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Marzano: Adattamento e rimozione Così il cervello ci farà ripartire

Il sociologo Marco Marzano prova ad immaginare come sarà la ripartenza dopo la quarantena forzata da un punto di vista sociale e psicologico. «Difficile oggi fare previsioni, ma il cervello dell'essere umano è programmato per adattarsi e rimuovere, per cui si può presupporre che ripartiremo senza troppe difficoltà».

di Federico Biffignandi
02 aprile 2020 | 07:28
Marzano: Adattamento e rimozione 
Così il cervello ci farà ripartire
Marzano: Adattamento e rimozione 
Così il cervello ci farà ripartire

Marzano: Adattamento e rimozione Così il cervello ci farà ripartire

Il sociologo Marco Marzano prova ad immaginare come sarà la ripartenza dopo la quarantena forzata da un punto di vista sociale e psicologico. «Difficile oggi fare previsioni, ma il cervello dell'essere umano è programmato per adattarsi e rimuovere, per cui si può presupporre che ripartiremo senza troppe difficoltà».

di Federico Biffignandi
02 aprile 2020 | 07:28
 

Abbiamo passato la fase psicosi e ora stiamo affrontando quella dell’adattamento alla quarantena. Da buoni uomini del 2000 però ci stiamo già proiettando al dopo, abbiamo fretta di sapere, di conoscere, il mistero ci terrorizza e ci stiamo affannando a capire cosa possa aspettarci. Peccato che tutto ciò non sia possibile perché il nemico con il quale stiamo combattendo non si è ancora palesato.

Abbiamo provato ad affrontare la questione con Marco Marzano, docente di sociologia all’Università di Bergamo, che era già intervenuto sul nostro network a inizio epidemia per inquadrare la questione all’epoca.

Torneremo a riabbracciarci - Marzano: Adattamento e rimozione Così il cervello ci farà ripartire

Torneremo a riabbracciarci

Professore, qualcuno inizia già ad allarmarsi perché ritiene che il popolo sia pronto alla rivolta contro le restrizioni imposte dal Governo. Lei pensa ci sia questo rischio?
No, credo di no. Penso che si possa verificare una maggior difficoltà nel tenere la gente a casa una volta che avremo risultati consistentemente confortanti. Le autorità a quel punto inizieranno a predisporre una ripresa, ma questo potrebbe essere interpretato da alcuni con leggerezza, come fosse una autorizzazione a tornare alla vita di sempre. Bisognerà vedere la nostra capacità di tenuta morale quando arriveranno notizie buone; sarà una procedura complessa quella del rientro, che chiederà la stessa disciplina che ci viene chiesta oggi.

Ma lei si è fatto un’idea di come potrebbe essere il mondo post-coronavirus? Cosa dobbiamo aspettarci?
Credo che innanzitutto bisogna evitare di prefigurare scenari catastrofici che ad ora sono possibili, ma non sono né probabili né certi. Si sentono pronunciare sentenze inappellabili su fine della globalizzazione, fine del capitalismo, fine dell’epoca di pace, fine del mondo addirittura, ma il quadro è ancora di grandissima incertezza. Ci sarà sicuramente una recessione economica, che tuttavia mi sembra ancora molto indeterminata: si va da stime che prevedono cali dal 3,5 al 10% del Pil per cui un range che va da una situazione difficile ad una catastrofica. Ci sarà l’esigenza di rivedere la dotazione dei nostri sistemi sanitari sicuramente, così come le competenze tra Stato e Regioni. Ma prevedere il mondo dopo l’isolamento è un esercizio difficile. Secondo me l’impatto complessivo lo misureremo stando all’impatto che la crisi avrà sul piano globale e come influenzerà le sorti della politica nostra ed estera con occhio di riguardo a Stati Uniti e Cina, ma anche all’Europa. Sono tutti in attesa insomma.

Marco Marzano - Marzano: Adattamento e rimozione Così il cervello ci farà ripartire
Marco Marzano

Ma gli essere umani? Come reagiranno? Come ritorneranno a vivere?
La crisi è tremenda, ma gli esseri umani sono portati per natura a rimuovere oltre che, prima di tutto, ad adattarsi. Chi l’avrebbe mai pensato - ad esempio - che gente in mascherina avrebbe fatto la coda al supermercato quasi fosse un film di fantascienza? Io paragonerei questa situazione a quella di una malattia, cioè di quando una persona improvvisamente si accorge di essere malata. L’esperienza della malattia ha un impatto grande sulla vita della persona coinvolta. Gli atteggiamenti che si maturano una volta guariti però sono molto diversi da soggetto a soggetto. Qualcuno prende quella parte di vita come un capitolo della propria biografia e ne esce più forte o comunque più consapevole, cambia la direzione e l’idea che ha di sé e della vita; c’è chi invece si fa passare la malattia come un brutto momento da dimenticare e che si spera non torni mai più. Questo sarà molto soggettivo.

A inizio quarantena qualcuno era quasi contento perché pensava che l’umanità sarebbe cambiata in 40 giorni. Il filosofo Massimo Cacciari ha fatto colpo perché alla domanda “In cosa si sente cambiato con questa quarantena?” ha risposto “Niente”. Lei da che parte sta?
Dico subito che in quella domanda ha dei connotati negativi, come se l’essere umano si fosse meritato tutto ciò. Io non ci credo, penso sia un modo di vedere le cose sbagliato e che colpevolizza chi non ha responsabilità. Io penso che non stiamo cambiando, l’ho visto anche nel corso che ho dovuto fare quasi completamente online: si sono create le solite dinamiche dopo un primo momento di disorientamento.

Sul concetto di socialità e asocialità forzata invece?
Le nostre qualità umane e il nostro desiderio di vivere la vita da animali sociali è più forte delle restrizioni. Riemergono queste cose nell’amicizia, si stanno riscoprendo legami che non immaginavamo. L’assenza di socialità riporta la socialità stessa al centro perché capiamo la nostra essenza, ora sappiamo di cosa dobbiamo riappropriarci in modo consapevole e non pericoloso.

Qualcuno vorrebbe che ci ispirassimo alla disciplina dei cinesi per uscire dalla crisi, senza considerare però che loro sono sotto una dittatura e dovremmo sobbarcarci numerose altre scelte che niente hanno a che fare con noi. Lei pensa che gli italiani - comunemente noti per la loro indisciplina - facciano più fatica a rispettare le limitazioni?
Noi siamo stati sotto dittatura per vent’anni, ma io non ne farei una ragione culturale. L’elemento culturale è scarsamente rilevante in questa discussione, anche perchè gli italiani nella storia sono stati, a fasi alterne, sul tetto del mondo e sul fondo del mondo sotto tutti i punti di vista. A questa cosa del carattere dei popoli non credo. I cinesi sotto dittatura e con l’esigenza di misure drastiche è chiaro che hanno seguito comportamenti disciplinati. In democrazia le autorità devono invece fare affidamente sul senso di responsabilità dei cittadini, non si può pensare di pattugliare la città con i caccia borbandieri: se non fosse così sarebbe un colpo da ko per la nostra civilità. Lo stereotipo degli italiani indisciplinati o che gli italiani non sono in grado sono forme di razzismo che noi stessi coltiviamo purtroppo, ma sono del tutto sbagliate. Abbiamo le risorse per adeguarsi all’oggi e per ripartire.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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