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Birra sempre più protagonista in tavola Consumi nel fuori casa in crescita

Il settore della birra è in fermento: tra consumi in crescita e nuove modalità di impiego (soprattutto in cucina, dove sempre più viene utilizzata come ingrediente), la spumeggiante bevanda è destinata ad un futuro roseo. Tra microbirrifici, brewpub e beerfirm, nel Belpaese oggi si calcola che esistano in attività circa 650 aziende

di Marta Scarlatti
21 aprile 2014 | 13:00
Birra sempre più protagonista in tavola 
Consumi nel fuori casa in crescita
Birra sempre più protagonista in tavola 
Consumi nel fuori casa in crescita

Birra sempre più protagonista in tavola Consumi nel fuori casa in crescita

Il settore della birra è in fermento: tra consumi in crescita e nuove modalità di impiego (soprattutto in cucina, dove sempre più viene utilizzata come ingrediente), la spumeggiante bevanda è destinata ad un futuro roseo. Tra microbirrifici, brewpub e beerfirm, nel Belpaese oggi si calcola che esistano in attività circa 650 aziende

di Marta Scarlatti
21 aprile 2014 | 13:00
 

Che quello della birra, all’interno del complessivo panorama del food&beverage in Italia, sia uno dei segmenti più vibranti negli ultimi anni pensiamo ci sia poco da discutere. Per quanto consumi pro capite e produzione nazionale non abbiano messo a segno vistosi passi in avanti (nel 2012 i consumi pro capite si sono attestati sui 29,5 litri - contro i 37,5 circa del vino - e la produzione nazionale complessiva sui 13,5 milioni di ettolitri circa - dati Assobirra), è l’immagine percepita della birra ad aver avuto dei veri e propri stravolgimenti.



Finalmente dopo decenni di “bionde” e “more” sembra proprio che gli italiani si siano accorti dell’incredibile ricchezza e diversificazione che si trova all’interno della cornucopia mondiale birraria. Una cornucopia dove si trovano birre di bassa fermentazione di scuola tedesca o ceca, di alta fermentazione della favolosa tradizione belga, ma anche di quella inglese e americana, e di fermentazione spontanea come l’ostico ma affascinante universo che ruota attorno al lambic. A fare da volano a questo nuovo interesse, che si declina in centinaia di eventi a tema, dai festival alle serate di degustazione organizzate in tutta Italia, ci hanno pensato in buona parte i birrifici artigianali tricolori spuntati come funghi alla metà degli Anni Novanta che, da fenomeno per “iniziati”, si sono trasformati in vera e propria moda capace d’invadere non solo il canale naturale per la birra, i pub e le pizzerie, ma anche interessare il più ampio mondo della ristorazione e della sommellerie.

Tra microbirrifici, brewpub e beerfirm nel Belpaese oggi si calcola che esistano in attività circa 650 aziende. Un numero stratosferico se si pensa che, agli albori della storia, i “pionieri” si potevano contare sulle dita di due mani. È un numero corrispondente ai volumi di mercato? Certamente no, ma questo è uno scotto da pagare alla moda.

Approfondimento:

Il primo obiettivo di AssoBirra
è far conoscere tipologie e stili
Tuttavia non è questo ora l’oggetto del nostro racconto. Vogliamo piuttosto sottolineare il ruolo “sdoganante” che ha avuto la birra artigianale italiana e mettere in luce come, su quest’onda montante, si siano risvegliate anche tutte quelle aziende, da molto più tempo sul mercato, che sembravano un po’ “addormentate” o nella semplice fornitura di birra lager o nella selezione di birre speciali destinate esclusivamente ai pub più birrariamente evoluti. Non è un caso infatti che, sempre secondo i dati forniti da Assobirra, l’associazione di riferimento per la categoria, sono proprio le “specialità” a crescere maggiormente in un mercato abbastanza statico. Specialità che raccolgono non solo le birre artigianali italiane, ma anche le weizen tedesche, le blanche belghe, le ipa americane o inglesi e tutte quelle nuove birre che stanno entrando con successo sul mercato italiano.

Da un lato infatti, in questi anni, il movimento artigianale ha dato vita a un interesse verso quella che potremmo definire, genericamente, la “cultura birraria”, dall’altro la consapevolezza che dietro le birre c’è molto di più che una schiuma bianca, un colore dorato e un vago sapore amarognolo ha solleticato la curiosità di categorie professionali che, la birra, la consideravano solo come un’estrema e spesso biasimevole alternativa alla maestà del vino, alla sua storia e alle sue mille declinazioni organolettiche.



Una cultura... che conquista anche i grandi chef
Da un lato, in questi anni, il movimento artigianale ha dato vita a un interesse verso quella che potremmo definire, genericamente, la “cultura birraria”, dall’altro la consapevolezza che dietro le birre c’è molto di più che una schiuma bianca, un colore dorato e un vago sapore amarognolo ha solleticato la curiosità di categorie professionali che, la birra, la consideravano solo come un’estrema e spesso biasimevole alternativa alla maestà del vino, alla sua storia e alle sue mille declinazioni organolettiche.

Approfondimento:

Vuoi usare le birre? Devi conoscerle!
Esperimenti in cucina con Garofalo
Ora invece sono sempre più numerosi gli chef e i sommelier che aprono le porte del ristorante o della cantina alle birre. Nomi famosi come Moreno Cedroni, Ilario Vinciguerra, Lucio Pompili, Marco Stabile, Claudio Sadler e Marco Bistarelli guidano una schiera sempre più nutrita di protagonisti della gastronomia tricolore che studia le birre, le sceglie per profumi, sapori e possibilità di abbinamento, ne apprezza il design che in molti casi non sfigura nemmeno sul tovagliato più elegante. È spesso un avvicinamento volontario, dettato come abbiamo detto da una maggiore cultura birraria e da un’offerta più attraente rispetto al passato, tuttavia non si può non mettere in risalto un dato anagrafico che s’intuisce conoscendo l’età media degli chef che hanno scelto di “abbracciare” la causa della birra al ristorante.

Molti di questi chef infatti, oggi tra i quaranta e i cinquanta, erano dei ventenni negli Anni Ottanta ovvero quando in Italia cominciò ad affermarsi per la prima volta il prototipo del locale birrario come luogo d’incontro serale per teenager. In quei primi locali non si bevevano solo le lager italiane chiare o ambrate, ma soprattutto le prime specialità importate dal Belgio. Birre ad esempio come la trappista Chimay, dal nome evocativo e dal profilo organolettico anni luce distante da una tradizionale lager. Questi locali sono stati il “banco di scuola” di una generazione, che al tempo ovviamente non se ne rendeva conto, e tra quei banchi di scuola è nata la prima sensazione che il mondo delle birre potesse essere molto più ricco e interessante di quello conosciuto dai genitori. La maggiore facilità a viaggiare in Europa, conoscendo modalità di consumo delle birre assai più popolari e diffuse che da noi, hanno poi fatto il resto.

Moda o fenomeno destinato a durare?
Ecco dunque, tornando al presente, spiegata la situazione attuale. Dove non solo si assiste a una vera e propria fiammata d’interesse da parte della ristorazione verso le birre, ma anche e di contrappasso a una fiammata d’interesse da parte delle aziende birrarie verso la ristorazione.

Gli esempi non mancano: le sponsorizzazioni birrarie a congressi di cucina d’autore come Identità Golose e a diverse guide ai ristoranti, le sempre più numerose collaborazioni tra birrerie e chef, i libri di ricette con la birra (ebbene sì, pure con la birra come ingrediente)…

Approfondimento:

Per la birra un futuro certo in cucina
Parola di Lorenzo “Kuaska” Dabove
È una moda o un fenomeno destinato a durare? Propendiamo per la seconda ipotesi e per alcuni buoni motivi. In primo luogo è dimostrato, e lo potete leggere anche nelle interviste pubblicate in queste pagine “birrose” di Italia a Tavola, che le birre si abbinano magnificamente alla cucina, anche a quella tradizionale italiana; in secondo luogo, ampliare l’offerta nel proprio ristorante introducendo una carta delle birre è segno di lungimiranza, di completa padronanza del proprio ruolo di ristoratore e di comprensione di un mercato, quello birrario, che è cambiato per sempre. Infine, le politiche di controllo sull’eccesso del consumo di alcol e l’inscalfibile rinuncia tutta italiana a “portare a casa” la bottiglia di vino non terminata al ristorante, fanno sì che le birre godano di un vantaggio dato dalla loro, solitamente, minore gradazione alcolica. Il che potrebbe pure sembrare poco ma non lo è.

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