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Il problema del food cost Quanto costa il cibo che compriamo?

È di moda mostrare confidenza con la problematica del food cost. Tuttavia sarebbe meglio se a questa confidenza corrispondesse conoscenza certa di questo fattore, delicato per il buon andamento dell’impresa ristorante . Qui del food cost verranno trattati i due margini laterali.

di Vincenzo D’Antonio
28 luglio 2018 | 09:35
Il problema del food cost 
Quanto costa il cibo che compriamo?
Il problema del food cost 
Quanto costa il cibo che compriamo?

Il problema del food cost Quanto costa il cibo che compriamo?

È di moda mostrare confidenza con la problematica del food cost. Tuttavia sarebbe meglio se a questa confidenza corrispondesse conoscenza certa di questo fattore, delicato per il buon andamento dell’impresa ristorante . Qui del food cost verranno trattati i due margini laterali.

di Vincenzo D’Antonio
28 luglio 2018 | 09:35
 

È di moda mostrare confidenza con la problematica del food cost. Tuttavia sarebbe meglio se a questa confidenza corrispondesse conoscenza certa di questo fattore, delicato per il buon andamento dell’impresa ristorante . Qui del food cost verranno trattati i due margini laterali.

Con questo vogliamo intendere che diamo per acclarato cosa sia il “beef” del food cost (il costo del cibo in sé) e vogliamo esplorare le parti in penombra per poi scoprire che esse rivestono ruolo cruciale per il miglioramento complessivo della prestazione aziendale.

(Il problema del food cost Quanto costa il cibo che compriamo?)

Primo aspetto: quello endogeno.

Il doveroso focus sul costo del cibo non può prescindere da un esame dal quale sovente si svicola: “quanto costa comprare?" Interrogativo cruciale da porsi ancor prima della domanda: “quanto costa il cibo che compro?”.

Pazientemente facciamo ancora un’altra precisazione, ovvero distinguiamo, così imparando a non usarli come sinonimi, i momenti dell’acquisto (acquistare) da quelli dell’approvvigionamento (approvvigionarsi).

L’acquisto contempla l’atto della decisione. In coerenza con la linea di cucina, si individuano le linee di prodotti, per ciascun prodotto si individuano i produttori e nell’ambito di essi, attuando la short list, si prescelgono i tre fornitori. Qui stiamo assumendo che sia già consolidata policy aziendale agire secondo la filiera corta, ovvero saltare anelli intermedi ed arrivare direttamente al produttore/fornitore.

Tre fornitori, ovvero tre brand per ogni prodotto: il “fornitore titolare”, il “fornitore alternativo”, il “fornitore supplente”. Ci sarebbe molto da ampliare ed approfondire su questo tema della short list dei fornitori e del loro ranking, e ci si ripromette di farlo in un altro momento.

Quindi, compiuta la decisione di acquisto ed essendo arrivati perciò ad un approvvigionamento di “prima volta”, si tratta adesso, per quello specifico prodotto, di studiare ed introdurre i tempi ed i metodi di approvvigionamento, ovvero di reinserimento in magazzino di quel prodotto a fronte di una situazione di giacenza limite / sotto scorta.

Ecco, adesso che tutto è più chiaro possiamo serenamente tornare all’ardimentosa domanda: “quanto mi costa approvvigionarmi?” e ciò (repetita iuvat) a prescindere dal food cost come lo si intendeva.

In prima approssimazione potremmo affermare che un’organizzazione aziendale orientata al digitale è di gran lunga favorita nell’intraprendere percorso di minimizzazione dei costi di approvvigionamento. In un flusso di informazioni che parte dalla comanda via tablet/smartphone e che transita per la cucina, l’approdo è al magazzino.

Laddove, stante il corretto funzionamento dell’appropriato software, scatta l’automatismo della richiesta di approvvigionamento a fornitore. Contestualmente, dati gli agreement stabiliti in fase di trattativa di acquisto, scatta la procedura di pagamento con coinvolgimento del soggetto bancario. Posto che pagare comporti sempre ed esclusivamente corrispondere denaro a fronte di merce ricevuta. Potrebbe esserci anche altro.

Pietosamente vorremmo evitare persino di immaginare lo scenario di ristorante avulso dal coinvolgimento digitale. Scena del mattino (o della tarda serata): manca il tale prodotto. Telefonata concitata. Il prodotto arriva, bisognerà ricordarsi di pagare, di sistemare e forse, per litigio intercorso (può sempre accadere) si tratta anche di pensare a cambiare fornitore per l’ennesima volta.

(Il problema del food cost Quanto costa il cibo che compriamo?)

Pertanto per un’analisi complessiva del food cost, e siamo ancora al fattore endogeno, non si può prescindere dall’utilizzo sapiente e consapevole di uno strumento prezioso quanto purtroppo ancora ignoto ai più qual è il dashboard. Mediante dashboard si ha controllo all’istante di tutto quanto avviene nel ristorante.

E veniamo adesso al fattore esogeno.

Si tratta di pensare al ristorante come ad un’impresa coesiva. Qui si vuole intendere che il ristoratore si orienta in ottica coesiva, dalla quale trarrà vantaggi come conseguenza del suo specchiato agire, ad intrattenere efficaci e trasparenti relazioni con i suoi stakeholders: i suoi collaboratori, i suoi fornitori, la sua banca di riferimento, l’associazione di categoria alla quale ha scelto di appartenere, gli enti locali, le entità no profit, le scuole, l’Università e, last but not least, i suoi clienti, la community always on.

E quindi, le originali domande da porsi: quanto incide sul food cost complessivo (a sua volta componente importante dei costi totali dell’azienda) avere collaboratori qualificati e preparati, con i quali condividere la vision del ristorante e tutelarli sia come welfare che come sicurezza sul posto di lavoro? E quanto incide sul food cost complessivo commutare il produttore da fornitore a partner? E quanto incide sul food cost complessivo una partecipazione attiva nel mondo associativo su tematiche sociali ed ambientali? E quanto incide sul food cost complessivo essere partecipi dello sviluppo territoriale? E quanto incide sul food cost complessivo compartecipare ad istanze del mondo accademico? E quando incide (last, but not least) sul food cost complessivo sapersi relazionare con i clienti sui social media ed in rete?

La coesività, ad essa approcciandosi con onestà intellettuale altrimenti di mero autogoal trattasi, abilita il miglioramento della prestazione aziendale dacché agisce sia sul decremento dei costi che sull’incremento dei ricavi.

Insomma, la coesività è una soft skill rilevante per la competitività dell’impresa ristorante. Qui l’abbiamo introdotta come componente essenziale dell’aspetto esogeno del food cost. Tuttavia si intuisce che essa è ben altro nel senso che è pervasiva all’interno dell’azienda.

La coesività sottende un ampio e profondo patrimonio culturale e valoriale. Ma, appunto, è una soft skill: né la si compra, né la si vende. Ed anche il governo del fattore esogeno, così come abbiamo visto lo è anche del fattore endogeno, è reso percorribile dal dashboard.

Un dashboard che sappia just in time e just tailored, abolire tutto quel rumore fastidioso e nocivo che è dato dalle tempeste di informazioni sgradite e sappia invece indurre all’ascolto di suoni, ovvero delle informazioni (poche) utili e necessarie ai fini della comprensione dei fenomeni. Coesività come idea forte del ristoratore che vive ed opera nella digital society e dashboard come suo strumento imprescindibile.

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