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L'Occidente teme la violenza ma è forte e può combatterla

Negli ultimi mesi l'Occidente è stato pesantemente minacciato dalla violenza e dal terrorismo in Medio Oriente e non solo; ma l'Unione europea grazie ai suoi princìpi non soccombe e può diventare sempre più forte

 
22 dicembre 2014 | 17:05

L'Occidente teme la violenza ma è forte e può combatterla

Negli ultimi mesi l'Occidente è stato pesantemente minacciato dalla violenza e dal terrorismo in Medio Oriente e non solo; ma l'Unione europea grazie ai suoi princìpi non soccombe e può diventare sempre più forte

22 dicembre 2014 | 17:05
 

A pochi giorni dal 31 dicembre si è soliti “tirare le somme” dell’anno che sta per concludersi; il 2014 è stato un anno ricchissimo di avvenimenti, alcuni ci hanno incuriosito, altri spaventato, altri ancora seppur minori ci hanno rassicurato. Ricorderemo il 2014 per la diffusione del virus Ebola anche in Europa, per la promessa di Matteo Renzi al Vinitaly di fare crescere entro il 2020 l’export agroalimentare italiano del 50%, per l’embargo della Russia, per il terrore seminato dai miliziani dell’Isis e per molti altri episodi della stessa rilevanza.



Dalle parole di Beppe Severgnini, editorialista del Corriere della Sera, che denuncia la violenza in Medio Oriente e non solo, si intravede un barlume di speranza: l’Occidente teme questa violenza, ma i valori di cui si fa promotrice l’Unione europea, come la pace, la sicurezza e l’integrità sono più forti e possono avere la meglio in questa lotta spietata al terrore e al terrorismo. Riportiamo integralmente l'articolo di Beppe Severgnini dal titolo “L’Occidente ha paura ma non sta perdendo”, tratto da il Corriere della Sera.


Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan. C’è qualcosa di demoniaco nelle notizie che arrivano in questi giorni. Esecuzioni di reclute, sgozzamenti di ostaggi, stragi di donne, rapimenti, esecuzioni di massa in una scuola. I nuovi Erode, sotto Natale, non riposano. La cleptocrazia di Vladimir Putin, appesantita dalle sanzioni e dal crollo del prezzo del petrolio, tenta di riesumare la Grande Russia e reagisce attaccando in Ucraina, dopo averlo fatto in Crimea. Mosca corteggia e finanzia la destra populista e xenofoba occidentale, sperando di minare dall’interno l’Unione Europea.

A Parigi, a Budapest e a Milano, purtroppo, qualcuno gli dà spazio. Per aggiungere farsa al dramma, nella lontana Pyongyang un anacronistico dittatore s’imbizzarrisce per un film di Hollywood che lo deride, e ordina attacchi informatici contro la Sony, produttrice dell’opera. È dovuto intervenire il presidente Obama, che forse ha cose più importanti cui pensare. Da tempo, un anno non si chiudeva con questa combinazione di orrore e pazzia. E il mondo libero non sa cosa fare. Osserva, inorridisce, condanna, preoccupato soprattutto di evitare il contagio. L’impotenza e l’angoscia delle democrazie di fronte alla confusione planetaria non deve farci di perdere di vista un fatto, tuttavia. Il nostro modello attira ancora. E Internet - particolare non secondario - contribuisce a diffonderlo come mai era accaduto in passato.

La violenza spasmodica cui assistiamo dimostra che i boia ci temono. Temono la concorrenza della pace, del benessere, dell’istruzione, della tolleranza, del rispetto per le donne. I talebani hanno dimostrato d’essere nemici spietati, ma costruttori modesti. Lo Stato che hanno raffazzonato in Afghanistan, quando hanno avuto il potere, s’è rivelato un incubo disorganizzato, in coda a qualsiasi classifica internazionale. I tagliagole neri dell’Isis sono ridotti a imprigionare e giustiziare le reclute straniere che provano a scapparsene via, dopo aver capito a chi e a cosa avevano affidato le loro istanze di riscossa. I cinque martiri adolescenti che hanno preferito morire, vicino Bagdad, piuttosto che abiurare la fede cristiana, sono più forti dei loro assassini.

Vincere è drammatico, faticoso e lento. Soprattutto quando si prova a farlo con le idee, perché le armi - s’è visto - non bastano, e in qualche caso rischiano di essere controproducenti. Siamo superficiali, pigri e imperfetti, nelle democrazie. Lo spettacolo che stiamo fornendo è desolante. L’Unione Europea, che tanti meriti ha collezionato, oggi è prigioniera della ragnatela di regole che s’è creata, e esaspera i suoi cittadini. Gli Stati uniti d’America alternano voce grossa e piccoli gesti, incapaci - per esempio - di sbloccare la situazione tra Israele e Palestina, che mesi fa ha portato ancora tragedie. Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone pensano soprattutto a convivere con la Cina, ed è un lavoro a tempo pieno. Eppure il mondo ci riconosce che, per adesso, non s’è inventato niente di meglio della democrazia e del mercato.

Lo rivela il flusso crescente di emigrati verso Toronto e Sydney. Lo provano milioni di famiglie che sperano in un permesso di soggiorno negli Usa. Lo riconoscono gli ucraini, opponendosi alla corrente che li stava riportando a est. L’hanno dimostrato, per tutto l’anno, i migranti che rischiano la vita in mare per un pasto, un letto, un ospedale, una strada in cui non bisogna tremare di paura davanti a un poliziotto. Di queste cose dovremmo essere orgogliosi, ma purtroppo ce ne dimentichiamo. La memoria, dentro la paura, sbiadisce. No, forse non stiamo vincendo. Ma i nostri avversari ci temono, ed è questo che conta. Erode grida e gronda sangue. Siamo costretti a guardarlo, ipnotizzati. Ma ha già perso. Stiamo calmi e restiamo uniti, il resto verrà.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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