L'impresa disfunzionale è un ambiente che mette a dura prova l'equilibrio psicofisico e la professionalità di quadri e dirigenti. Ecco alcune lezioni e consigli per imparare come comportarsi e quale difese utilizzare nel settore Horeca.
Sappiamo quanto sia difficile convivere con un capo ottuso: un personaggio che si farebbe uccidere piuttosto che lasciare un minimo di spazio ai suoi collaboratori. Il capo ottuso crede di conservare in eterno il suo potere solo perché si circonda d'incapaci che lo ossequiano, e allontana sistematicamente coloro che vogliono pensare con la propria testa e dare un contributo che vada a di là dell'obbedienza 'pronta, cieca e assoluta”.
Ci sarebbe da sorridere, se l'inadeguatezza dei capi non fosse un problema diffuso in tante, troppe, imprese. Queste imprese, penalizzate da un management che pensa troppo a se stesso e troppo poco al bene dell'organizzazione, sono le imprese disfunzionali. Chi le ha studiate a fondo è un consulente americano, William Lundin, autore di Lavorare per un capo non aperto (F. Angeli, Milano, 2000). Il suo libro - che offre uno spaccato impressionante del disagio organizzativo dei manager di oggi - è costruito sulla realtà americana, ma distilla una serie di lezioni che valgono per le aziende di tutto il mondo. Le riportiamo con dei commenti sintetici, perché sono di una chiarezza lapidaria. E tracciano un quadro impietoso, dentro cui si legge una mappa che può aiutare il manager a riconoscere per tempo l'impresa malata e a non fare mosse sbagliate. L'impresa disfunzionale è un ambiente che mette a dura prova l'equilibrio psicofisico dei dipendenti. Imparare a sopravviverci, e saper decidere per tempo quando uscirne, significa davvero molto.
Eroi silenziosi
Lezione n. 1
Se vi trovate bene a lavorare con un capo stupido, vuol dire che siete ormai anestetizzati dallo stillicidio quotidiano di piccole cattiverie e d'insulti. Le angherie che il capo ottuso somministra quotidianamente ai suoi sottoposti dovrebbero portare, arrivati a un certo punto, a un livello di saturazione incompatibile con la prosecuzione del rapporto. Invece c'è un sacco di gente che soffre stoicamente pensando alla famiglia e alla pensione. Questi eroi silenziosi, che si candidano alla nevrosi e all'ipertensione cronica, dimenticano che la vita passa in fretta e non si può consumare in settimane di sofferenza, inframmezzate da weekend trascorsi con l'angoscia del lunedì.
Falsi amori
Lezione n. 2
Se odiate il vostro capo, amate la vostra azienda e rimanete nonostante tutto, allora non siete vittime: siete co-artefici del vostro male. Innamorarsi della propria azienda, anche quando si ha un capo orribile, è un errore grave quanto comprensibile: in fondo abbiamo tutti bisogno d'identificarci in qualcosa. Ma è fonte di perniciosi auto inganni: ci mette un velo davanti agli occhi. Rispettiamo la nostra azienda, affezioniamoci anche; ma non indossiamo le metaforiche lenti rosa dell'innamorato. Rischieremmo di non vedere ciò che vedono tutti gli altri.
Martiri
Lezione n. 3
Se le vostre tendenze a denunciare pubblicamente i problemi sono tollerate, è perché vi sfruttano più di quanto non crediate: non state vincendo, state perdendo. L'impresa ha bisogno di eroi, ma non gradisce le critiche dall'interno. Il whistle-blower (colui che denuncia i problemi e le anomalie organizzative) è normalmente destinato al bagno di sangue. Se questo non avviene, dice Lundin, è perché viene usato come pedina di un gioco di potere. Il bagno di sangue è solo rimandato.
Volpe e leone
Lezione n. 4
Se agite con durezza e proteggete la vostra individualità, gli altri saranno meno inclini a sfruttarvi.
L'impiegato può accettare di essere uno yes man (se non altro il capo non lo prenderà in odio), il manager no. La giungla aziendale impone anche ai più miti il ricorso alla tutela preventiva. Come voleva Machiavelli, occorre saper essere, insieme, volpe e leone. Mai coniglio. Sennò ti mangiano in salmì.
Tiranni
Lezione n. 5
Per evitare di farvi trascinare nella polvere dai tiranni, tenete ben presente che il problema sta in loro, non in voi o nel vostro modo di lavorare. Il tiranno aziendale mira soprattutto a distruggere l'autostima dei dipendenti. Quando i superiori gli dicono che regolarmente che sbaglia (mentre lui sa di avere agito professionalmente) il manager deve capire che lo vogliono trascinare nella polvere. Allora gli restano due alternative: andarsene o continuare a lavorare professionalmente, con un approccio più da consulente che da impiegato. Ma non sarà facile.
Urla e schiamazzi
Lezione n. 6
State attenti ai manager che vanno in giro a fare scenate. Oltre a togliervi il rispetto di voi stessi, vi ruberanno anche i vostri meriti. Il capo più sgradevole, quello che se non fa un paio di scenate al giorno non è contento, non è solo un maleducato da tenere a distanza: è un prevaricatore che fa leva sul metus dei collaboratori per strappare loro idee, progetti, meriti e sogni.
Sgradite sorprese
Lezione n. 7
Quando il vostro capo guarda da un'altra parte, è perché bolle in pentola qualche sorpresa sgradita.
Come diceva Watzlawick, "non si può non comunicare". Se il capo smette di comunicare, se da un giorno all'altro "non trasmette più" – è sempre occupato, assente, in riunione, in viaggio – il manager deve preoccuparsi: gli sta sicuramente preparando un siluro. La caduta in disgrazia inizia quasi sempre con questi segnali silenziosi. Soluzione-tampone: rifugiarsi nella malattia. Soluzione definitiva: predisporsi a negoziare al meglio il pacchetto di uscita.
Ma quando s'impara...
Lezione n. 8
Vale comunque la pena di rimanere in un ambiente in cui s'impara, anche se il vostro capo è un cretino. Un principio sacrosanto: pur di lavorare in una learning organization (non ce ne sono tante), si può sopportare anche un capo ottuso. Rimane un dubbio: con un boss di quella fatta, da chi s'impara?
Studio e aggiornamento
Lezione n. 9
Se vi trovate senza punti di riferimento nel lavoro, potete diventare intelligenti o stupidi, a vostro piacimento. Quando il manager è fatto oggetto di un comportamento disconfermativo (ovvero viene messo nell'angolo, o lasciato a non fare niente dalla mattina alla sera), ha davanti due opzioni: cadere nella trappola agitandosi come un ratto da laboratorio nel labirinto o mantenere la calma dei forti, dedicando l'enorme quantità di tempo libero allo studio e all'aggiornamento (una sorta di anno sabbatico). Se si agita, qualcuno sorriderà; se non fa un piega, qualcuno si preoccuperà. E forse (hai visto mai!) verrà pure recuperato. Le vie dell'irrazionalità organizzativa, si sa, sono infinite.
Sfide
Lezione n. 10
Se il vostro capo ha poco rispetto per i vostri collaboratori certamente ha poco rispetto anche per voi. Lo "scavalcamento" sistematico verso il basso non è solo una violazione dell'ordinamento gerarchico; è anche una sfida lanciata dal boss al capo intermedio. Come dirgli: "Tu non conti niente". Un brutto segnale , non ci sono dubbi.
Carriere in pericolo?
Lezione n. 11
Le carriere dei leader egoisti sono continuamente in pericolo. I colleghi li odiano. I massimi dirigenti non si fidano di loro. I collaboratori hanno sete di vendetta. Qui, nel mio piccolo, sono meno "ottimista" di Lundin: nella mia esperienza, i leader egoisti sono anche i più bravi a sviluppare delle alleanze di convenienza, a conquistare i grandi capi e a manipolare i collaboratori. Ma la loro suprema abilità è un'altra: appena fiutano aria di bruciato (e hanno un fiuto spiccatissimo) sono i primi a prendere il volo.
Giochi di potere
Lezione n. 12
Quando vi sentite trascinati contro la vostra volontà nel vortice dei giochi politici aziendali, non è solo immaginazione. è il sistema che usa il management per ricordarvi da che parte sta il potere. I giochi di potere ci sono dappertutto. Nell'impresa disfunzionale sono particolarmente impegnativi e complessi, al punto di assorbire gran parte delle energie del management. Difficile restarne fuori; ancora più difficile, per i manager che non ha questo tipo di mentalità, entrarci con un ruolo non meramente passivo.
Etica aziendale
Lezione n. 13
Quando i vostro capo calpesta le convenzioni, non fate le verginelle. Fate il vostro lavoro e levate le tende quando vi conviene. L'etica aziendale, lo sappiamo, è un'etica particolare. Ma non è una non-etica. Poi c'è un sistema di regole giuridiche che governa l'agire dell'impresa nei confronti dei suoi stakeholder. Se i leader dell'azienda passano disinvoltamente sopra le norme codificate, è praticamente sicuro che se ne infischino di quelle morali.
Dire sempre di sì
Lezione n. 14
Dei manager-scendiletto impediscono ai leader d'imparare e di vedere qualcosa di nuovo. Come dire: ogni capo ha i dipendenti che si merita. Se sono degli scendiletto che gli dicono sempre di sì e gli danno permanentemente ragione, lo aiuteranno a diventare ancora più cieco e sordo di quanto non sia già.
La capacità paga
Lezione n. 15
Dei collaboratori autonomi e responsabilizzati che sono leali solo a se stessi possono fare un lavoro di qualità ovunque. Eccolo qui, il concetto di employability. Un manager che sa il fatto suo, ed è abituato a decidere in modo autonomo, non deve tenere più di tanto al posto di lavoro. Un lavoro di qualità, magari autonomo, lo troverà sempre.
Abuso di potere
Lezione n. 16
Non potete fare il vostro lavoro neanche quando volete farlo, se il capo s'impunta. Cos'è l'abuso di potere, se non l'utilizzo di uno strumento fisiologico (il potere) per fini patologici (l'impedire ai collaboratori di fare il loro lavoro, dicendo poi che sono degli inetti)?
Una parola mai sentita: "novocazione"
Lundin ha tracciato lucidamente una mappa dei percorsi disfunzionali, ma ha omesso un elemento che a mio avviso è più scardinante di tutti i comportamenti dolosi e colposi: l'ignoranza, che come abbiamo visto, si sposa frequentemente all'arroganza e alla presunzione. Quando facevo il direttore del personale ho dovuto discutere per mezzo pomeriggio con lo stato maggiore dell'azienda: direttore amministrativo, direttore commerciale e direttore vendite. Tema: la promozione a dirigente dell'assistente del direttore vendite, già avallata dall'amministratore delegato e dal direttore commerciale. Ma contestata dal solito direttore amministrativo, il quale sosteneva che 'non c'era novocazione (voleva dire novazione) nel rapporto che si andava a instaurare con la neodirigente. Quando gli dissi che non conoscevo il termine novocazione, per il semplice fatto che non esisteva, andò su tutte le furie, dandomi pure dell'ignorante. E gli altri due, nel dubbio, si schierarono (contro sé stessi!) dalla sua parte. Fu allora che decisi di dimettermi.
Lo stile di leadership che fa male all'azienda
Urlare, gridare, ringhiare. E poi ancora: avere sempre ragione, non delegare, ignorare ogni comunicazione. è questo il ritratto di un capo ottuso, figura diffusa in aziende e uffici. I risultati sono scontati: malessere e voglia di fuga. Ne vale la pena?
Una delle più grosse iatture che possano capitare al manager/professional (e capita abbastanza spesso) è finire alle dipendenze di un capo ottuso o che si comporta - sempre o in prevalenza - come tale. Perché questa incresciosa situazione è così frequente? Perché con il consolidarsi del business la gerarchia prima si assesta e poi si cristallizza, trasformandosi in un'entità autoreferenziale che tende a sottrarsi a qualunque valutazione di tipo qualitativo.
Gli intoccabili
Per essere più chiari, quando l'azienda (o l'organizzazione) ha alle spalle un certo record di risultati positivi, conseguiti da un certo gruppo dirigente, è impensabile che il top management si periti di andare a verificare periodicamente se quella leadership è ancora adeguata. Gli uomini che hanno fatto la storia recente dell'azienda diventano degli intoccabili e intorno a loro si creano dei centri di potere che nessuno ha la volontà, o l'interesse, d'intaccare. Ed è giusto, se si ragiona in una logica strettamente "numerica": se quel direttore vendite mi garantisce il fatturato (magari a scapito della redditività delle vendite), che bisogno c'è di andare a vedere se i suoi collaboratori sono motivati? Se quel direttore di produzione mi garantisce i volumi (magari a dei costi unitari non più competitivi), che bisogno c'è di mettere il naso nella sua area, senza averne, per giunta, le competenze tecniche? Se quel direttore amministrativo mi garantisce comunque il risultato di bottom line (magari sottraendo risorse agli investimenti produttivi e commerciali) che bisogno c'è di mettere il naso nell'organizzazione e nelle dinamiche della sua funzione? Sono tanti gli amministratori delegati e i direttori generali che ragionano così, ed è difficile dargli torto. Loro guardano al profitto dell'esercizio. Se non lo raggiungono rischiano il posto.
I cattivi effetti del "Signorsì" incondizionato
Però dimenticano che le imprese, e più in generale tutte le organizzazioni, sono fatte di uomini e donne: risorse critiche che possono fare la differenza. O meglio potrebbero farla, se fossero messe in condizione di esprimere compiutamente il loro potenziale. Cosa molto difficile (per non dire impossibile) quando il capo è ottuso o agisce sistematicamente come tale. Non dimentichiamo poi che esiste una sorta di legge organizzativa in base alla quale lo stolto attrae dei suoi simili o dei soggetti ancora meno vivaci - si fa per dire - di lui. Di qui il pernicioso effetto "clonazione", per cui i capi ottusi si circondano di collaboratori obbedienti, ma assai poco brillanti (è già un eufemismo). è l'ambiente ideale per lo scansafatiche che dicendo sempre di sì e adeguandosi ai gusti e ai capricci del capo se lo ingrazia a vita. Ed è l'inferno per il manager o il professionista che vuole mettersi in gioco, imparare e dare un contributo di qualità.
Demotivare, un danno che si paga caro
A ben guardare (ma non ci vuole granché) i comportamenti messi in atto dal capo ottuso sono legati da un filo rosso (anzi scarlatto, data la sua macroscopica evidenza): il desiderio di distruggere l'autostima dei collaboratori. "Perché non si montino la testa", dice. In realtà è perché teme che qualcuno si dimostri più bravo di lui. La sua è una paura giustificata (sa, come tutti, di avere dei limiti) che degenera in delirio paranoico (per non riconoscerlo, si circonda di yes-man obbedienti e fidati). Come dicevano i latini, stultitia maxime soror malitiae (la stupidità è soprattutto sorella della malizia). Stiamo parlando di una patologia tanto grave quanto diffusa, causa prima - secondo le statistiche - della demotivazione e dell'uscita prematura dei manager. Ma se vanno via i collaboratori più bravi, il capo ottuso è felice: una minaccia di meno. Il suo commento davanti a quelle inevitabili dimissioni è sempre lo stesso: "Morto un Papa, se ne fa un altro". Questi meccanismi, questi modi di operare, sono anche figli di una matrice culturale che nega il dubbio e si affida a delle improbabili certezze; sempre per citare gli antichi, imperitia confidentiam, eruditio timorem creat (versione dal greco: l'ignoranza produce baldanza, la riflessione indugio). è quasi pleonastico aggiungere che l'autostima dei dipendenti è uno dei beni più preziosi che il management possa e debba sviluppare: il capo avveduto, almeno teoricamente, è quello che può trascorrere mezzo pomeriggio sui campi di golf sapendo che l'ufficio è adeguatamente presidiato; quello che accetta serenamente il contributo dei collaboratori che ha selezionato; quello che abitua le persone a ragionare con la loro testa. Ma anche quello che mette spietatamente fuori i capi ottusi.