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Birra agricola Contro la standardizzazione del gusto

La birra non stufa mai. Ce n’è per tutti i gusti: tra birrifici d’abbazia, beer firm, birrifici agricoli e curiose tendenze tutte tricolore, il movimento birrario desta sempre maggiore curiosità. Nel 2008 i birrifici erano poco più di 200 mentre ora si è arrivati a sfiorare quota 900, concentrati per la maggior parte nel Nord Italia.

di Giovanni Angelucci
14 ottobre 2018 | 09:07
Birra agricola 
Contro la standardizzazione del gusto
Birra agricola 
Contro la standardizzazione del gusto

Birra agricola Contro la standardizzazione del gusto

La birra non stufa mai. Ce n’è per tutti i gusti: tra birrifici d’abbazia, beer firm, birrifici agricoli e curiose tendenze tutte tricolore, il movimento birrario desta sempre maggiore curiosità. Nel 2008 i birrifici erano poco più di 200 mentre ora si è arrivati a sfiorare quota 900, concentrati per la maggior parte nel Nord Italia.

di Giovanni Angelucci
14 ottobre 2018 | 09:07
 

La birra non stufa mai. Ce n’è per tutti i gusti: tra birrifici d’abbazia, beer firm, birrifici agricoli e curiose tendenze tutte tricolore, il movimento birrario desta sempre maggiore curiosità. Nel 2008 i birrifici erano poco più di 200 mentre ora si è arrivati a sfiorare quota 900, concentrati per la maggior parte nel Nord Italia.

Il mercato della birra in Italia continua a crescere e non conosce crisi, basti pensare che sono 19 milioni gli ettolitri prodotti ogni anno, per un valore di oltre 32 miliardi di euro. Alte le importazioni, a quota 7 milioni di ettolitri (da Germania, Paesi Bassi e Belgio), con le esportazioni che crescono fino ad arrivare a 2 milioni e mezzo di ettolitri, rispetto a cinque anni fa in cui il valore dell’export totale era sotto la quota di 1,9 milioni di ettolitri. Insomma il settore birra è in continua e costante evoluzione.

(Birra agricola Contro la standardizzazione del gusto)

In questo insieme di numeri e dati, i birrifici agricoli compongono una realtà autentica e iper territoriale, capace di esaltare la qualità della birra artigianale italiana: concentrati soprattutto tra Marche (16,7%), Piemonte (12,5%), Emilia Romagna e Toscana (9,7%), Veneto e Lombardia (8,3%). La birra agricola ha ricevuto ciò che le spettava anche prima del riconoscimento legale di “artigianale”, tant’è che circa sette anni fa vedeva la luce il decreto ministeriale 212/2010 con il quale si riconosceva la birra come «prodotto agricolo a tutti gli effetti e il birrificio agricolo come azienda impiegata nella produzione e nella vendita diretta di birra. La produzione deve risultare attività connessa all’esercizio dell’agricoltura, ovvero gli ingredienti principali devono essere ricavati prevalentemente (almeno per il 51%) da prodotti ottenuti in azienda, ed eventualmente maltando i cereali di produzione propria presso una struttura consortile a cui l’azienda stessa aderisce».

Altresì, allo scopo di tutelare, promuovere e valorizzare l’attività svolta dai birrifici agricoli, è nato nel 2003 Il Cobi, Consorzio italiano di produttori dell’orzo e della birra, l’unico ente che riunisce più di 80 agricoltori i quali, oltre ad essere coltivatori di orzo, sono contemporaneamente produttori di birra agricola. Le aziende produttrici di orzo hanno potuto così diversificare le proprie attività, creando una malteria o un birrificio aziendale, e quindi ampliando la propria clientela e aumentando i loro introiti. Inoltre il valore del 51% sopracitato sale al 70% per i birrifici agricoli aderenti al marchio “Birragricola” registrato dal consorzio stesso.

(Birra agricola Contro la standardizzazione del gusto)

Insomma, la realtà agricola-brassicola dello Stivale è consolidata e le aziende produttrici sono sempre più numerose. Un esempio particolarmente valido è rappresentato da Vito Pagnotta di SerroCroce, azienda agricola campana prima che birrificio, in cui vengono coltivati, sui circa 30 ettari in produzione, colture come cereali e leguminose a rotazione.

Avere un birrificio agricolo certamente premia in originalità, ma quali sono i punti critici in una produzione del genere?
In senso generale i punti critici veri della birra non sono legati alla produzione ma alla burocrazia, al pagamento delle accise, al rapporto costante con le varie agenzie delle dogane, al fatto che l’aliquota iva deve essere del 22% e non del 10% come accade per gli altri prodotti agricoli e così via. Altri punti critici legati alla produzione possono essere semplicemente di carattere temporale: si sta lavorando molto sulla coltivazione del luppolo che presto si renderà disponibile insieme a tutti gli altri luppoli del mondo, infatti ognuno avrà il suo profilo organolettico e il suo posizionamento nelle varie ricette. Lo sviluppo di ceppi di lieviti specifici e autoctoni delle diverse zone è importante, ci auguriamo che i diversi istituti di ricerca continuino in tal senso.

E ci sono differenze tra birra agricola e non? Possono essere riscontrate a livello organolettico?
Questo dipende dal produttore, dalla strategia produttiva che vuole adottare e dalle scelte aziendali. Ricordiamo che la birra è il prodotto della fermentazione alcolica di cereali maltati, semplicemente la birra è composta da acqua, malto d’orzo, luppolo e lievito. Questa è la base produttiva, poi ognuno decide che malti, lieviti e luppoli usare, se usare spezie, magari anch’esse coltivate in azienda, che tipologia di lavorazione adottare. La struttura organolettica è correlata ad essenze aromatiche, è chiaro che ogni azienda decide la struttura organolettica che devono avere le birre e ciò può essere fatto utilizzando anche piante aromatiche tipiche del luogo.

La produzione di birra agricola evidentemente contrasta la standardizzazione del gusto che spesso viene posta accanto al prodotto birra realizzato con luppoli e malti a disposizione di tutti; oltretutto permette alla nostra biodiversità di avere un’ulteriore porzione di mercato per esprimere il suo immenso valore.

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