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Fermare il calcio o ripartire? Attenzione, non tutti sono Ronaldo

Il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina ha detto che non chiuderà i campionati. Riprendere sarebbe un rischio, ma chiudere creerebbe perdite e disoccupazione in più.

di Federico Biffignandi
 
30 aprile 2020 | 12:16

Fermare il calcio o ripartire? Attenzione, non tutti sono Ronaldo

Il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina ha detto che non chiuderà i campionati. Riprendere sarebbe un rischio, ma chiudere creerebbe perdite e disoccupazione in più.

di Federico Biffignandi
30 aprile 2020 | 12:16
 

Il dibattito sulla ripartenza dei campionati di calcio è aperto, anzi apertissimo e forse come in nessun altro frangente la sfida tra salute ed economia si fa così serrata. Se si pensa al calcio come uno sport di ventidue bamboccioni che corrono dietro ad una palla in mutande, la parentesi si aprirebbe e chiuderebbe immediatamente: l’aspetto ludico in questo momento di crisi verrebbe in ultima battuta, soprattutto perché il rischio di contagio in quel frangente sarebbe estremo.

Cristiano Ronaldo - Fermare il calcio o ripartire? Attenzione, non tutti sono Ronaldo

Cristiano Ronaldo

Se però si esce un attimo dalla banalità nella quale si cade tutte le volte che si parla di pallone, allora forse qualche ragionamento in più si può fare. I numeri aiutano sempre ad inquadrare la situazione: il calcio italiano genera un fatturato da 4,7 miliardi di euro componendo il 12% del Pil del mondo calcio a livello internazionale. Fermare tutto, anzi mantenere fermo tutto perché ormai sono quasi due mesi che non si gioca più, significherebbe creare un danno economico probabilmente irreparabile.

Spallucce? Tanto i calciatori sono miliardari e possono vivere di rendere? Forse è riduttivo. Perché se si può discutere sul fatto che, anche se miliardari, i calciatori hanno comunque il diritto di preoccuparsi per la propria situazione economica attuale e futura, si può tergiversare meno su un altro aspetto. Una squadra di calcio professionistica è un’azienda vera e propria (la Juventus, l’italiana più ricca fattura quasi 460 milioni di euro) con un presidente, dei dirigenti e dei dipendenti che guadagnano da milioni di euro (come i calciatori) a poche, pochissime migliaia di euro, come tutti i componenti dei vari staff.

Ebbene, se il calcio si ferma e rischia di non ripartire quanti altri disoccupati genera? Tanti. E a livello di peso specifico quanto grave sarebbe questo? Molto. Perché se è vero che Cristiano Ronaldo può vivere tre vite (agiate) con i soldi del calcio, è altrettanto vero che il signor Mario Rossi, magazziniere o inserviente, resta sulla strada come un operaio qualunque.  

Il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina ha spiegato nelle ultime ore che lui la responsabilità di chiudere i campionati non se la prende e che se il Governo deciderà per questa via si atterrà. «Con la chiusura totale - ha detto - il sistema perderebbe 700-800 milioni, se si dovesse giocare a porte chiuse 300 e si ripartisse a porte aperte la perdita ammonterebbe a 100-150 milioni, anche se quest'ultima ipotesi non è percorribile. Io sto tutelando gli interessi di tutti, quindi, ripeto, mi rifiuto di mettere la firma ad un blocco totale, salvo condizioni oggettive, relative alla salute dei tesserati, allenatori, staff tecnici e addetti ai lavori, ma qualcuno me lo deve dire in modo chiaro e mi deve impedire di andare avanti».

Insomma, l’industria calcio non è solo composta da ragazzotti capricciosi con la Ferrari. Chiudere il parco giochi per loro significherebbe trascinare nel baratro un indotto enorme composto da sponsor, televisioni, addetti ai lavori da dietro le quinte, media. E non sono Cristiano Ronaldo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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