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Il ristoratore Cerioni invita i politici: «Venite a capire i nostri sacrifici»

Lettera del titolare del locale Alla Lanterna di Fano alla classe dirigente: «Ci sentiamo dei falliti agli occhi dei nostri figli. Ospito un parlamentare, non importa il colore, a lavorare con noi. Comprenderà la paura».

 
26 novembre 2020 | 18:14

Il ristoratore Cerioni invita i politici: «Venite a capire i nostri sacrifici»

Lettera del titolare del locale Alla Lanterna di Fano alla classe dirigente: «Ci sentiamo dei falliti agli occhi dei nostri figli. Ospito un parlamentare, non importa il colore, a lavorare con noi. Comprenderà la paura».

26 novembre 2020 | 18:14
 

In questi giorni di blocco dell’attività ristorativa, con lo spazio solo per consegne a domicilio e prendi e porta a casa, Flavio Cerioni, del ristorante Alla Lanterna di Fano, nel settore da tanti anni, ha scritto qualche riga frutto di pensieri e idee con cui si confronta da tempo.

La lettera a cuore aperto di Cerioni -
La lettera a cuore aperto di Flavio Cerioni, nella foto al centro in camicia e cravatta

Vita di sacrifici che rischia di essere vanificata
«Faccio parte di quella categoria di imprenditori per i quali sono stati ideati i ristori. Molti di noi li chiamano mancette perché realmente si tratta di pochi spiccioli che comunque, in questo momento, non abbiamo la possibilità economica di rifiutare. Non possiamo rifiutare, in queste condizioni, nemmeno un centesimo, perché molti, troppi di noi come il sottoscritto, rischiano di rendere del tutto vani i sacrifici di una vita intera».

«E tutto questo rischia di farci sentire moralmente dei falliti, soprattutto agli occhi dei nostri figli e dei nipoti ai quali stiamo negando quella possibilità di sognare, e di credere in nuove e migliori opportunità, che invece hanno offerto a noi i nostri padri e i padri dei nostri padri».

Regole che devono essere rispettate da tutti
«Non ho mai pensato che le soluzioni ai nostri problemi passino per ribellioni e esternazioni gratuite che piacciono solo alla stampa locale, avida di colore e di notizie scioccanti. Continuo a credere, come cittadino e come ristoratore, che vadano rispettate le regole. Però devono essere le regole di un gioco trasparente, dove a perdere non possiamo essere sempre e solo noi».

«O le regole di un codice stradale che preveda per noi solo il semaforo rosso e lo stop, mentre altri possono sfrecciare a tutta velocità. Le regole, nel male e nel bene, devono essere uguali per tutti. Dopo che tutto questo sarà passato, perché prima o poi passerà, vorrei riuscire, un giorno, a ospitare nel mio ristorante un politico, non importa di che colore. E vorrei che potesse lavorare con noi con i nostri stessi orari, dalla mattina presto a notte fonda».

«Vorrei fargli indossare la giacca da cuoco fin da quando si iniziano a pulire le prime verdure fino a quando viene l’ora di uscire in sala per ricevere i complimenti per i piatti e, a notte fonda, si sparecchia prima di chiudere. Vorrei che venisse a fare la spesa e controllasse con me fatture, tasse, costi, oneri, contributi, mettendoli tutti in fila e facendo la somma di una giornata di lavoro».

Un lavoro fatto di sacrifici mentali e fisici
«Credo che se un politico intelligente e attento vivesse realmente sulla sua pelle, attimo per attimo, le difficoltà di questo bellissimo mestiere che noi facciamo tutti i giorni, potrebbe tornare alla sua scrivania più consapevole e più utile a tutti noi e all’intera collettività».

«Mi si lasci dire, senza alcuna retorica, che il nostro è un lavoro stupendo ma anche molto duro, fatto di sacrifici mentali e fisici, che adesso – ora che siamo pressochè fermi, ora che stiamo vivendo in questa dolorosa e pericolosa sospensione - è gravato anche dalla sensazione e dalla paura di precipitare e dal senso di incomprensione di una politica incapace di mettersi nei nostri panni e di comprendere realmente i nostri veri problemi, che ormai riguardano la nostra stessa sopravvivenza come imprenditori».

«Per questo vorrei che un politico, un giorno, venisse a trovarmi con il coraggio e la voglia di indossare, in tutti i sensi, la giacca da cuoco. Per avere, almeno io, la sensazione che esiste ancora qualcuno capace di capire cosa stiamo facendo e con che cosa stiamo confrontandoci in questo momento così difficile».

Resta solo l'asporto, ma lo si fa con grande cura
«Non voglio aggiungere altro. Ma colgo l’occasione per abbracciare colleghe e colleghi che, come me, stanno preparando piatti da asporto con la stessa cura di quando hanno la sala piena. Anche questo è un modo per fare onore al nostro bellissimo lavoro».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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