Dalla Toscana, una delle regioni più prolifere del turismo e della ristorazione, arriva un nuovo codice del commercio regionale che modifica i regolamenti dei ristoranti, degli hotel e delle tanto discusse sagre. Si tratta di scelte che intendono favorire le piccole realtà locali e tutti i prodotti tipici regionali.
Capitolo sagre:
tante sono state le polemiche negli anni su
queste manifestazioni (con
Italia a Tavola che si era anche mossa in prima persona per dare una svolta) che hanno via via assunto toni sempre più “grotteschi” per l’offerta di cibo,
nettamente in controtendenza con le tipicità locali. Ora ci prova la Toscana a raddrizzare la situazione con l’obiettivo, magari, di fare da scuola per altre regioni. Il nuovo codice prevede che le sagre-non sagre - ovvero quelle che sbandierano la promozione di prodotti tipici e poi propongono piatti esotici - non potranno più chiamarsi “sagre” appunto, ma “feste” e allora tutto diventa regolare. Come se bastasse un nome per aggiustare quella situazione spiacevole di concorrenza sleale che va di conseguenza.
In particolare la sagra, per chiamarsi tale, non potrà durare oltre i dieci giorni e dovrà promuovere almeno uno dei 90 prodotti toscani Dop, Doc, Igp e Igt o uno dei 470 prodotti tipici toscani contenuti nell’apposito archivio.
Confesercenti, Confcommercio e anche Federalberghi esultano spiegando di aver raggiunto finalmente un traguardo agognato da anni che stava mettendo in ginocchio le rispettive attività di riferimento.
Per quanto riguarda i ristoranti degli hotel invece, il codice prevede che le strutture ricettive che hanno al loro interno un ristorante la cui superficie non vada oltre il 25% dell’intera struttura, possano accogliere clienti anche esterni e non solo quelli dell’hotel stesso. Una modifica che vorrebbe favorire le piccole pensioni che negli ultimi tempi hanno sofferto per queste restrizioni.
Infine, nuove norme per la grande distribuzione che non potrà più costruire centri che superino i 15mila metri quadrati di superficie.