Per la Distilleria Fratelli Brunello di Montegalda è stata una doccia fredda, come per i colleghi Schiavo di Costabissara e Capovilla di Rosà, tutti del Vicentino, la recente multa comminata dagli ispettori del dipartimento repressione frodi alimentari, per aver distillato il “Clinto”, un vitigno che non compare nel registro nazionale delle uve coltivabili.
In effetti vendere il vino Clinto è vietato già dagli anni Trenta (legge 23 marzo 1931 n° 376) a causa dell’arricchimento di alcol metilico che può causare danni al sistema nervoso (se bevuto in abbondanza e per lungo tempo). Tuttavia non c’erano mai stati problemi per la vendita di prodotti correlati come quelli oggi “colpevoli”, tra i quali il distillato di uva Clinto “Met” della distilleria Fratelli Brunello.
Come riporta Il Giornale di Vicenza, alle tre distillerie sono stati comminati rispettivamente 200 euro di multa per aver prodotto il tradizionale distillato con uve non incluse nell’elenco di quelle coltivabili. I produttori non si aspettavano questa sanzione, alquanto improvvisa e soprattutto inaspettata. La levata di scudi in difesa di un’antica ed amata tradizione locale è stata immediata, con migliaia di firme raccolte.
Per saperne di più abbiamo intervistato i Fratelli Brunello (nella foto, da sinistra: Paolo, Stefano e Giovanni), che spiegano come stanno le cose e quali sono i prossimi passi.
Com’è nata l’idea di distillare l’uva Clinto?
Già dalla fine degli anni Ottanta, per festeggiare i 150 anni di attività della Distilleria c’era l’idea di proporre al pubblico una novità assoluta: una nuova linea di distillati di uva e di frutta. E l’occasione è stata quella di riscoprire i vitigni autoctoni: cominciammo con il Cruajo, vitigno a bacca rossa, quasi scomparsa dal panorama vitivinicolo, tanto raro che solo alcuni viticoltori della Pedemontana vicentina, tra i quali Firmino Miotti, grande cultore dei vitigni rari, la coltivavano. Dal Cruajo al Fragolino, dal Noah al Clinto il passaggio è stato breve.
Quindi il vostro distillato di Clinto non è un prodotto nuovo?
Il nostro non è una grappa ma un distillato di uva Clinto, e lo produciamo da quasi cinque lustri. Si chiama Met, come la “bevanda divina” della mitologia scandinava: secondo la leggenda il “Met” era il nettare magico che instillava saggezza divina a chi lo beveva e Odino proprio per questo lo rubò.
Un nettare che da oggi sarà proibito...
Dopo trent’anni o quasi di onorata storia, questo distillato diventa oggetto di una diatriba incomprensibile. Noi crediamo che i problemi del nostro settore siano ben altri e che questa sia l’ennesima trovata per mortificare chi crede nella valorizzazione del proprio territorio e delle proprie tradizioni. Questa è l’ennesima stoccata a chi si sacrifica per portare avanti la credibilità di un mestiere antico di una piccola azienda. Nel nostro caso della più antica distilleria artigianale d’Italia.
Come pensate di salvaguardarvi per il futuro?
Intanto è importante non far passare questa notizia sotto tono: grazie a Marco Schiavo siamo riusciti a farne parlare sui principali mass media. Ora il prossimo obiettivo è quello di rendere il vitigno Clinto utilizzabile per la produzione di acquaviti.
In che modo?
Inserendo il Clinto nell’apposito registro ministeriale; e per questo i distillatori “colpevoli” chiedono fortemente l’appoggio e la sensibilità delle autorità preposte affinché veda presto una felice conclusione e non l’ennesima occasione persa di salvaguardare il territorio e le sue tradizioni.
In fondo in fondo... come diceva l’autorevole enologo Tullio de Rosa: «Perché privarci di un buon calice di un raro Clinto, quando per intossicarci dovremmo berne almeno un ettolitro al giorno?».