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Entra in vigore il Ceta Tra business e tutela del Made in Italy

L’obiettivo è quello di incrementare il commercio di beni, servizi e investimenti sul mercato canadese. Diverse le prese di posizione. Tra universo agroalimentare e politica ci sono favorevoli e contrari. Da una parte l'occasione di business, dall'altra preoccupazione per l'autenticità dei prodotti

di Gabriele Ancona
vicedirettore
 
21 settembre 2017 | 11:38

Entra in vigore il Ceta Tra business e tutela del Made in Italy

L’obiettivo è quello di incrementare il commercio di beni, servizi e investimenti sul mercato canadese. Diverse le prese di posizione. Tra universo agroalimentare e politica ci sono favorevoli e contrari. Da una parte l'occasione di business, dall'altra preoccupazione per l'autenticità dei prodotti

di Gabriele Ancona
vicedirettore
21 settembre 2017 | 11:38
 

Entra oggi in vigore il Ceta (Comprehensive economic and trade agreement), l’accordo commerciale di libero scambio firmato il 30 ottobre 2016 da Ue e Canada. L’obiettivo primario è quello di incrementare il commercio di beni, servizi e investimenti sul mercato canadese. Un via libera in realtà solo provvisorio, in attesa della ratifica dei singoli parlamenti nazionali e regionali dell’Unione europea, ma che comunque comporterà l’applicazione di tutte le disposizioni più importanti come il riconoscimento e tutela delle Dop italiane, l’aumento progressivo delle quote export e una riduzione dei dazi, soprattutto per i prodotti lattiero-caseari.Il Ddl di ratifica del Ceta ha guadagnato il primo sì in commissione Esteri del Senato il 27 giugno e ora è atteso in aula il 26 settembre. Non sarà una passeggiata. Fioccano le prese di posizione in Parlamento come all’esterno.

(Entra in vigore il Ceta Tra business e tutela del Made in Italy)

Dura la Coldiretti. «Per la prima volta nella storia - si denuncia - l’Unione Europea legittima in un trattato internazionale la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali, dall’Asiago alla Fontina, dal Gorgonzola ai Prosciutti di Parma e San Daniele, ma sarà anche liberamente prodotto e commercializzato dal Canada il Parmigiano Reggiano con la traduzione di parmesan».

Smorza i toni Nicola Bertinelli, presidente Consorzio del Parmigiano Reggiano. «Una certa problematicità - puntualizza - si ha in merito al termine “parmesan”. Nonostante la nostra opposizione e dissenso, questo termine sarà, come è già ora, considerato generico per indicare una categoria di prodotto, alla stregua di “mozzarella”. Il Consorzio sostiene da sempre che questo genera confusione nella mente dei consumatori. Proprio per questo si è ottenuto che il “parmesan” prodotto in Canada innanzitutto non potrà entrare in Europa e, sul mercato canadese, non potrà essere abbinato a riferimenti che riconducono all’Italia (come per esempio le bandiere tricolore, o immagini di monumenti italiani, ndr), proprio per ridurre l’inganno presso i consumatori canadesi».

«Il Consorzio del Parmigiano Reggiano - prosegue - vede l’espansione delle vendite sui mercati internazionali un passaggio strategico indispensabile per tutelare i redditi dei produttori. In particolare considera il Nord America tutto, Stati Uniti e Canada, come un’importante opportunità per il nostro formaggio, in quanto il consumatore nordamericano è ben disposto al consumo dei formaggi a pasta dura come il Parmigiano Reggiano. Ne sono conferma i dati di esportazione verso questi mercati nel 2016, con un incremento del 6,8% per gli Usa e addirittura un +20,2% per il Canada, che con 2.206,8 tonnellate esportate, pari al 4,8% delle esportazioni totali di Parmigiano Reggiano, è il quinto Paese nella graduatoria tra gli importatori. Quindi il giudizio sul Ceta non può prescindere da questi andamenti, visto che l’accordo prevede il raddoppio della quantità di formaggi europei esportati in Canada. Inoltre, in seguito al Ceta, il termine Parmigiano Reggiano in quel Paese sarà di sola ed esclusiva proprietà del Consorzio. Possiamo quindi concludere che, per quanto riguarda il Parmigiano Reggiano, il Ceta non è una minaccia. Ovviamente dovremo lavorare ancora di più perché anche il termine “parmesan” in un futuro in Canada sia riferito solo al nostro prodotto».

Sulla stessa linea anche Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura. «La regolamentazione del commercio internazionale dei prodotti agricoli e agroalimentari - sottolinea - deve tendere ad armonizzare le normative su sicurezza e qualità e a eliminare gli ostacoli che tutti i Paesi del mondo frappongono all’ingresso dei nostri prodotti. In quest’ottica mi sembra che siano più gli elementi positivi di quelli negativi dell’accordo Ceta, che potrà favorire le esportazioni dei prodotti agroalimentari europei e italiani in Canada e contrastare le contraffazioni. Il nostro mercato è il mondo e dobbiamo aiutare i prodotti italiani a essere sempre più presenti nei mercati internazionali, per generare sempre più valore aggiunto anche per l'agricoltura».

Pollice verso da parte di Regione Lombardia. «Il 12 luglio scorso - spiega l’assessore all’Agricoltura Gianni Fava - ha deliberato all'unanimità la propria contrarietà al trattato. Il nostro mercato principale resta l'Europa, da 34 anni ormai funziona il sistema delle Dop, che ci ha permesso di affermare il principio nell'ambito del quale ogni Dop può essere tutelata in uno Stato membro, e che ha consentito a buona parte dei nostri consorzi impegnati sui mercati esteri di far ritirare partite di prodotto che abusavano del marchio. Il sistema delle Dop non può essere smontato, e il Ceta incide pesantemente sulla sua tenuta».

Differente lo scenario immaginato dall’Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche. «A parte le innegabili prospettive commerciali per i formaggi che beneficeranno del raddoppio delle quote di importazione in Canada - commenta il segretario Leo Bertozzi - il risultato basilare per il sistema Dop/Igp è il riconoscimento da parte del Canada del principio delle denominazioni tutelate: questo a fronte del persistente e sempre più forte contrasto al sistema europeo di tutela delle denominazioni che invece porta avanti il Ccfn (Consortium for common food names) Usa».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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