Come al solito. Siamo in Italia, e poiché si spera sempre in un rinvio delle scadenze sgradite - anche per l’entrata in vigore delle norme europee sulle
nuove etichette per i prodotti alimentari (note da oltre 3 anni) - non ci siamo fatti mancare le inevitabili proteste degli operatori. Stavolta le lamentele più forti vengono in particolare dai
ristoratori, a cui tocca di indicare l’eventuale presenza di
allergeni in ogni piatto. Un adempimento un po’ pesante, in verità, ma che rappresenta un atto di assoluta civiltà e buonsenso nei confronti degli oltre 2,5 milioni di italiani che soffrono di allergie o intolleranze. E non ci riferiamo solo al disturbo di cui oggi si parla di più, la celiachia.
Non che non siano giustificate le recriminazioni, anzi. Quel che stona, ci si consenta, è il ritardo con cui arrivano, nonché il bersaglio sbagliato. Il problema, a nostro avviso, non è tanto, o non solo, l’aggravio di tempo e di costi per indicare la presenza o meno della dozzina di ingredienti che potrebbero nuocere alla salute del cliente (e arrecare danni alla gestione). Il punto vero è che si rischia di scaricare su chi somministra i pasti mancanze (o truffe) dei produttori disonesti.
Fra taroccamenti di prodotti, sofisticazioni o imbrogli sulle date di scadenza, il calendario dei sequestri operati in Italia è fra i più ricchi al mondo. È inevitabile che qualche prodotto non in regola giunga anche nelle cucine all’insaputa dei gestori. E come se non bastasse la norma sulle etichette non obbliga più a indicare la sede fisica dove è stato prodotto l’alimento. Facendo di fatto saltare il principio base di quella tracciabilità che dovrebbe essere la regina di ogni sicurezza alimentare.
Quel che manca, e che i ristoratori dovrebbero pretendere con forza, è una legge con sanzioni pesantissime (a partire dalla chiusura delle aziende) per chi compie reati in campo alimentare. Citiamo un caso semplice. È ridicolo che si sia imposto ai ristoratori di essere garanti della qualità dell’olio extravergine di oliva (che magari possono comprare dal frantoio di fiducia) attraverso bottiglie con il
tappo antirabbocco. Ma se l’olio in quelle bottiglie è contraffatto, la pena per il produttore è minima, mentre al ristoratore resterebbe il danno di immagine e magari la responsabilità di avere fatto stare male un cliente.
Quel che manca è una logica, se non forse quella di volere sempre scaricare sugli
operatori dell’Horeca finti controlli o responsabilità finali. Quasi che non fosse loro interesse primario tutelare la salute dei clienti. Un po’ come quando si dà sempre la responsabilità a barman o baristi se i giovani si ubriacano nei fine settimana... Per il momento, anche in attesa delle solite circolari interpretative del Ministero (possibile che le leggi non siano mai chiare?) teniamoci menu sempre più lunghi e con elenchi che indicano la presenza di soia, lattosio, cereali contenenti glutine, uova, noci, arachidi, pesce, crostacei, molluschi, sedano, lupino, sesamo, senape e solfiti.