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Il paradosso dei vini dolci Non seguono il trend della pasticceria

Nonostante il successo mediatico della pasticceria, tra tv, guide e libri, il vino dolce non ha grande diffusione, pur costituendo l’abbinamento ideale. Molte produzioni nostrane meriterebbero più considerazione

di Guido Ricciarelli
 
19 febbraio 2015 | 12:18

Il paradosso dei vini dolci Non seguono il trend della pasticceria

Nonostante il successo mediatico della pasticceria, tra tv, guide e libri, il vino dolce non ha grande diffusione, pur costituendo l’abbinamento ideale. Molte produzioni nostrane meriterebbero più considerazione

di Guido Ricciarelli
19 febbraio 2015 | 12:18
 

Per una delle frequenti contraddizioni che caratterizzano il “Made in Italy del gusto”, al momento d’oro della nostra pasticceria, testimoniato dal successo di nuovi format televisivi, guide e libri tematici, non pare corrispondere altrettanta auge per i vini dolci, che pur ne costituiscono l’ideale abbinamento. La proposta televisiva tende ad esaltare la creatività del pastry-chef di turno, mentre i nuovi testi non si discostano molto dal classico cliché “classifiche/ricettari”. Poco spazio per i bicchieri quando l’offerta, al contrario, non è mai stata così valida e nutrita.

La spending review ha dato un colpo deciso alle attitudini dell’appassionato medio di vino, che preferisce concentrare il suo budget di spesa su una sola bottiglia da “tutto pasto” o sul calice in accompagnamento al piatto unico. E non vanno trascurati i sussulti di sobrietà che ci assalgono al momento del dessert, con spazio crescente per rigeneranti tisane digestive. In molti ristoranti stellati si vendono ormai più infusi che vin santi, e il bicchiere da meditazione deve da sempre dividersi il mercato dell’“ultimo sorso” con i distillati (peraltro in ripresa).



Sembra davvero difficile lasciare a formaggi blu, biscotteria e cioccolato il compito di sostenere i consumi di passiti & co. quando questi cibi, ai massimi livelli, vengono oggi elevati al rango di “splendidi solitari”. Vi è però da dire che di fronte alla straordinarietà di certi nettari l’aspetto della fruizione passa decisamente in secondo piano e per la stappatura dei 5 vini che seguono ogni scusa è buona.

Inizio con il Tal Luc 2010 di Lis Neris, da uve Verduzzo Friulano (95%) e Riesling (5%) sottoposte ad appassimento ed elevate in barriques. C’è davvero da perdersi nelle infinite analogie di agrumi canditi, confettura di pesca, balsami, vaniglia. Bocca felpata, la cui densità viene sollevata e allungata dal discreto rilievo acido.

Ci spostiamo a Termeno con l’Alto Adige Gewürtztraminer Vendemmia Tardiva Roen 2012 della Cantina Tramin, la cooperativa locale. Il “kellermeister” Willi Sturz, sommo interprete della cultivar, ne ha messo in rilievo rimandi di petalo di rosa, marmellata di arancia amara, ananas sciroppato. Palato di viscosa dolcezza eppur teso, profondo, tonico.

Il Passito di Corzano 2001 della toscana Corzano e Paterno propone riconoscimenti classici da vin santo (del resto deriva da uve Trebbiano e Malvasia) con analogie di caramella d’orzo, frutta secca (fichi) e tartufo. Bocca di ampiezza smisurata eppur impressionante per nerbo ed articolazione.

L’Orvieto Classico Muffa Nobile Calcaia 2010 di Barberani si fa interprete delle nebbie autunnali che avvolgono la zona del lago di Corbara attaccando gli acini con la Botrytis Cinerea. Per un succo di armoniosa morbidezza, polposo e avvolgente, mirabile intreccio di frutto e spezie, irresistibile nelle note di zafferano che ne punteggiano la lunghissima chiusura.

Autentico “must” il Moscato Passito di Pantelleria Ben Ryé 2012 di Donnafugata, ambasciatore con le sue 80mila bottiglie della Sicilia più nobile e solare. Bevibilissimo a dispetto della concentrazione, cangiante nelle sue sfumature mediterranee di dattero, albicocca, gelsomino e miele. Gioia pura.

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