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Resistenza insulinica, la diagnosi precoce contrasta lo sviluppo del diabete tipo 2

La resistenza insulinica predispone alla intolleranza glucidica e con essa allo sviluppo del diabete tipo 2; la diagnosi precoce permette di attuare un programma nutrizionale capace di contrastare lo sviluppo del diabete

di Giuseppe Di Fede
 
21 febbraio 2015 | 14:46

Resistenza insulinica, la diagnosi precoce contrasta lo sviluppo del diabete tipo 2

La resistenza insulinica predispone alla intolleranza glucidica e con essa allo sviluppo del diabete tipo 2; la diagnosi precoce permette di attuare un programma nutrizionale capace di contrastare lo sviluppo del diabete

di Giuseppe Di Fede
21 febbraio 2015 | 14:46
 

La resistenza insulinica può essere definita come una condizione nella quale una concentrazione data di insulina produce meno effetti di quanto normalmente accade. Epidemiologicamente è un fenomeno rilevante con una prevalenza stimata del 3% della popolazione statunitense e variabile tra il 3 e il 16% della popolazione occidentale. La minore prevalenza si registra nella popolazione giapponese dove si attesta al 2% circa.



Secondo le stime dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) a causa del progressivo incremento della vita media e dell’incremento demografico nei Paesi sottosviluppati la prevalenza mondiale di questa patologia è destinata a modificarsi significativamente soprattutto nella fascia di popolazione tra 45 e 64 anni dove potrebbe arrivare a raddoppiare entro il 2030.
Nella fascia di popolazione oltre i 65 anni vista l’aspettativa di vita media della donna superiore a quella dell’uomo ci si potrebbe aspettare una maggiore prevalenza nel sesso femminile.

Cerchiamo di entrare un po’ di più nel dettaglio. Gli ultimi studi scientifici hanno chiarito sempre più l’importanza del tessuto adiposo, a tal punto da considerarlo come un vero e proprio organo. Sicuramente nella definizione di questo nuovo termine, hanno giocato un ruolo fondamentale la presenza di ormoni di diverso tipo, leptina adiponectina e resistina su tutti, e di molecole infiammatorie come l’interleuchina 6, IL 6, e la il Tumor necrosis factor a, TNFa. Inoltre, queste molecole hanno delle importanti connessioni tra loro, soprattutto nella segnalazione dei messaggi, in grado di attivare una fitta rete.

Quando gli adipociti aumentano di volume, si inizia a parlare di ipertrofia adipocitaria. Il fenomeno non è solo rilevante dal punto di vista dell’aumento ponderale, ma anche e soprattutto dalle conseguenze nascoste che tutte le molecole prima citate possono instaurare. L’aumento del volume degli adipociti può generare un aumento medio delle distanze tra i capillari, causando ipossia, ovvero carenza di ossigeno ai tessuti.

Questa carenza di ossigeno, necessaria per la sopravvivenza degli adipociti, innesca un processo di trascrizione del gene Hifa. L’obiettivo è quello di pareggiare l’apporto di ossigeno, cercando di compensare la richiesta dell’organismo. Il risultato però è un processo generale di infiammazione, che conduce ad un aumento costante della percentuale di grasso. L’amplificazione del segnale di infiammazione è il punto chiave del processo. Intervenire, moderando questo fenomeno, dal punto di vista nutrizionale è fondamentale.

È importante ricordare, infatti, che tra i principali eventi correlati ai sopracitati fenomeni infiammatori, si assiste anche ad una notevole alterazione dei lipidi ematici e ad un aumento dello stress ossidativo, fattori che, combinati, possono portare ad una aumentata perossidazione lipidica (degenerazione delle cellule grasse) con relativi effetti nocivi, sia a livello vascolare che a livello tissutale. Si assiste inoltre ad un ulteriore incremento dello stato infiammatorio generale.



La resistenza insulinica predispone alla intolleranza glucidica (zuccheri) e con essa allo sviluppo della sindrome metabolica e del diabete tipo 2 con le complicanze che ne conseguono. La resistenza insulinica sembra essere implicata oltre che nelle alterazioni del metabolismo glucidico in un concomitante incremento dei trigliceridi e una diminuzione del colesterolo HDL e in particolare la predisposizione genetica, aumenta il rapporto trigliceridi / HDL (colesterolo buono).

La diagnosi precoce di tipo genetico, permette di attuare un programma nutrizionale adeguato con particolare attenzione al tipo di alimenti che influenzano l’espressione del gene mutato e quindi escludendoli o limitandoli dall’alimentazione. Un programma alimentare personalizzato, in base al risultato del test, riduce fino ad abbattere la possibilità di sviluppo di diabete di tipo 2. L’attività fisica moderata, deve essere costante e mantenuta per tutta la vita. Il test è disponibile presso l’Istituto di Medicina Biologica di Milano.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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