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Un giovane medico in zona rossa: «Situazioni toste con turni da 21 ore»

La cateogoria dei medici è chiamata agli straordinari in questo momento di emergenza. Vediamo i grandi nomi della medicina, ma ci sono anche quelli che si stanno affacciando al mestiere proprio ora. Noi abbiamo parlato con un medico 29enne operativo in val Seriana tra medico di base e guardie mediche.

di Federico Biffignandi
21 marzo 2020 | 07:45
Un giovane medico in zona rossa: 
«Situazioni toste con turni da 21 ore»
Un giovane medico in zona rossa: 
«Situazioni toste con turni da 21 ore»

Un giovane medico in zona rossa: «Situazioni toste con turni da 21 ore»

La cateogoria dei medici è chiamata agli straordinari in questo momento di emergenza. Vediamo i grandi nomi della medicina, ma ci sono anche quelli che si stanno affacciando al mestiere proprio ora. Noi abbiamo parlato con un medico 29enne operativo in val Seriana tra medico di base e guardie mediche.

di Federico Biffignandi
21 marzo 2020 | 07:45
 

Medici eroi, medici che si interrogano, medici che discutono e si contraddicono, medici che non sanno fare il loro mestiere, medici che si ammalano, medici che fingono di ammalarsi, medici che muoiono. Una delle categorie sul quale si sta concentrando più l’Italia intera - nel bene e nel male - è sicuramente quella dei medici e degii ospedali che sono chiamati da una parte a studiare il coronavirus e dall’altra a curarlo dovendo far fronte al panico dilagante della gente. I volti dei professoroni campeggiano in televisione e i loro cognomi occupano colonne intere dei principali quotidiani nazionali ed internazionali. Ma gli altri? I giovani medici ad esempio, quelli che si stanno affacciando al delicato ma determinante mondo della professione come stanno vivendo questo momento? Cosa si prova a ritrovarsi in una situazione di pandemia e dovervi far fronte con un’esperienza umana e tecnica ancora acerba?

Medici sotto stress per l'emergenza virus - Un giovane medico in zona rossa: «Situazioni toste con turni da 21 ore»

Medici sotto stress per l'emergenza virus

Noi lo abbiamo chiesto a un giovane medico di Bergamo che a 29 anni e con un corso di medico di base che stava procedendo nella normalità, si è ritrovato in piena zona “rossa” (quella della media val Seriana, in provincia di Bergamo) a sostituire medici di base in malattia o a effettuare turni in guardia medica per sostituire medici che sono stati richiamati a gran voce negli ospedali. Preferendo l’anonimato ci limiteremo a chiamarlo “giovane medico” perché - in fondo - parla lui ma rappresentando la voce e il lavoro di altri colleghi coetanei presenti nel sistema sanitario italiano. «Sto facendo la guardia medica ad Albino per 8 turni al mese - racconta - in più sto sostituendo un medico di base a Nembro in centro al Paese con mille pazienti. Questa settimana ho fatto anche un turno di guardia diurna perché mancano medici di base (aluni sono malati, alcuni in quarantena per avere avuto contatti sospetti prima che scoppiasse il caos) e quindi bisogna ricorrere ad una soluzione d’emergenza come questa. La situazione è critica perché ci sono 7mila pazienti scoperti e il lavoro è enorme per visite e certificati di malattie. Il carico di lavoro è tosto».

Se negli ospedali si vede la sofferenza vera e si è chiamati a curare, sul territorio i medici di base come il nostro “giovane medico” si ritrovano a dover gestire situazioni apparentemente più semplici, ma al contempo estremamente delicate perché di fatto sono “al fronte”, in prima linea e da gestire c’è soprattutto una particolare situazione psicologica. «La gente ha paura in generale del coronavirus - dice - ma nessuno crede di potercelo avere davvero. Dalle parti dove visito io c’è poca consapevolezza, tanti chiedono di farsi visitare nonostante sappiano che ogni tipo di contatto - anche quello con il medico - sia estremamente sconsigliato. Particolare notare come nessuno chiami più per una pressione magari non perfetta, ma piuttosto perché ha 37 di febbre, cosa che di norma non accade mai. Chiaro che in questi casi nascano anche situazioni di tensione: ho parlato telefonicamente con una persona la cui moglie aveva il coronavirus; mi ha spiegato che anche lui aveva qualche sintomo, mi ha chiesto se potevo visitarlo, ma gli ho detto che era meglio di no perché molto probabilmente lo aveva contratto anche lui e la sintomatologia era molto lieve. Gli ho spiegato di stare a casa dal lavoro e di tenere monitorata la situazione, aggiornandomi telefonicamente, ma senza venire in ambulatorio. Si è spazientito, non ha compreso la situazione».

Lecito pensare che per un giovane medico trovarsi in una situazione così sia estremamente complicato, ma al tempo stesso stimolante. «Dico a mo’ di battuta ma senza discostarmi molto dalla realtà - prosegue - che noi siamo le uniche partita iva che stiamo lavorando perché la maggior parte del lavoro è lavoro autonomo. Sicuramente è un’occasione che dal punto di vista formativo non tornerà mai più. Si può imparare molto grazie ai numerosi articoli scientifici e studi che stanno uscendo e che provengono soprattutto dalla Cina. Dal punto di vista strettamente lavorativo invece a tratti provo frustrazione perché posso fare davvero poco nella mia posizione. Posso fare solo un lavoro di “scrematura” di pazienti che necessitano di ricovero ospedaliero e pazienti che invece si possono gestire anche telefonicamente e a domicilio. Purtroppo c’è molto poco da fare. In guardia medica le visite a casa sono soprattutto constatazioni di decesso. A livello ambulatoriale ci affidiamo molto al saturimetro che misura la percentuale di ossigenazione del sangue. In base a quello riusciamo a capire lo stato di gravità di un paziente affetto da coronavirus. Ecco io dico: piuttosto che correre a comprare mascherine, acquistate un saturimetro e monitorate la percentuale. Tra 95-100 nessuna preoccupazione. Tra 90-95 bisogna monitorare e parlarne con il medico. Di meno, la gravità aumenta ma purtroppo è una “partita” a chi ha meno saturazione per poter essere curato in ospedale».

E dal punto strettamente medico, come analizzi questo virus? «Si tratta di un virus “bastardo” - spiega - perché presenta delle fasi di ossigenazione del sangue molto variabili. Abbiamo visto che il pericolo maggiore si corre tra il sesto e l’ottavo giorno di febbre. Ma capita che visiti un paziente con 95 di saturazione che dopo poche ore crolla. Questo anche perché le polmoniti generate dal coronavirus sono virali e non batteriche e quindi individuarle risulta molto più complesso sia auscultando i polmoni che facendo una radiografia».

Ci sono episodi che ti hanno segnato di più in queste settimane? «Sono arrivato a lavorare 21 ore al giorno - racconta - e ritrovarmi a dover gestire ancora pazienti senza forse la dovuta lucidità. Mi sono ritrovato senza camici monouso e dover visitare a distanza alcuni pazienti. Ho visitato un uomo di 70 anni che serenamente era venuto da me per farsi visitare, ma l’ho trovato in condizioni davvero pessime. Ho richiesto personalmente l’intervento del 112 il quale però non voleva mandarmi l’ambulanza e dopo 10 minuti di discussione ce l’ho fatta, ma l’operatrice ha registrato con maggior chiarezza del solito la telefonata per sottolineare che sarebbe stato tutto sotto la mia responsabilità. Lo stesso paziente si è fatto quache giorno di ventilazione assistita, poi è stato dimesso, se l’è cavata. Sono situazioni complesse, non è sempre facile parlare con i pazienti e far capire loro la situazione, ma il segreto sta nell’essere sempre molto franchi e utilizzare qualche stratagemma per convincerli».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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