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I vescovi: non sarà Pasqua chiusa La Chiesa non è un luogo

«No alle polemiche. Nella prova prevale il bene comune». Il presidente della Cei, Bassetti risponde a Salvini che voleva «le Messe con il popolo». Per i Vescovi non si possono far correre pericoli.

 
07 aprile 2020 | 18:59

I vescovi: non sarà Pasqua chiusa La Chiesa non è un luogo

«No alle polemiche. Nella prova prevale il bene comune». Il presidente della Cei, Bassetti risponde a Salvini che voleva «le Messe con il popolo». Per i Vescovi non si possono far correre pericoli.

07 aprile 2020 | 18:59
 

«Non è tempo di polemiche, ma di perseveranza nella prova, di lungimiranza nella ricerca del bene comune». Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, taglia corto sull’(inutile) discussione “chiese aperte: sì o no” per Pasqua che la politica (Matteo Salvini) ha sollevato e che alcune frange “tradizionaliste” alimentano sulle reti sociali. In realtà le chiese restano aperte. Lo fa attraverso il quotidiano dei Vescovi italiani L'Avvenire con un intervento che qui riportiamo e in cui sono considerate anche le posizioni di altri acardinali.

I vescovi: non sarà Pasqua chiusa La Chiesa non è un luogo

A porte chiuse - è la posizione della Cei- si svolgono solo le celebrazioni: comprese quelle del cuore dell’Anno liturgico. Voci solitarie gridano allo scandalo. Qualche sacerdote oltranzista presiede Messe “clandestine” con gruppi di fedeli che magari raduna via chat cambiando gli orari all’ultimo momento, trasgredendo non solo ai divieti del Governo ma soprattutto alle disposizioni del proprio vescovo in una sorta di anarchia ecclesiale. «È tempo di responsabilità e si vedrà chi ne è capace – aaveva spiegato sempre  Bassetti dalle colonne del Corriere della Sera – La Chiesa italiana ha scelto questa strada: abbiamo a cuore prima di tutto la salute dei fedeli, perché l’anima è sì immortale, ma abita un corpo fragile. Cerchiamo di essere a fianco di chi soffre; nessuno deve essere lasciato solo, perché, come ricorda papa Francesco, nessuno si salva da solo». Il cardinale parla di una Settimana Santa segnata dalla «grande sofferenza per tutti». Però aggiunge: «Dov’è la nostra fede? Nella Parola o in un luogo? Tutti noi oggi viviamo nella condizione degli infermi che non possono partecipare alle celebrazioni: ci è data la grazia di comprendere quanto sia dolorosa la limitazione».

E sulla scelta della Cei di accogliere le indicazioni dell’Esecutivo chiarisce: «La Chiesa non rinuncia ad alcuna autonomia. Più che soffiare sulla paura, più che attardarci sui distinguo, più che puntare i riflettori sulle limitazioni e sui divieti, la domanda forse dovrebbe essere un’altra: ci sentiamo ancora parte di una comunità che, nelle ristrettezze, vive nella comunione, oppure stiamo ossessivamente rivendicando un’altra idea di Chiesa?». È la stessa posizione illustrata ad Avvenire nei giorni scorsi dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente dei vescovi europei (Ccee): nessuna arrendevolezza dietro la decisione di celebrare senza i fedeli. «L’arrendevolezza è alla situazione concreta, ai rischi gravi di salute e di vita – dichiara il porporato –. La Chiesa si trova a fianco alle persone e a coloro che ne hanno cura. In questo contesto non si tratta di arrendevolezza a qualcuno, ma di buon senso: non quello di basso costo per giustificare mediocrità o pigrizia, ma di alto profilo perché guarda il bene della collettività».

Anche al cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, «piacerebbe poter celebrare la Settimana Santa e la Pasqua con la comunità», ha raccontato a La Repubblica. Ma, precisa, «rischiare è pericoloso e le regole vanno rispettate e anche la Chiesa ha il dovere di farlo. Come vescovi abbiamo tanto sperato che le celebrazioni pasquali coincidessero con la fine dell’emergenza: purtroppo non è così». Quindi fa sapere: «C’è bisogno anche di Dio, oltre che di scienziati e medici. Per questi giorni così difficili direi, cercando sempre di trarre dalle avversità un bene, che occorre rafforzare la comunione tra le persone e la consapevolezza che la comunità ha bisogno dell’Eucaristia e viceversa».

Comunque dalla Cei alle diocesi, passando per le parrocchie, si sono moltiplicate le possibilità di assistere alle celebrazioni: in tv, sulla radio, via web, nei social. Tutto ciò è frutto della «creatività pastorale», come la definisce l’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi, che sulla Stampa boccia le «proposte irresponsabili e pericolose» di taluni perché «non è il momento di allargare le maglie della sorveglianza sanitaria». E sottolinea: «È comprensibile la sofferenza di chi non può prendere parte dall’Eucaristia e neppure piangere i proprio morti al funerale. Ma la fede non è amuleto».

Resta poi la questione della visita alle chiese, che interroga anche Zuppi. Si può entrarvi se sono sulla strada del supermercato o della farmacia, secondo una circolare ministeriale. E qualche pastore prende posizione. «Come vescovi abbiamo chiesto alla Cei di intervenire – afferma il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini, intervistato da La Nazione –. Il paradosso è questo: si chiede agli psicologi di dare sostegno alle persone in difficoltà e intanto si nega la possibilità di andare in chiesa ai fedeli che, se accontentati, riceverebbero un beneficio ben più grande». Nerbini è tutt’altro che un sostenitore delle Messe “aperte” in tempo di coronavirus e più volte ha richiamato alla responsabilità collettiva. «Non stiamo chiedendo di tornare agli assembramenti: solo che venga concessa la possibilità di uscire di casa per andare in una chiesa».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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