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La divisa del barman tra storia e tendenze: il classico non tramonta mai

Se negli anni ’80 ha preso piede una nuova concezione della figura del bartender, con un look più comodo e contemporaneo, nell’ultimo decennio si assiste a un ritorno di accessori ottocenteschi. Ripercorriamo la storia

di Carmine Lamorte
 
06 giugno 2022 | 08:30

La divisa del barman tra storia e tendenze: il classico non tramonta mai

Se negli anni ’80 ha preso piede una nuova concezione della figura del bartender, con un look più comodo e contemporaneo, nell’ultimo decennio si assiste a un ritorno di accessori ottocenteschi. Ripercorriamo la storia

di Carmine Lamorte
06 giugno 2022 | 08:30
 

Il detto “l’abito non fa il monaco” quasi sempre è corretto: se nell’abito non vi è un vero “monaco” dopo un po’ ce ne accorgiamo, però al primo incontro, a prima vista, può essere di grande aiuto... Detto ciò, precisiamo che avere una divisa adeguata al proprio ruolo è obbligo di legge: infatti la normativa igienica prevede che non si possa lavorare in abiti “civili” e che durante lo svolgimento dell’attività lavorativa vi sia l’obbligo di indossare abiti adeguati a tale scopo. Purtroppo questa norma viene spesso disattesa e lo si deve rilevare particolarmente nelle aziende di basso livello professionale, ma non solo.

Il ministero del Lavoro sancisce infatti le tre più importanti funzioni che svolgono le divise da lavoro, nella circolare n. 34 del 29 aprile 1999: è un elemento distintivo dell’azienda in cui si lavora; rappresenta una protezione per la sicurezza e la salute del lavoratore, per evitare infortuni o incidenti; protegge gli indumenti personali dall’usura nell’espletare il proprio lavoro. Ma una bella divisa, elegante, pulita e ordinata, è anche veicolo pubblicitario per l’azienda, in molti casi è indicato il nome del locale, oltre ad essere un’ottima comunicazione dell’immagine aziendale. Inoltre serve a creare squadra, tenere unito il team di lavoro rendendo importante il singolo collaboratore.

La divisa del barman tra storia e tendenze: il classico non tramonta mai

Le prime divise di barman e bartender: eleganti e formali

Definendo la nascita della professione del barman possiamo datare tra il 1800 e il 1900 la comparsa dei primi bartender professionisti negli Usa, con Jerry Thomas a rappresentare l’essenza del bartending e a rivoluzionarne la presenza. All’inizio la professione del barman non era vista di buon occhio. La divisa dei primi barman era composta da un grembiule che faceva molto taverna ed evitava di sporcare gli abiti, poi con l’avvento di personaggi come Jerry Thomas che rivoluzionarono il lavoro a partire dalla divisa, ecco che il barman si presentava in camicia bianca crespa, cravatte bianche o papillon neri con gilet o giubbotti mantenendo le divise pulite durante il lavoro.

In Europa con l’apertura dei primi American bar all’interno degli hotel, si iniziarono a vedere barman eleganti in giacche e camicie bianche con lunghe cravatte nere o papillon: tra i primi Harry Craddock, barman che era stato negli Usa per diversi anni fino all’avvento del proibizionismo e che al suo ritorno in Europa, a Londra, con l’apertura all’inizio degli anni ’20 del Novecento presso il Savoy Hotel portò la novità dell’American bar che piano piano si diffuse in tutta Londra e poi in Europa. Tra i nuovi stili quello dell’uniforme che vedeva il bartender vestito in modo elegante con pantaloni e scarpe nere, camicia e giacca bianca con cravatta lunga, divisa che rimase in voga fino agli anni ‘80-90 all’interno di tutti gli alberghi europei e principalmente in Italia, gli unici luoghi dove fino ad allora si trovavano barman professionisti.

La divisa del barman tra storia e tendenze: il classico non tramonta mai

Le nuove tendenze degli anni ‘80: abbigliamento più comodo e moderno

Con l’avvento del flair bartending degli anni ‘80 grazie al film “Cocktail” che lanciò un giovane Tom Cruise e un nuovo modo di lavorare, arrivarono un sacco di novità, a partire da un nuovo look del bartender che lo vedeva non più in bianco ma in nero: infatti maglie, camicie e polo nere fecero la loro comparsa sulla scena del lavoro del barman per poter nascondere le eventuali macchie che potevano derivare da un lavoro frenetico e veloce, con visi puliti e la comparsa dei primi timidi tatuaggi a far parte della divisa. Per oltre un ventennio questa tendenza fece il giro del mondo, portando i giovani barman a identificarsi in un personaggio e trovare occupazione nei numerosi cocktail bar, disco bar, rock cafè che si aprivano un po’ ovunque, abbandonando l’obiettivo della divisa classica e del lavoro alberghiero, attraverso divise che non erano più quelle tradizionali di giacca e cravatte o papillon ma polo scure o multicolorate con scarpe ginniche e jeans alla moda.

La divisa del barman tra storia e tendenze: il classico non tramonta mai

La moderna mixology e il ritorno di accessori ottocenteschi

Ma dal 2010 un nuovo cambiamento nell’atteggiamento e nella divisa del bartender era dietro l’angolo, con l’avvento della moderna mixology e della tecnica “bar chef”, la riscoperta degli speakeasy. Ed ecco che le divise riprendono ad evolversi andando a rispolverare vecchie abitudini ottocentesche: gilet attillati, reggimaniche, camicie bianche con papillon e cravatte nere, ampi grembiuli da oste, barbe lunghe e cappelli a bombetta o coppole e la moda dei tatuaggi in mostra a completare la divisa, ma anche giacche a metà tra quella del cuoco e del maître di sala.

Sicuramente l’abbigliamento classico non tramonterà mai, e continueremo a trovarlo negli ambienti più eleganti degli hotel di lusso e dei cocktail bar esclusivi, dove una giacca beige o bianca da barman con la camicia bianca immacolata, cravatta nera o papillon, le scarpe nere lucide e i pantaloni scuri permettono ai clienti di riconoscere l’eleganza la classe e lo stile di un vero professionista. Perché anche se l’abito non fa il monaco, può però essere utilissimo al primo incontro!

La divisa del barman tra storia e tendenze: il classico non tramonta mai

Origini e storia delle divise professionali: i cuochi

La divisa del cuoco, a partire dal cappello, la famosa “toque”, una volta salvava la vita ai cuochi: infatti nel XVI secolo spesso i cuochi si dovevano rifugiare nelle chiese, per sfuggire alle persecuzioni che colpivano gli artigiani, del “libero pensiero”, così si confondevano con i preti indossando vesti lunghe e cappelli alti con la sola differenza del colore, grigio anziché nero. Il fazzoletto bianco intorno al collo, che oggi non usa quasi più nessuno, serviva ad assorbire il sudore; i pantaloni a scacchi neri e bianchi servivano a nascondere le macchie mentre la giacca spessa a doppio petto isola dal calore e protegge da rovesciamenti di liquidi caldi. Il colore bianco poi è da accumunare, a partire dal Medioevo, al periodo in cui i cuochi operavano nelle case dei nobili i quali erano gli unici a potersi permettere tale personale, così come potevano permettersi un medico il quale usava abiti bianchi, sinonimo di purezza e pulizia; per questo motivo anche i cuochi iniziarono ad indossare giacche bianche sinonimo di esclusività e status sociale.

Nei secoli passati i cuochi non indossavano divise e non erano tenuti in buona considerazione dalla società. Per avere un certo ordine nel lavoro dei cuochi e della divisa dobbiamo ringraziare due grandi chef francesi, Marie-Antoine Carême ed Auguste Escoffier, che oltre a riorganizzare il lavoro della cucina moderna pensarono di dare un significativo prestigio al lavoro sviluppando la divisa da chef. Da allora la crescita professionale non si è più interrotta, in linea con i cambiamenti dei tempi. Se un tempo la lunghezza del cappello del cuoco indicava il suo prestigio e competenza, oggi vi sono cambiamenti in questi indicatori, ad esempio uno chef si distingue se anziché i pantaloni a scacchi indossa pantaloni neri con la giacca con il proprio nome o del locale dove opera.

Il servizio di sala: cameriere, maggiordomo, maître d’hotel

Nell’ambito della sala ristorante invece la divisa del cameriere o cameriera deriva da epoche molto lontane. Il nome stesso pare derivi da “Camerlengo” ancora oggi in uso in Vaticano: definiva un servitore del papa, e ve ne erano di due categorie, il cameriere segreto che svolgeva le funzioni non visibili all’esterno, interne al palazzo, e il cameriere ufficiale che svolgeva funzioni visibili all’esterno e rivolte a terze persone.

Fino alla fine dell’800 il lavoro di sala, quello del cameriere come lo intendiamo noi oggi, era svolto esclusivamente da personale maschile in ambito Europeo, ma a partire già dal 1860 negli Stati Uniti con l’avvento della conquista dell’Ovest e l’apertura dei saloon, luoghi dove si ascoltava musica, si giocava si mangiava e si bevevano birra e cocktail, si iniziò ad impiegare cameriere che venivano denominate “server”, pubblicizzando la loro presenza come “belle cameriere”, con il compito di consegnare birra e cocktail ai clienti maschi indossando begli abiti, con sottovesti corte e ridotte simili ad abiti da ballo. Questa moda durò circa un trentennio, ma alla fine i riformatori puritani riuscirono ad eliminare le “belle cameriere” vietando la vendita di alcolici nella sale da musica, anche se è arrivato fino ai giorni nostri il costume che cameriere in abiti succinti possano attrarre clienti. Un certo Fred Harvey, gestore di sale da pranzo a Santa Fe, introdusse le prime divise funzionali e standard per il proprio personale di servizio già nel 1883, mentre nel 1895 a Denver un ristoratore introdusse uniformi complete come mai si era visto prima negli Stati Uniti.

Sicuramente la vita dei palazzi nobili d’Europa del ‘700 e dell’800 hanno dettato le regole della gerarchia alberghiera oltre che dell’abbigliamento, principalmente nelle grandi case inglesi e francesi dove la divisa in alcuni casi definita “livrea” e distingueva lo status della casa e il ruolo di chi la indossava: più era importante e ricco il nobile, migliori ed eleganti erano le divise dei suoi servitori.

Lo steward o il maggiordomo come gli attuali maître d’hotel indossavano frac, panciotti, guanti bianchi, papillon neri e successivamente cravatte nere, mentre i camerieri sempre in guanti bianchi con pantaloni scuri, scarpe lucidissime e calze nere indossavano giacche a spencer, divise che per alcuni aspetti si sono tramandate nel corso degli anni facendo giungere ai giorni nostri a secondo della struttura ristorativa o alberghiera un certo stile di divisa, e se i guanti bianchi simbolo di purezza e rispetto per l’ospite spariscono, rimangono però smoking per la sera e giacche creme o bianche per il giorno, con il papillon nero o bianco a seconda se si è maître, chef de rang o commis passando per la coreana in alcuni posti molto caldi. Sicuramente la scelta iniziale del nero nei pantaloni o nelle giacche fu per mascherare eventuali macchie da servizio, ma il bianco della camicia è rimasto inalterato nel tempo.

L’evoluzione moderna dei costumi e delle mode è arrivata anche nel campo della ristorazione dove le divise hanno avuto un tocco di personalizzazione da parte delle diverse attività ristorative portando ad uscire dai classici schemi del bianco e nero facendo arrivare nelle sale colori nuovi, sgargianti e allegri con divise moderne come polo, camice a mezze maniche o giacche colorate anche in ambienti lussuosi.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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