Percorrendo la strada costiera che collega Palermo a Messina si ammira in molti tratti un paesaggio incantevole. Baie, spiagge incontaminate, scogliere e promontori, antichi borghi; non mancano ferite causate dal cemento e dal cosiddetto progresso, ma ci si consola con il verde dei giardini, campagne, boschi che costeggiano la strada. Meraviglia osservare che per chilometri nessuno raccolga i fichi d’india, l’uva, i limoni; si può solo immaginare che la campagna sia stata abbandonata o che ce ne siano troppi o sia l’incuria a far dimenticare questa ricchezza.
È la stessa incuria che dimostra il Governo che abbandona l’agricoltura, l’unica e certa prospettiva economica dell’Italia; e i cittadini che comprano arance dalla Spagna e fragoloni dal Portogallo. Solo in Sicilia sono censite più di ottanta specialità orticole e frutti, tra Igp, Dop e tradizionali; in tutta Italia sono più di mille. Con carni, salumi, formaggi, conserve, marmellate e mieli, condimenti, il numero è enorme. Quante ne mettiamo in tavola ogni anno? Pochissime. Tralascio ogni discorso sulla varietà, qualità, gusto, salute, cucina che occuperebbe volumi.
Ma questi discorsi si scontrano contro opinioni del tipo: “è solo l’edilizia a mettere in moto l‘economia” oppure: “l’agricoltura non rende”. Nulla di più falso, visto che l’unica buona notizia viene proprio dall’agricoltura. L’Assoenologi, che rappresenta i tecnici del settore vinicolo, a fine agosto ha diffuso i primi dati ufficiali sulla vendemmia 2013 (www.assoenologi.it). Grazie a un andamento climatico favorevole alla vite, e se settembre e ottobre daranno sole e precipitazioni giuste, avremo un’ottima annata.
Si prevede una produzione vicina a 45 milioni di ettolitri, 8% in più rispetto all’anno scorso. I dati di previsione della produzione media regionale sono entusiasmanti. Quasi tutte le regioni si attestano al +5% (tranne il Fruli Venezia Giulia che segnala un -5%), ancor meglio il Trentino (+15%), Abruzzo (+20%), Campania (+15% ), Sicilia e Sardegna (+10%). Il presidente Riccardo Cotarella comunica anche che a fronte di una diminuzione continua dei consumi interni le nostre vendite all’estero crescono; calano i volumi ma cresce il valore, cioè guadagniamo di più con minor prodotto. Che dire? Per fortuna il vino ci ha abituati da tempo alle buone notizie.
Torno molto indietro nel tempo, alla primavera del 1986, quando il vino al metanolo (il velenoso alcool metilico) uccise una ventina di persone e ne rese cieche una decina. La reazione non si fece attendere e un mese dopo, alla Grande Fiera d’aprile, si radunarono vignaioli, enotecari e ristoratori, giornalisti e scrittori lanciando la scommessa per la rinascita. Vitigni autoctoni, corretta agricoltura, efficienti tecniche produttive, cultura del buon gusto e degustazioni, sommelier: un movimento enorme dalla vigna al bicchiere alla tavola portò il vino italiano ai primati che oggi conosciamo.
Chi ha vissuto quell’epopea continua a sperare che tutta l’agricoltura italiana possa trovare quello stesso slancio. Poiché scrivo su questa rivista che sa andare aldilà degli interessi di bottega... alimentare e promuove fattivamente cultura e arte, lancio una proposta chiedendo a tutti opinioni e suggerimenti. Autorevoli esperti affermano che il turismo di per sé non esista, non si crea dal nulla, non si raggiunge con qualche e-mail. Solo i distretti culturali che abbiano raggiunto benessere e soddisfazione degli abitanti possono attrarre viaggiatori e turisti.
Questo progetto è già scritto nel territorio che accomuna alle specialità della terra, ricchezze d’arte e storia. Un esempio scelto a caso: Leonforte (Enna) è terra di produzione della fava larga e persino di un riso squisito; si coltivava già fino all’arrivo dei piemontesi che, con l’unità d’Italia, eliminarono il concorrente. È un borgo ricco di storia, già principato dei Branciforti, ricco di monumenti storici, nel comprensorio affascinante tra Enna e Catania; la solita incuria ha deprezzato la ferrovia. Invito ciascuno di voi a chiudere gli occhi per ricordare una specialità o una ricetta e accomunarla all’arte del territorio. L’Amarone e Verona, il Verdicchio e i castelli di Jesi, la focaccia di Recco e la Riviera di Levante, il Chianti Classico, Montalcino…
Ecco la proposta: esistono migliaia di associazioni e cooperative giovanili che si dedicano alla promozione turistica del territorio con fatica improba e poco guadagno. A queste cooperative si aggiunga una porzione di territorio agricolo abbandonato o incolto o requisito che possa dare un reddito certo e aggiuntivo; governo centrale e locali favoriscano queste imprese. Questi giovani produrranno e saranno in contatto con operatori in Italia e all’estero; ciò favorirà anche il turismo.