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Piccole aziende del vino crescono Il segreto? Investire in nuove competenze!

Da piccola azienda vinicola a multinazionale tascabile. Un cambiamento possibile se l'azienda punta sui cosiddetti fattori di innovazione, come la comunicazione, la rete e le relazioni con l'estero

di Vincenzo D’Antonio
 
24 novembre 2015 | 09:54

Piccole aziende del vino crescono Il segreto? Investire in nuove competenze!

Da piccola azienda vinicola a multinazionale tascabile. Un cambiamento possibile se l'azienda punta sui cosiddetti fattori di innovazione, come la comunicazione, la rete e le relazioni con l'estero

di Vincenzo D’Antonio
24 novembre 2015 | 09:54
 

Produrre e vendere andando oltre i paradigmi consolidati di un'economia industriale che odora di vetero. L'obsolescenza è cagionata dal dirompente aprirsi dei mercati, dalla compresenza di sole tre grandi valute (dollaro, euro, yen) per i flussi commerciali, ancilllari essendo le altre, dal fortissimo incremento dello shipping veloce e della delivery puntuale, da una tecnologia innervata su Internet. Ne consegue che esportare o non esportare, spaziare sui mercati esteri oppure razzolare sul mercato interno non è più (solo) funzione della grandezza "fatturato", bensì è funzione di quanto "open" sia il "mind set" dell'imprenditore vitivinicolo.



Il sociologo Aldo Bonomi coniò la definizione di "multinazionale tascabile" ad intendere quelle aziende che ben lungi da essere giganti nel loro settore, sapendo accortamente lavorare di qualità di prodotto e di corretto posizionamento, hanno acquisito scioltezza nel vendere all'estero (producendo vero made in Italy), dal mercato estero conseguendo utili il cui reinvestimento in ricerca&sviluppo e in continui adeguamenti strutturali (formazione tra essi) ha poi innescato il volano virtuoso della crescita costante. Ecco, oggi la definizione di "multinazionale tascabile" bene si addice anche alle piccole e medie cantine quelle che, giusto per delineare un cut-off, stanno al di sotto della soglia delle 500mila bottiglie annue (ma comunque nell'ordine di grandezza del centinaio di migliaia).

Multinazionale, ovvero cuore e cervello nella sede centrale, sovente così bella, così piacevole e interessante da visitare (torneremo su questo aspetto) e duttili gangli virtualmente ubicati ovunque. Se la produzione è guidata da flussi più o meno pacatemente obbligati: l'attenzione al vigneto, la vendemmia, l'attenzione al vino, affinamento e imbottigliamento, è tutto l'insieme delle fasi a valle del processo produttivo che deve giovarsi dei suddetti fattori di innovazione. La comunicazione. Si tratta di andare ben oltre la pubblicità (rèclame, che parola desueta!) e si tratta di stabilire reticoli magliati di comunicazione a due vie.

Si può farlo, praticamente, soltanto utilizzando la rete e, in essa, i social media. Ma, attenzione, si tratta di saperlo fare. A quale produttore di vino verrebbe in mente di produrre vino senza avere in casa competenze certe erogate da enologo? Ecco, e a quanti produttori, invece, non ancora viene in mente che è meglio non comunicare che comunicare male? Ma siccome non comunicare significa finire tutti i match zero a zero (comunicare male significa sconfitta) e con una collezione di pareggi mai nulla si vince, allora si tratta in tutta evidenza, di acquisire in casa le competenze di chi sa relazionarsi nella community. Skills non da poco. Recruiting reso ancora più problematico a causa della folta presenza di soggetti autoreferenziali.

Ad ogni modo: si deve e si può. Tanti film, capolavori della letteratura russa e non solo, piece teatrali, anche canzonette, a descrivere nelle mille sfumature la figura dell'impiegato: colletto bianco, mezzemaniche, inchiostro e calamaio. Rideremmo oggi di costui se ancora figura attuale fosse? Sì, ma dovremmo preoccuparci dell'assenza del "relation manager", della professionalità di coloro i quali, figli del XXI secolo e digital native, si pongono a presidio di un dashboard attraverso il quale condurre l'azienda a fare business nel mercato globale. È elogio della professionalità spiccata, è dileggio garbato della presunzione del "so fare tutto io".

La vendita. Le due macrocategorie: il b2b, il b2c, b2b: globetrotter con campionario e bottiglie appresso? Perchè no, s'ha da fare e mantiene valida efficacia se alla base funziona razionale discernimento. Ma occhio al b2c. Retropasso. La cantina bella, degna di essere visitata. La visita in azienda di small groups, l'ospitalità che cessa di essere improvvisazione e diviene fase importante di relazione in fieri e di primo step di vendita. Insomma, i prodromi dell'enoturismo. Si diceva: visita al vigneto (forse), in cantina (certamente), degustazione guidata, atmosfera giusta. L'enoturista, 8 volte su 10, compra. Ma "quanto" compra? Nella gran parte dei casi, in funzione della capability del... bagaglio!

E ciò si traduce, nel caso degli spostamenti in aereo, in piccolissimi numeri. Si parla tanto, ed è corretto così, di e-commerce e poco attentamente si valuta che è costola dell'e-commerce ciò che viene denominato e-logistics, ovvero quanto, da tecnologia abilitato, rende economica e veloce la delivery delle bottiglie di vino alla porta del consumatore piuttosto che alla piattaforma di un qualsivoglia attore dell'intermediazione. Ciò è b2c! Stiamo affermando che il b2c soppianta il b2b? No, non lo stiamo dicendo. Ma stiamo dicendo che il trend si è innescato e che il fenomeno va sia osservato che praticato, all'uopo opportunamente attrezzandosi. Un b2c accortamente attuato può provocare un fatto straordinario e benefico.

Sì, esso può provocare (ad invarianza di volumi, ovviamente) un decremento del fatturato (oddio, che brutta notizia) e nel contempo un incremento degli utili (questa sì che è una bella notizia). Nella realtà, rompendo la gabbia del tutto didascalica dell'invarianza dei volumi, nel medio periodo accade che aumentano i volumi, aumenta il fatturato ed ancor più aumenta l'utile.
Piccola azienda vitivinicola che diviene multinazionale tascabile? Sì, si può! Condizione indispensabile? Sapere e volere investire in nuove competenze, nuove professionalità atte a saper sfruttare le potenzialità di business insite nelle nuove tecnologie della conoscenza (una volta si diceva "tecnologia dell'informazione"). Ecco la commutazione. Da IT che sta per Information Technology a KT che sta per Knowledge Technology. Non un semplice cambio di acronimo, ma molto altro! Ed il comparto vitivinicolo italiano, a latente rischio di "slittamento in periferia" ha da cogliere questo challenge!

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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