away. Ci sono altre ragioni, come la struttura dei costi sempre più onerosa che ha ridotto produttività e margini, liberalizzazioni sbagliate che stanno dequalificando il settore, stili di vita che hanno cambiato il rapporto con il cibo, nuovi adempimenti, anche di natura fiscale e tributaria, che hanno penalizzato soprattutto i ristoranti tradizionali, a partire dall’Imu e dalla Tares o Tari che sia».

Infine, il comparto mense e catering che si presenta decisamente più strutturato: a una maggioranza relativa (36,8%) di società di capitali, si contrappone una buona fetta (30%) di ditte individuali. Le imprese sono nella maggior parte dei casi di grandi dimensioni e il mercato è regolato soprattutto dal sistema delle gare d’appalto. Dal punto di vista territoriale, invece, le realtà sono aggregate per lo più in Lombardia, Lazio e Campania. Questa concentrazione potrebbe essere in relazione con la presenza degli scali aeroportuali nei quali si svolge il servizio di catering aereo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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