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Cà di Rajo, quando il vino diventa storia La tecnica utilizzata risale all’Ottocento

di Maria Pizzillo
 
03 dicembre 2018 | 14:41

Cà di Rajo, quando il vino diventa storia La tecnica utilizzata risale all’Ottocento

di Maria Pizzillo
03 dicembre 2018 | 14:41
 

Cento ettari di vigna, 2 milioni di bottiglie e un traguardo: salvare un vigneto che è un monumento a cielo aperto. Questa la sfida dei fratelli Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, gestori della cantina di Cà di Rajo.

Fondata da Marino Cecchetto, l’azienda di San Polo di Piave (Tv) è gestita ora dai tre nipoti, tutti tra i 22 e i 33 anni. Il monumento da salvare sono i vigneti allevati a Bellussera - metodo che risale a fine Ottocento - destinati a sparire perché costosi da coltivare, non essendo meccanizzabili, e dove le vigne da uve Prosecco sono una grande realtà.

Alessio, Simone e Fabio Cecchetto (Cà di Rajo, il vino diventa storia La tecnica utilizza risale all’Ottocento)
Alessio, Simone e Fabio Cecchetto

Per far conosce dunque un pezzo di storia del vino e il metodo messo a punto dai fratelli Bellussi di Tezze di Piave per cercare di salvare l’uva dall’umidità che caratterizzare molte aree del Veneto, i giovani Cecchetto hanno deciso di dare vita a Iconema, un Tai Doc Piave limited edition, ottenuto da un vigneto che risale ai primi anni del Novecento, di proprietà della famiglia Paladin di San Polo di Piave e “adottato” da Cà di Rajo per cercare di salvarlo.

Si tratta di un vero e proprio monumento a cielo aperto - solo mezzo ettaro di estensione - che oggi rappresenta la sintesi che ha caratterizzato l’architettura del paesaggio viticolo della sinistra Piave. E per presentare in anteprima - possiamo dire mondiale, visto che Cà di Rajo esporta in più di 50 Paesi, con vini presenti anche a bordo delle compagnie aeree Delta Airlines e United Airlines - il frutto di questo nuovo progetto, i fratelli Cecchetto hanno scelto il panoramico “Ceresio 7 pools & restaurant” di Milano. Si tratta 3.133 bottiglie e 100 magnum, numerate e da collezione. Le uve Tai, tutte raccolte a mano sono adagiate per 25 giorni sui graticci ad appassire, per esaltare la complessità, la personalità e l’eleganza del vino.

(Cà di Rajo, il vino diventa storia La tecnica utilizza risale all’Ottocento)

Il nome scelto per questo grande vino, Iconema, significa “memoria storica di un territorio”, che i giovani Cecchetto – insieme al nonno, presente all’anteprima milanese in un breve e significativo filmato – hanno estrapolato da uno studio sulla Bellussera firmato da Diego Tomasi, del Centro di ricerca viticoltura ed enologia di Conegliano, Gianni Moriani, coordinatore del Master in Filosofia cibo e vino dell’Università Vita e Salute San Raffaele di Milano, e da Attilio Scienza, dell’Università degli Studi di Milano.

«Siamo orgogliosi di questo progetto – ha detto Simone Cecchetto - perché si tratta di un nuovo passo nella nostra battaglia per la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo del territorio del Piave, un patrimonio che è anche culturale e identitario. Confermiamo così anche la nostra volontà di salvaguardare i vigneti a Bellussera, come già facciamo con Raboso, Glera e autoctoni rari come Marzemina Bianca e Manzoni Rosa». E per rendere omaggio a questo esempio di architettura del paesaggio, i Cecchetto hanno coinvolto 20 artisti chiedendo loro di dipingere i 100 prestigiosi cofanetti in legno, scrigni d’arte che racchiudono i magnum di Iconema della vendemmia 2017. L’etichetta è una foglia di allumina, stilizzata con la vigna vista dall’alto.

(Cà di Rajo, il vino diventa storia La tecnica utilizza risale all’Ottocento)

La Bellussera è una forma di coltivazione della vite sviluppatasi principalmente in Veneto, che prevede un sesto di impianto ampio dove pali in legno di circa 4 metri di altezza tra loro collegati tra loro da fili di ferro disposti a raggi. Dalla potatura alla vendemmia, tutto viene fatto a mano, sopra a un pianale rialzato, riducendo di oltre il 60% l’utilizzo di mezzi agricoli e permettendo al contadino di poter coltivare nel vigneto anche altre produzioni come ortaggi, fieno, cereali. Ecco perché l’idea di un progetto di tutela di un vigneto storico poteva pensarlo solo una famiglia di vignaioli legati a filo doppio con la storia del territorio: da Marino Cecchetto, che ha iniziato a coltivare la vite il secolo scorso con la sua famiglia e ha appena concluso la sua 80ª vendemmia, al nipote Simone, enologo, che nel 2005 ha creato il brand Ca’di Rajo e adesso la conduce con i fratelli Fabio e Alessio. L’azienda è circondata da vigneti, una chiesa del 15° secolo e un’antica torre del 10° secolo: è visitabile con wine tour organizzati dalla stessa cantina che fanno scoprire anche la Bellussera.

(Cà di Rajo, il vino diventa storia La tecnica utilizza risale all’Ottocento)

Le produzioni di Cà di Rajo sono: Prosecco Superiore Millesimato Docg Valdobbiadene nelle versioni Brut e Extra Dry, Prosecco Doc Treviso, Malanotte Docg, Raboso Piave Doc, Manzoni Bianco 6.0.13, Pinot Grigio, Chardonnay, Sauvignon, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot. A questi si aggiungono la Marzemina Bianca e il Manzoni Rosa (ottenuto da l'impollinazione tra Traminer e Trebbiano), autoctoni rarissimi che solo Ca’ di Rajo spumantizza (con una capacità produttiva di circa 40mila bottiglie).  

Per informazioni: www.cadirajo.it

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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