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Portarsi la bottiglia da casa, perché no? Byob entra nella ristorazione di qualità

Nell’ampliamento costante dei servizi di qualità resi ad una clientela sempre più avveduta ed esigente, fa spicco, a beneficio di tutti, il servizio Byob: portarsi da casa la bottiglia di vino al ristorante

di Vincenzo D’Antonio
 
18 luglio 2017 | 18:29

Portarsi la bottiglia da casa, perché no? Byob entra nella ristorazione di qualità

Nell’ampliamento costante dei servizi di qualità resi ad una clientela sempre più avveduta ed esigente, fa spicco, a beneficio di tutti, il servizio Byob: portarsi da casa la bottiglia di vino al ristorante

di Vincenzo D’Antonio
18 luglio 2017 | 18:29
 

È metodologicamente corretto, vincente l’approccio, svolgere attenta analisi di scenario ponendo enfasi sui fattori di insuccesso, debolezze e minacce, ancor più che sui fattori di successo, forze ed opportunità. È, per dirla in altre parole, il ruolo del cosiddetto “avvocato del diavolo”, ovvero di colui il quale mette in guardia dalle insidie di un percorso da intraprendere.

Portarsi la bottiglia da casa, perché no? Byob entra nella ristorazione di qualità

Tutto ciò posto in premessa, tale metodo applicando meticolosamente, tuttavia, nel fatto di specie, non riusciamo a scovare debolezze e minacce, ovvero sia motivazioni endogene che motivazioni esogene, all’attuazione sul campo, parliamo del campo della ristorazione di qualità, del cosiddetto Byob. Cosa è il Byob? Sveliamo l’acronimo, di origine statunitense, e tutto diviene chiaro. Sta per Bring Your Own Bottle, ovvero porta al ristorante una tua bottiglia di vino. Piuttosto che porsi il “perché” del fatto, ovvero “perché il cliente dovrebbe portare al ristorante una sua bottiglia di vino?”, dovremmo correttamente, ciò fungendo da stimolo per guardare le cose con mente aperta, porci il “perché no” del fatto. Ovvero: e perché mai il cliente non potrebbe portare al ristorante una sua bottiglia di vino?”.

Il ristoratore poco accorto, avvezzo ad un ragionamento superficiale che ruota intorno ad una logica di incasso immediato, potrebbe dire che tra le sue “revenue streams”, fermo restando che tra codeste la principale dovrebbe essere quanto esita la cucina, vi è anche la vendita, mediante lo strumento di comunicazione costituito dalla carta dei vini, di bottiglie di vino accatastate nella sua cantina. E ciò è contabilmente vero. Con il Byob perdo soldi, potrebbe affermare il ristoratore. No, semplicemente, senza Byob perdi clienti e quindi, di conseguenza, perdi soldi, ovvero decrementi il tuo business. Un ristoratore avveduto, ben conscio che la continuità del profitto di intrapresa scaturisce dall’appagamento della customer experience fatta sorprendentemente vivere ai suoi clienti, diverrebbe agevolmente fautore del Byob. Ma, attenzione, il Byob ha le sue regole, tanto poche quanto chiare e note agli attori.

Vediamole, queste regole. Innanzitutto il cliente è abilitato a portare al ristorante una sua bottiglia di vino posto che l’etichetta in questione non sia presente nella carta dei vini del ristorante. E come fa il cliente a sincerarsi di ciò? Nel passato avrebbe telefonato. Ed oggi? Ah, nulla di più facile! Il cliente accede al sito del ristorante, apre virtualmente la carta dei vini ed ottiene l’informazione. Ovviamente, a monte ed a scanso di equivoci, il ristoratore ha comunicato in rete, sui social e sui supporti tradizionali, la sua erogazione del servizio Byob. Il cliente nell’arrivare al ristorante, molto probabilmente non da solo (!), sa di dover consentire al sommelier oppure in sua vece al direttore di sala, un meditato assaggio di quel vino. Un assaggio professionale, qualche “cl” per capirci. E perché mai? Affinché la professionalità che assaggia questo vino non (ancora) presente in carta possa pensare ad un’eventuale inclusione in carta di questa etichetta.

Inoltre, sia ben chiaro, il servizio Byob ha un costo; un costo, inteso come componente di servizio, più che legittimo, sia ben chiaro! Una fee intesa come servizio di stappatura della bottiglia e di predisposizione alla mescita ed una fee pro capite, ovvero per ogni commensale al tavolo. Stiamo parlando di importi molto bassi. Diciamo intorno ai due euro per la fee di stappo (gergalità inelegante, bisogna riconoscerlo!) ed intorno ad un euro per ciascheduno commensale. Ciò per ogni bottiglia in quanto, in funzione del numero dei commensali, il cliente potrebbe arrivare anche con due, tre bottiglie dello stesso vino oppure anche di vini differenti sempre fatto salvo il prerequisito dell’assenza in carta di questi vini. Ma torniamo al caso di una sola bottiglia per un classico tavolo da quattro commensali.

La revenue immediatamente tangibile per il ristoratore (soldini nel cassetto di quella sera) è sei euro, ovvero all’incirca il guadagno netto proveniente dalla vendita di una bottiglia presente in carta al prezzo di 12 euro. E le revenue intangibili? La presa di conoscenza, fattore fondamentale nella knowledge economy, di un’. etichetta probabilmente sconosciuta o sottovalutata, la correlata presa di conoscenza di un abbinamento con pietanze presenti in carta, il gradimento suppletivo di una clientela che gradisce, in tutta evidenza, il servizio Byob. La comunicazione efficace che da tale servizio scaturisce: fattore distintivo verso altri ristoratori non ancora pronti al passo, attrattività verso altri profili di clientela, soprattutto i Millennials, a questo tipo di servizio naturalmente propensi.

Argomentazioni che inducono a non abbracciare il servizio Byob? Ci abbiamo pensato a lungo, ma non ne abbiamo trovate. Davvero, argomentazioni razionali non ne abbiamo trovate. E perché il servizio Byob è ancora di nicchia? Non vi è argomentazione bensì, fatto grave, vi è atteggiamento. Ed in questo caso, come ahinoi sovente accade, è l’atteggiamento pigro cagionato dalla neofilia, ovvero dalla paura del nuovo. Se solo, come si diceva, ci si approcciasse alle evenienze chiedendosi non il “perché”, bensì il “perché no” delle cose.

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