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Fase 2, è una questione politica Ma cosa ci sta a fare la task force?

Si parte. No, non si parte. Conte annuncia che si procederà con cautela, ma alcuni Governatori pressano per ripartire. Gli scienziati tentennano ancora e la task force sta a guardare.

di Federico Biffignandi
 
19 aprile 2020 | 11:19

Fase 2, è una questione politica Ma cosa ci sta a fare la task force?

Si parte. No, non si parte. Conte annuncia che si procederà con cautela, ma alcuni Governatori pressano per ripartire. Gli scienziati tentennano ancora e la task force sta a guardare.

di Federico Biffignandi
19 aprile 2020 | 11:19
 

«Gli effetti positivi di contenimento del virus e di mitigazione del contagio si iniziano a misurare, ma non sono ancora tali da consentire il venir meno degli obblighi attuali e l’abbassamento della soglia di attenzione». Lo ha scritto il Premier Giuseppe Conte sul proprio profilo Facebook, al termine della riunione della cabina di regia sullo «schema di lavoro per la “fase due” che l’Esecutivo sta portando avanti, coadiuvato dalla task force di esperti e dal comitato tecnico scientifico».

Vincenzo De Luca, Giuseppe Conte e Luca Zaia - Fase 2 questione politica Ma che ci sta a fare la task force?

Vincenzo De Luca, Giuseppe Conte e Luca Zaia

Acqua sul fuoco dunque, almeno apparentemente dove il fuoco è la voglia di ripartire delle Regioni che insistono per riaprire con certezza il 4 maggio e concedere deroghe ad alcune attività produttive già dal 27 aprile. L’ennesimo round Governo-Regioni dove per una mano tesa c’è una frecciata nascosta.

Ma andiamo per ordine. La decisione ultima - a maggior ragione per quello che concerne le attività produttive - spetta al Governo per cui la premessa è tutto ciò che sta progettando Palazzo Chigi, il quale ha chiarito che ogni decisione sarà di carattere nazionale e non regionale.

«Nel frattempo - prosegue Conte nel suo post - continua incessantemente il lavoro del Governo a un programma nazionale che possa consentire una ripresa di buona parte delle attività produttive in condizioni di massima sicurezza, che tenga sempre sotto controllo la curva epidemiologica e la capacità di reazione delle nostre strutture ospedaliere. Anche i rappresentanti dei governi locali hanno espresso adesione al disegno dell’Esecutivo di adottare un piano nazionale contenente linee guida omogenee per tutte le Regioni, in modo da procedere, ragionevolmente il 4 maggio, a una ripresa delle attività produttive attualmente sospese, secondo un programma ben articolato, che contemperi la tutela della salute e le esigenze della produzione. Un piano così strutturato dovrebbe garantirci condizioni di massima sicurezza nei luoghi di lavoro e sui mezzi di trasporto. Dovremo proseguire nel confronto con tutte le parti sociali e le associazioni di categoria per ribadire la comune volontà di rafforzare il protocollo di sicurezza nei luoghi di lavoro, già approvato lo scorso mese di marzo, e di continuare sulla strada del potenziamento dello smart working».

In un’intervista a Il Giornale pubblicata sull’edizione di oggi però, Giuseppe Conte ha anche evidenziato che «io sono sempre per un governo politico che ci mette la faccia», come a voler sottolineare il fatto che oltre alla salute, all’economia, ai rapporti Stato-Regioni, ci sia la volontà di difendere una propria posizione politica consapevole del fatto che molta della sua carriera passa da questa emergenza.

E allora questo apre le porte ad un dibattito davvero politico dove ogni considerazione è buona e ogni proposta ha “secondi fini”. Una soluzione unica e nazionale appare in questo momento poco aderente alla realtà considerando la macchia di leopardo con la quale si sta diffondendo il coronavirus. La Campania minaccia di chiudere i confini. La Puglia invita gli italiani ad andare lì in vacanza. Il Veneto annuncia che è già pronto per la ripartenza. La Lombardia vuole ripartire in fretta, ma in sicurezza. Caos. La domanda più banale, ma che dovrebbero probabilmente porsi è: Perché in Basilicata - dove ormai i contagi sono costantemente vicini allo zero - devono esserci le medesime restrizioni della Lombardia dove si è registrato ieri il 94% dei casi nazionali?

Prevenzione? Forse sì, ma è ormai chiaro che il coronavirus non sparirà dall’oggi al domani e non ci sarà mai la certezza che scomparirà del tutto. Va da sé che sarebbe eccessivamente prudente (e dunque ugualmente controproducente di una ripresa forzata) aspettare e aspettare ancora. Pesano su ogni provvedimento prossimo le decisioni “leggere” prese ad inizio epidemia, come una cicatrice che impedisce di agire liberamente che getta il Governo in preda alla paura di sbagliare ancora.

E poi: se la questione a questo punto diventa “politica” e di “metterci la faccia”, che senso ha avuto creare una task force (che a tratti sembra arraffazonata)? La cabina di regia “apolitica” e gestita soprattutto dalla scienza appariva una buona soluzione, ma forse non sta agendo con la stessa libertà che si sperava. Epperò, anche gli scienziati non ci stanno aiutando. Ci avevano detto che si sarebbe potuto ripartire con una moderata serenità quando il fattore R0 sarebbe sceso sotto l’1. Ora, ci siamo eppure si sta facendo marcia indietro. «La parola chiave - ha detto al Corriere Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità - è convivere per mesi col virus e rispettare individualmente le regole per evitare il contagio. Nel tempo avremo più conoscenze su come si diffonde il Sars CoV 2, più farmaci e più strumenti di diagnosi però non fasciamoci la testa. Lo batteremo solo con l’immunità di gregge data dal vaccino che non arriverà prima di fine anno».

Siamo alle solite: parlateci chiaramente, oppure tacete per sempre (almeno fino a quando non ne verrete ad una).

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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