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Nove semplici regole per limitare le infezioni alimentari

di Francesca Totò e Serena Pironi
 
29 giugno 2018 | 12:31

Nove semplici regole per limitare le infezioni alimentari

di Francesca Totò e Serena Pironi
29 giugno 2018 | 12:31
 

A giugno nella città di Pescara si è verificata una massiccia infezione alimentare che ha causato il ricovero di più di 180 persone tra bambini e docenti a seguito del consumo di alimenti contaminati somministrati nelle mense scolastiche. Sulla vicenda la procura di Pescara ha aperto un fascicolo contro ignoti.

Il microrganismo responsabile appartiene al genere Campylobacter, piccolo bastoncello elicoidale. Questo genere vede tra i vari suoi elementi uno particolarmente patogeno: Campylobacter jejuni. Resistente alle basse percentuali di ossigeno (quindi può resistere nelle confezioni in atmosfera protettiva), capace di moltiplicarsi in un range di temperature comprese tra i 37 e i 42°C, questo microrganismo a partire da dosi infettanti anche di poche unità (500 colonie) è in grado di provocare un’infezione gastroenterica da circa 48 ore di incubazione dall’ingestione dell’alimento infetto e i sintomi possono perdurare da 2 a 11 giorni.

(Poche semplici regole per limitare le infezioni alimentari)

Il Campylobacter è la terza causa di malattia alimentare batterica negli Stati Uniti (dati 2011) e coinvolge soprattutto bambini di età inferiore ai 5 anni e giovani adulti tra 15 e 29 anni. La campilobacteriosi può essere contratta attraverso il consumo di carni poco cotte di animali (pollame, maiale, manzo, ecc.), latte non pastorizzato, acque contaminate.

Ma risulta realmente così facile infettare un numero così cospicuo di persone partendo da una cucina? Purtroppo sì, perché probabilmente ancora oggi non vengono rispettate le basi preventive, ovvero le buone pratiche di lavorazione (Gmp) per evitare un’epidemia di tale portata. Le infezioni alimentari (malattie causate dall’ingestione di microrganismi vivi), e in particolare la campilobacteriosi, possono essere limitate seguendo poche semplici regole:
  1. Igiene del personale addetto alla preparazione dei pasti, corretto lavaggio delle mani e utilizzo di carta assorbente monouso per l’asciugatura;
  2. Rispettare modalità e tempi di contatto dei prodotti impiegati nella sanificazione delle superfici di lavoro e di tutti gli utensili impiegati;
  3. Separare fisicamente gli alimenti crudi da quelli cotti per evitare possibili cross-contamination da parte di microrganismi patogeni, utilizzare attrezzature e utensili (come taglieri, coltelli) dedicati per gli alimenti già cotti;
  4. Cuocere con attenzione e adeguatamente la carne rossa e il pollame, ovvero raggiungere i 70°C al cuore (temperature non scontate in cotture in umido e in forno);
  5. I cibi da riscaldare devono poter essere riportati a 70°C al cuore;
  6. I cibi cotti da conservare in condizioni refrigerate prima del riscaldamento devono essere abbattuti prontamente, ovvero portati a temperature sotto i 10°C nel più breve tempo possibile (non in ore), usare l’abbattitore è una garanzia, altrimenti applicare un bagnomaria a freddo (acqua fredda anche con ghiaccio);
  7. I cibi cotti che devono essere conservati in legame caldo devono poter essere mantenuti a 60-65°C;
  8. Se vengono preparati cibi marinati, assicurare che l’acidità sia bassa (pH < 4,5);
  9. Utilizzare acqua potabile e, se trattata con addolcitori, manutenere tali sistemi e cambiare eventuali filtri con opportuna frequenza, seguendo i consigli di manutenzione della casa madre.

La sicurezza alimentare è un dovere, ma è anche un utile strumento per un’attività che opera nel food. Puntare sulla qualità può avere un costo iniziale nel breve periodo, ma getta le basi per un sicuro miglioramento della propria organizzazione ed una garanzia per i propri clienti.

Per informazioni: www.tecnologialimentari.it

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