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Ombre sul futuro della birra artigianale Rischio tsunami per il mercato italiano

Mentre si prova ad assorbire lo shock provocato dall’acquisizione da parte del colosso ABInbev di Birra del Borgo, il segmento artigianalbirrario italiano sembra essere attraversato da fremiti di preoccupazione. L'offerta è superiore, non solo ai consumi italiani ma anche alla capacità distributiva degli intermediari

di Marta Scarlatti
10 luglio 2016 | 10:06
Ombre sul futuro della birra artigianale 
Rischio tsunami per il mercato italiano
Ombre sul futuro della birra artigianale 
Rischio tsunami per il mercato italiano

Ombre sul futuro della birra artigianale Rischio tsunami per il mercato italiano

Mentre si prova ad assorbire lo shock provocato dall’acquisizione da parte del colosso ABInbev di Birra del Borgo, il segmento artigianalbirrario italiano sembra essere attraversato da fremiti di preoccupazione. L'offerta è superiore, non solo ai consumi italiani ma anche alla capacità distributiva degli intermediari

di Marta Scarlatti
10 luglio 2016 | 10:06
 

E così è andata. Birra del Borgo, forse il secondo, per dimensioni, produttore di birra artigianale italiano ha abbandonato la compagine irredentista dei piccoli birrifici artigianali ed è passato sulla sponda delle multinazionali. Un po’ come se Luke Skywalker avesse deciso che suo padre, il bieco Darth Fener, non fosse poi un tipo così male e che, in effetti, governare insieme la galassia poteva essere un gran bella idea.

La scossa di terremoto non poteva passare inosservata e, agli osservatori esterni, oggi appare chiaro che tra i birrifici artigianali tricolori l’atmosfera non sia più tanto serena. Ma non è solo la questione Birra del Borgo, che certamente da oggi in poi scalerà le marce dell’espansione sia in termini di volumi che di capacità di penetrazione sul mercato. La preoccupazione che si respira deriva dall’aver realizzato quanto la vera competizione per i piccoli non sia quella con le astronavi ABInbev, Heineken o Carlsberg, quanto piuttosto quella con altri piccoli.

Inutile girarci intorno. In Italia ci sono troppi birrifici artigianali, e troppe beerfirm. La cifra, dati più o meno verificati e verificabili, si aggira attorno al migliaio. E a questo esercito si devono aggiungere tutti i piccoli e medi birrifici che, dagli Stati Uniti al Belgio, dall’Olanda alla Danimarca, provano a giocare le loro carte nel mercato italiano. L’offerta di artigianali, pseudoartigianali, artigianali wannabe è decisamente, enormemente superiore, non solo ai consumi italiani ma anche alla capacità distributiva degli intermediari e perfino alle possibilità dei locali birrari, ancora oggi, per la gran parte vincolati a contratti con pochi fornitori.

Più che di sana e agguerrita competizione il gioco rischia di assomigliare sempre di più a una gigantesca royal rumble (termine mutuato dal wrestling che suona un po’ come il vecchio “tutti contro tutti”) dove i piccoli sgomitano disperatamente per farsi conoscere, con tecniche molto basic come tempeste di mail o addirittura l’antico porta a porta, dagli esercenti, publican, ristoratori ed enotecari.

Quello dei locali è il vero “collo di bottiglia” del mercato della birra in Italia, un secondo “collo” è determinato dal fatto che, anche dopo dieci anni di presunta moda artigianalbirraria, lo stile di vita birrario dell’italiano medio non si è modificato poi molto. Ovvero, anche l’italiano abituale frequentatore di pub e birrerie difficilmente supera la quota di due boccali a sera, la birra in Italia la si beve soprattutto d’estate e se quest’ultima butta male, beh, butta male anche per la birra, la deriva “degustatoria” e gourmet mutuata per certi versi dal mondo del vino ha prodotto effetti nocivi creando una certa opinione che vede gli adepti del mondo artigianale come una setta un po’ snob e un po’ fannullona.



I festival, va detto, continuano a tenere botta anzi si moltiplicano a vista d’occhio. Ma perché rappresentano il primario, a volte l’unico, canale di vendita delle birre artigianali. I birrifici lo sanno. E lo sanno pure gli organizzatori dei festival, che hanno solo l’imbarazzo della scelta. Ma la sensazione è che in molti di questi festival giri più o meno sempre la stessa gente. Quanto potrà durare? Quanto questo canale di vendita potrà sostenere lo sviluppo dei birrifici artigianali italiani?

Certo, qualcuno, tra i più accorti e i meglio organizzati, sta correndo al riparo. C’è chi apre locali all’estero (Birrificio del Ducato, Birrificio Hibu), chi in Italia (Birrificio Baladin), chi tenta di esportare a più non posso e chi di guadagnare le quote lasciate sul terreno da Birra del Borgo, esclusa dal circuito dei “duri e puri” per via del suo abbraccio con ABInbev.

È il tentativo di salire in montagna perché si sentono le sirene che annunciano l’arrivo dello tsunami. Non tutti ci riusciranno e il periodo che ci troviamo a fronteggiare non sarà piacevole da vivere. Tuttavia, se lo tsunami è a nostro avviso ormai inevitabile, si possono fare delle mosse per cercare di arginarne gli effetti. O per scampare ad essi. Una di queste è il cosiddetto “branding” ovvero la costruzione di un proprio marchio che permetta di sfuggire al mare magnum della birra artigianale ormai un coacervo di nomi noti e totalmente sconosciuti, di veri e falsi artigiani, di produttori e di meri etichettatori. Ma il branding lo si fa investendo uomini e risorse, spendendo e spendendosi in comunicazione e marketing. Tecniche poco impiegate, a volte guardate con sufficienza dai nostri e a volte con malcelato disprezzo, ma che all’estero costituiscono una delle basi dell’attività imprenditoriale dedicata alla birra. Al pari della qualità delle materie prime, della costanza qualitativa, dell’originalità di certe produzioni.

Lo capiranno i birrifici artigianali sparsi nella Penisola ormai come le macchie su un cane dalmata? Bella domanda, alla quale non è semplice dare una risposta. Qualcuno però sta cominciando a muoversi, in modo non eclatante, un po’ sottocoperta, ma qualcosa ha iniziato a vibrare nel magma in ebollizione della birra artigianale italiana. Questa vibrazione può essere decisiva. Per quel qualcuno.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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