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Ristoratori e tassisti, solo una riforma potrà frenare la concorrenza sleale

Se gli home restaurant sono i concorrenti sleali dei ristoratori professionisti, Uber lo è per i tassisti. È necessario che le associazioni di categoria attuino una riforma che stabilisca una regolamentazione univoca. La mancanza di una normativa non può che danneggiare dei settori importanti come food e turismo

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
04 luglio 2015 | 09:13
Ristoratori e tassisti, solo una riforma 
potrà frenare la concorrenza sleale
Ristoratori e tassisti, solo una riforma 
potrà frenare la concorrenza sleale

Ristoratori e tassisti, solo una riforma potrà frenare la concorrenza sleale

Se gli home restaurant sono i concorrenti sleali dei ristoratori professionisti, Uber lo è per i tassisti. È necessario che le associazioni di categoria attuino una riforma che stabilisca una regolamentazione univoca. La mancanza di una normativa non può che danneggiare dei settori importanti come food e turismo

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
04 luglio 2015 | 09:13
 

La sentenza di qualche settimana fa di un giudice di Milano, che in qualche maniera ha dato ragione alle istanze dei tassisti contro la multinazionale Uber, continua a far discutere. Il motivo del contendere è facile da capire. Da un lato i tassisti con le motivazioni classiche di una categoria che si batte per una posizione dominante sul mercato, molto unita e molto ascoltata (ma anche il settore dei taxi affronta le difficoltà del momento: tariffe decise da altri, costi enormi delle licenze, con la conseguenza che i giovani tassisti sono super indebitati, tasse in linea con il Paese, cioè elevatissime...), dall’altro lato Uber, una multinazionale americana con sede a San Francisco, fondata nel 2010 da Travis Kalanick e Garrett Camp, ormai presente in 290 città di 58 Paesi del mondo.



Cosa propone Uber? Un servizio di trasporto privato attraverso una applicazione software mobile (App) che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. Non solo, Uber propone anche un'altra possibilità, UberPop, un servizio taxi, ma senza licenza, che attraverso la stessa app, permette di concordare passaggi tra privati. Il pagamento di entrambi i servizi si effettua solo attraverso carta di credito tra il cliente e Uber stesso. Il costo del servizio varia tra opzioni di auto diverse, dal suv alla berlina, dalla super elegante alla multipla. E già da qui si comincia a intravedere la diversità dei servizi offerti. Ma quello che ha fatto andare su tutte le furie i tassisti è la concorrenza sleale, denunciata in quanto pur facendo lo stesso mestiere Uber e i suoi operatori non debbono sopportare le regole commerciali e fiscali del mondo dei tassisti.

A questo punto ci si chiederà: cosa c’entrano Uber e i taxi con la ristorazione? Evidentemente c’è una ventata nuova, che sfiora una protesta fiscale. L’effetto sleale di Uber nella ristorazione e in ogni caso nel settore del turismo, hanno già diverse sfaccettature, alcune classiche di vecchio stampo, come le feste di piazza, sagre, circoli privati. Ma oggi le nuove concorrenze si chiamano in un inglese dominante “jobs act”, e si tratta di home restaurant, bed & breakfast, street food... tutte attività che in qualche maniera si occupano di somministrazione alimentare o di ospitalità. Basti pensare ai tanti agriturismi più o meno fasulli, che cercano di aggirare l’apoteosi di norme, regole e fisco che oltre 300mila attività chiamati, appunto, commercianti devono sopportare nel nostro Paese. Per esempio le regole e le norme sanitarie, comprese le ultime sulle allergie, continuano a riempire di carte i tanti operatori della ristorazione e non solo.

Patentini vari, dall’ex Rec, all’ex libretto sanitario, dai corsi sulla sicurezza sia alimentare sia dei rischi, dalle norme antincendio alle ultime sulle ludopatie. Un contratto unico al mondo per costi, 13ª e 14ª mensilità, il Tfr, Inail, Inps, Irap e un mese di ferie, oltre ai tanti costi extra, Natale, Pasqua e festività varie. Un settore dove oltre 10 enti possono controllare che le norme siano applicate, spesso con interpretazioni differenti da ente a ente. Tutto ciò in un Paese dove il fisco si prende oltre il 50% dei ricavi.

Cosa sta succedendo? La gente, presa da disoccupazione, licenziamenti, cassa integrazione, cerca nuovi sbocchi, nuovi imprenditori che in massa sperano in nuovi mestieri che in realtà ricalcano i vecchi mestieri in molti casi in fallimento, in realtà cercano di aggirare le regole di cui sopra, di un paese che nonostante le liberalizzazioni è un paese asfissiante. Ed ecco appunto i servizi di Uber e gli home restaurant, con gente che cucina in casa, apparentemente senza regole e controlli e sicuramente senza ricevute fiscali.



Certo sappiamo della “storiella” del limite dei ricavi di 5mila euro annui, e sappiamo anche che il ministero dell’Economia si è pronunciato a tal riguardo, ribadendo, che a fronte di attività similari le regole debbono essere identiche, concetto ripreso dal presidente Carlo Sangalli qualche settimana fa all’assemblea di Confcommercio a Milano, concetto che lo stesso ministro Guidi, presente all’evento ha confermato. Ma, appunto, tutto continua alla stessa maniera, solo la comunicazione sui social è leggermente diminuita, ma le attività continuano in sordina. Sui b&b sembra che gli albergatori si stiano muovendo, ma nel frattempo nuovi concorrenti sono pronti all’orizzonte, tipo la somministrazione all’interno delle macellerie o delle pescherie.

Situazioni conflittuali in una apparente guerra tra poveri, tutti alla ricerca di nuovi guadagni e soprattutto di meno tasse, da intendere non come evasione fiscale ma con una marginalità che permetta di vivere. Il nostro pensiero lo abbiamo già espresso molte volte, sottolineando come la mancanza di regole o di scelte politiche non possono che danneggiare un settore importante del nostro paese come il food e il turismo. Ma in realtà ed è questa la novità, c’è un errore di valutazione.

Incapaci come siamo di ribellarci a uno Stato che ha permesso in questi anni una perdita dell’8 % del Pil, con un debito che aumenta, con tasse ormai fuori controllo, con migliaia di commercianti che hanno chiuso, con banche inesistenti, con un Imu aumentata per i negozi del 130 % con un turismo che perde posizioni ogni anno, ecco che la reazione dei tassisti, dei ristoratori, degli albergatori attraverso i propri sindacati, delude, perché invece di protestare contro un siffatto Stato e contro una classe politica incapace di serie e vere riforme, protestano contro chi in qualche maniera cerca di non fallire attraverso “nuove” forme di aggregazioni d’impresa.

In tanti cercano di aggirare i problemi “inventandosi” un nuovo mestiere. La verità è che si dovrebbe fare pressione sulle associazioni di categoria e sui sindacati degli imprenditori perché, ad alta voce, si cominci una seria e vera riforma del commercio e dell’artigianato, regole identiche per tutti per mestieri identici. È arrivato il momento che le varie categorie, investano in partecipazione, che chi ha delle proposte le renda visibili, anche laddove sembra non ci sia ascolto. Bisogna spazzare via la solitudine dell’imprenditore. Parlando di ristorazione, bisogna che, finita l’euforia dell’Expo, l’impresa/ristorazione torni al centro del dibattito del cibo, non più come effetto spettacolo ma come speranza di un nuovo futuro per noi e per le nuove generazioni.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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