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I vini italiani piacciono nel Regno Unito Valore 2017 da 763 milioni di euro

 
26 febbraio 2018 | 11:42

I vini italiani piacciono nel Regno Unito Valore 2017 da 763 milioni di euro

26 febbraio 2018 | 11:42
 

Sudditi della Regina, della birra e negli ultimi anni anche del vino. Meglio se italiano. Nel Regno Unito si è registrata un’impennata nella vendita di bollicine italiane e affini stando al rapporto Ice.

A illustrare i dati il direttore della sede londinese dell'Italian Trade Agency, Roberto Luongo. Per il vino made in Italy il Regno Unito è il terzo sbocco mondiale, il secondo su scala europea, dopo Usa e Germania con un valore annuo indicato per il 2017 a 763 milioni di euro.

(I vini italiani piacciono nel Regno Unito Valore 2017 da 763 milioni di euro)

In termini quantitativi, la Penisola ha superato tra i fornitori del Regno persino la Francia, con oltre 303 milioni di tonnellate di prodotto esportate nel 2017 contro gli oltre 221 milioni australiani, i 189 circa francesi, i 135 spagnoli e i 111 milioni circa provenienti dai vigneti statunitensi.

In fatto di valore Parigi resta in testa con ricavi pari nello stesso 2017 a 881 milioni di sterline contro i 628 dell'Italia, i 256 della Nuova Zelanda, i 243 dell'Australia o i 238 della Spagna. Ma anche sotto questo profilo la forbice si è enormemente ridotta, se si considera che nel 2013 i vini francesi esportati oltreManica pesavano per un miliardo e 125 milioni di sterline e quelli italiani per 534 milioni.
 
In tutto questo c’è una cornice ancor più rosea fatta di un interesse in piena ascesa sull'isola per la cucina italiana e mediterranea, come ricorda l'Ice. E di “più frequenti periodi di svago nei Paesi di tradizione vitivinicola che hanno contribuito a modificare gli stili di vita di una parte significativa della popolazione”. Senza lasciarsi trasportare dal fenomeno “Brexit”, ancora tutta da interpretare, la situazione è sicuramente favorevole e deve portare i produttori italiani a guardare sempre di più nel Regno Unito sia per target popolari che per l’alta ristorazione.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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