Al di là delle mode, il Gewürztraminer è certamente uno dei vini bianchi in assoluto di maggiore fascino. Un simbolo fra l'altro di un territorio splendido come l'Alto Adige. Il Terminum della cantina di Termeno ne è riconosciuto da tempo come il rappresentante più prestigioso e non può stupire quindi che le sei maggiori guide dei vini italiani ne abbiano concordemente tessuto le lodi, tanto da trovarsi unanimi nel giudicare questa etichetta come meritevole dei punteggi più elevati. Detto ciò (e concordando nel giudicare questa etichetta ai massimi livelli di qualità e piacevolezza), non si può non essere però sorpresi nel costatare che non c'è anche qualche rosso o uno spumante capace di mettere d'accordo i maître à penser della critica enologica italiana. Davvero decine e decine di guidaioli di livello, coordinati da esperti coi baffi, selezionano in solitudine vini senza trovare condivisioni di giudizio nei loro pari grado di altre case editrici? Davvero il vino è diventato oggetto di fede con riti e liturgie così diverse?
Certo a leggere la presentazione delle diverse guide si può cogliere uno stile o un orientamento particolare (su tutti quello di Luca Maroni), ma differenze così vistose forse meriterebbero qualche spiegazione in più. E a maggior ragione se si pensa che riguardo al giudizio sul vino siamo fra l'altro nettamente in presenza di due mondi quasi agli antipodi, con giudizi contraddittori e spesso contrastanti: da una parte ci sono le guide e dall'altra i concorsi enologici. Nel primo caso ci sono esperti autoreferenziali, dove ognuno va per la sua strada e, ben sapendo che etichetta ha davanti per ogni giudizio, quasi come un novello Diogene cerca il vino assoluto, che si dimostra di fatto introvabile come l'uomo. Dall'altro ci sono invece le giurie composte da più professionalità (dagli enotecnici ai giornalisti) che in modo collettivo, e senza conoscere le etichette, giudicano campioni anonimi scegliendo i migliori per tipologia e con risultati di media che, salvo rarissimi casi, non creano contrasti fra i commissari.
Un caso per tutti. L'anno scorso al Vinitaly la Cantina Due Palme si è trovata letteralmente sugli altari per i suoi splendidi vini giudicati al concorso internazionale. Su sei guide una sola etichetta, e per una sola guida, risulta invece meritevole di segnalazioni di eccellenza…
Chi scrive non collabora per nessuna guida e quindi non ha problemi di concorrenza. Magari può essere un po' di parte perché è spesso commissario in molte giurie. Ma certamente la perplessità che si prova di fronte a valutazioni così diverse è forte. Per carità nessuno spera in un'omologazione (questa ha fatto fin troppo male al vino italiano quando per anni tutte le guide spingevano per le barrique e vini troppo internazionali…), ma qualche riflessione - magari prima che intervenga Striscia la notizia - andrebbe fatta. Non pochi produttori si mostrano ormai perplessi persino sull'utilità di questi strumenti, soprattutto se si pensa che quando qualche guidaiolo cambiando casacca editoriale, potrebbero cambiare anche le valutazioni sui vini. Al di là della pubblicità, non dimentichiamo che dietro le scelte editoriali ci sono quelle degli editori, che non sempre sono perfettamente chiari o alieni da rapporti con qualche cantina, magari anche importante, o in genere con attività legate al mondo del vino. E che dire di un'associazione di sommelier che valuta i vini? Una situazione che in Francia non sarebbe nemmeno immaginabile.
Ci sono poi giudizi spesso assoluti su vini che sono prodotti in poche centinaia di esemplari. Magari solo per fungere da campione dei panel di una guida… L'utilità di strumenti che enfatizzano vini introvabili sul mercato ci sembra un po' tutta da dimostrare e, vista l'accresciuta capacità di giudizio dei consumatori, è forse tempo che anche i produttori vivano un po' meno con l'ansia di piacere alle guide e si sottopongano magari con più grinta al mercato.
E tutto ciò senza entrare nel merito dei singoli giudizi che spesso premiamo vini importanti, magari anche un po' troppo e non sempre di facile beva. Se leggessimo le guide di pochi anni fa dovremmo bere spremute di legno. Ora le cose per fortuna sono in parte cambiate, ma la piacevolezza in sé non è sempre l'elemento centrale dei giudizi delle Guide. Di fronte a tante esaltazioni di vini importanti, ci piace segnalare l'iniziativa dell'amico Angelo Peretti che su InternetGourmet ha lanciato la definizione del 'vinino”, , ossia del vino "che si beve", in contrapposizione al vinone muscoloso e palestrato scaturito dal pensiero enologico del nuovo mondo - e poi entrato anche nella pratica enologica europea - che più che berlo, si degusta.
Senza per questo voler creare una contrapposizione, tutt'altro, ci piace rinviare al manifesto del 'vinino” dove si ricorda che 'nell'epoca del dominio globale dei vini concentrati, tannici e alcolici, rivendichiamo il diritto alla piacevolezza dei vini da bere. All'estetica autoreferenziale della degustazione anteponiamo l'immediatezza appagante della freschezza fruttata e della sapidità. Alla razionalistica dittatura della valutazione centesimale opponiamo l'umanistica vocazione alla convivialità del vino, simbolo della condivisione e della fraternità”.
Anche questo potrebbe essere un elemento di riflessione per restituire alle Guide un compito importante per valorizzazione un prodotto di straordinaria grandezza come il vino italiano.
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.net
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