Quotidiano di enogastronomia, turismo, ristorazione e accoglienza
mercoledì 24 aprile 2024  | aggiornato alle 18:48 | 104795 articoli pubblicati

Agromafie, il fenomeno non si arresta Affari per 21,8 miliardi, +30% sul 2015

Il rapporto #Agromafie2017 rivela che la malavita organizzata si annida sempre di più lungo tutta la filiera del cibo con introiti in crescita e danni ai produttori “puliti” e al Made in Italy sempre più ingenti. Gli arresti delle forze dell’ordine sono stati numerosi negli ultimi tempi con nomi anche di rilievo finiti in manette

14 marzo 2017 | 10:15
Agromafie, il fenomeno non si arresta 
Affari per 21,8 miliardi, +30% sul 2015
Agromafie, il fenomeno non si arresta 
Affari per 21,8 miliardi, +30% sul 2015

Agromafie, il fenomeno non si arresta Affari per 21,8 miliardi, +30% sul 2015

Il rapporto #Agromafie2017 rivela che la malavita organizzata si annida sempre di più lungo tutta la filiera del cibo con introiti in crescita e danni ai produttori “puliti” e al Made in Italy sempre più ingenti. Gli arresti delle forze dell’ordine sono stati numerosi negli ultimi tempi con nomi anche di rilievo finiti in manette

14 marzo 2017 | 10:15
 

L’agromafia non si placa, anzi galoppa sempre di più. A dirlo è quinto rapporto #Agromafie2017 elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare che evidenzia come il volume d'affari complessivo annuale dell'agromafia è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% nell’ultimo anno. La preoccupazione si accentua ancora un po’ se si considera che la stima effettuata è, quasi certamente, approssimativa per difetto, perché restano inevitabilmente fuori i proventi derivanti da operazioni condotte “estero su estero” dalle organizzazioni criminali.

Agromafie, il fenomeno non si arresta Affari per 21,8 miliardi,  30% sul 2015

E poi gli investimenti effettuati in diverse parti del mondo, le attività speculative poste in essere attraverso la creazione di fondi di investimento operanti nelle diverse piazze finanziarie, il trasferimento formalmente legale di fondi attraverso i money transfer in collaborazione con fiduciarie anonime e la cosiddetta banca di “tramitazione”, che veicola il denaro verso la sua destinazione finale.

La filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita è un ottimo viatico per i “motori” delle agromafie che si possono travestire da imprenditori, produttori e farla franca sfruttando al meglio i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza 3.0. Sul fronte della filiera agroalimentare le mafie, dopo aver ceduto in appalto ai manovali l’onere di organizzare e gestire il caporalato e altre numerose forme di sfruttamento, condizionano il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e la creazione ex novo di reti di smercio al minuto.

Nel 2016 si è registrata un’impennata di fenomeni criminali che colpiscono e indeboliscono il settore agricolo nostrano dove quasi quotidianamente ci sono furti di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, gasolio, rame, prodotti (dai limoni alle nocciole, dall’olio al vino) e animali con un ritorno prepotente dell’abigeato. Non si tratta più soltanto di “ladri di polli” quanto di veri criminali che organizzano raid capaci di mettere in ginocchio un’azienda, specie se di dimensioni medie o piccole, con furti di interi carichi di olio o frutta, depositi di vino o altri prodotti come file di alveari, intere mandrie o trattori caricati su rimorchi di grandi dimensioni.

Agromafie, il fenomeno non si arresta Affari per 21,8 miliardi,  30% sul 2015

(foto: blogsicilia.it)

A questi reati contro l’agricoltura, secondo il rapporto Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, si affiancano racket, usura, danneggiamento, pascolo abusivo, estorsione nelle campagne mentre nelle città, silenziosamente, i tradizionali fruttivendoli e i nostri fiorai sono quasi completamente scomparsi, sostituiti i primi da egiziani e i secondi da indiani e pakistani che, pur sapendo proferire a stento poche frasi compiute in italiano, controllano ormai gran parte delle rivendite attive sul territorio.

Si direbbe un vero miracolo all’italiana, affiancato però dal dubbio che tanta efficacia organizzativa possa anche essere, spesso, il prodotto di una recente vocazione mafiosa per il marketing. I poteri criminali si “annidano” nel percorso che frutta e verdura devono compiere per raggiungere le tavole degli italiani, e che vede uno snodo essenziale in alcuni grandi mercati di scambio per arrivare alla grande distribuzione. Tra tutti i settori “agromafiosi” quello della ristorazione è forse il comparto più tradizionale e immediatamente percepito come tipico del fenomeno. In alcuni casi sono le stesse mafie a possedere addirittura franchising e dunque catene di ristoranti in varie città d’Italia e anche all’estero, forti dei capitali assicurati dai traffici illeciti collaterali.

Il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5mila locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città. Attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde, assicurandosi così la possibilità di sopravvivere anche agli incerti andamenti del mercato e alle congiunture economiche sfavorevoli, ma anche di contare su un vantaggio rispetto alla concorrenza con la disponibilità di liquidità e la possibilità di espandere gli affari sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.

E i malaffaristi che lucrano su questo mercato illecito non sono certo dilettanti, ma nomi grossi della malavita organizzata. Dalle infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di Sandokan del clan dei Casalesi e al controllo del commercio della carne da parte della ‘ndrangheta e di quello ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina.

Agromafie, il fenomeno non si arresta Affari per 21,8 miliardi,  30% sul 2015

«Le agromafie vanno contrastate nei terreni agricoli, nelle segrete stanze in cui si determinano in prezzi, nell’opacità della burocrazia, nella fase della distribuzione di prodotti che percorrono centinaia e migliaia di chilometri prima di giungere al consumatore finale, ma soprattutto con la trasparenza e l’informazione dei cittadini che devono poter conoscere la storia del prodotto che arriva nel piatto», ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che «per l’alimentare occorre vigilare sul sottocosto e sui cibi low cost dietro i quali spesso si nascondono ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi se non l’illegalità o lo sfruttamento». A fronte di tutto ciò le forze dell’ordine fanno quel che possono intervenendo in modo sempre più intenso per intercettare questa “filiera sporca” del cibo.

Nel febbraio scorso i carabinieri del Ros hanno smascherato le attività criminali in Calabria della cosca di ‘ndrangheta Piromalli che controllava la produzione e le esportazioni di arance, mandarini e limoni verso gli Stati Uniti, oltre a quelle di olio attraverso una rete di società e cooperative. Nello stesso mese ancora gli uomini dell’Arma hanno confiscato 4 società siciliane operanti nel settore dell'olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello. Attraverso la gestione occulta di oleifici e aziende, intestate a prestanome, il boss era in grado di monopolizzare il remunerativo mercato olivicolo. Sempre agli inizi di febbraio i carabinieri hanno arrestato Walter Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco "Sandokan" Schiavone.

L’accusa è di imporre la fornitura di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe a distributori casertani e campani, ma anche in altre parti d'Italia, come in Calabria. A novembre 2016 è la Dia a mettere a segno il sequestro dei beni di un imprenditore dei trasporti siciliano considerato lo snodo degli affari che il clan dei Casalesi conduce assieme al fratello di Totò Riina, Gaetano, per monopolizzare il trasporto di frutta e verdura da Roma in giù, grazie anche al controllo del grande mercato di Fondi, nell'agro-pontino.

A giugno la Guardia di Finanza mette a segno un blitz contro il clan camorristico Lo Russo. La cosca aveva il monopolio della distribuzione di pane e l'imposizione del prezzo di vendita, a grossi supermercati, a botteghe e agli ambulanti domenicali della zona. Non c’è pace neppure nel centro della capitale dove a maggio 2016 i carabinieri sequestrano beni per 80 milioni di euro tra i quali bar, ristoranti, pizzerie a quattro imprenditori, ritenuti coinvolti in traffici gestiti dalla camorra napoletana. Tutti i locali si trovano nel “salotto buono” di Roma, dalla zona di piazza Navona a quelle cosiddette “bene”. Pochi giorni prima, ad aprile le fiamme gialle sequestrano beni per 33 milioni alla cosca di 'ndrangheta Labate. L’organizzazione criminale aveva il controllo del settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio della carne.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
Voglio ricevere le newsletter settimanali


Cattel
Molino Spadoni
Molino Dallagiovanna
Union Camere

Cattel
Molino Spadoni

Molino Dallagiovanna
Fratelli Castellan