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Pasquale Laera, allievo di Cannavacciuolo: «Da lui ho imparato molto»

Uno degli emergenti della cucina italiana ha la stella nelle Langhe, dove la clientela si aspetta molto. Nelle cucine del Ristorante Borgo Sant'Anna si respira la tradizione e la voglia mai sazia di stupire

di Nadia Afragola
 
01 marzo 2021 | 09:31

Pasquale Laera, allievo di Cannavacciuolo: «Da lui ho imparato molto»

Uno degli emergenti della cucina italiana ha la stella nelle Langhe, dove la clientela si aspetta molto. Nelle cucine del Ristorante Borgo Sant'Anna si respira la tradizione e la voglia mai sazia di stupire

di Nadia Afragola
01 marzo 2021 | 09:31
 

Il 2020 è stato l’anno della definitiva consacrazione del giovane chef Pasquale Laera, con i suoi capelli da poeta scapigliato e quegli occhi profondi come la passione che lo ha spinto a diventare uno dei cuochi più promettenti del nostro Paese. Pasquale Laera è uno dei discepoli prediletti di Antonino Cannavacciolo, nei suoi gesti c’è tutta l’italianità di un pugliese di nascita, piemontese d'adozione. Nella sua cucina si respira la tradizione e una voglia mai sazia di stupire. La sua Stella è figlia delle Langhe, un territorio difficile per uno chef, perché lì la competizione è serrata come in poche altre zone d’Italia.

Pasquale Laera - Laera, allievo di Cannavacciuolo: Le sue pacche sono segni d'affetto

Pasquale Laera

A novembre dello scorso anno lo chef, classe 1988 (già stella Michelin al ristorante La Rei presso il Boscareto Resort), si conferma uno dei cuochi più interessanti del panorama gastronomico italiano e lo fa cucendosi sul petto la stella Michelin grazie alla cucina che propone al ristorante Borgo Sant'Anna a Monforte d'Alba (Cn).

Che anno è stato per lei il 2020?
È stato un anno davvero emozionante, sono passato dall'euforia incontrollabile, dopo la notizia della stella Michelin, al rammarico di non poter lavorare. Non avere più la continuità mi è pesato davvero tanto. Ho capito che questo mestiere mi manca quando non sono in cucina,  nonostante io abbia potuto godermi la mia famiglia, avendo anche più tempo per me, cosa decisamente anomala per uno chef.

Risotto, chiocciole di Cherasco e lumachine di mare - Laera, allievo di Cannavacciuolo: Le sue pacche sono segni d'affetto
Risotto, chiocciole di Cherasco e lumachine di mare

Perché la Michelin l’ha premiata?
Credo che abbia semplicemente capito a fondo il mio progetto. Nel ristorante ho scelto tutto, dall'abbigliamento alla tecnologia, dai piatti, realizzati ad Asti da un artigiano che ha utilizzato la pietra di Langa, fino al servizio in sala, che viene fatto con le scarpe da tennis. Ho tolto l'amuse bouche inziale, cosa insolita per un ristorante in Guida. Ma la Rossa ha deciso comunque di premiarmi. Questo mi ha fatto capire che siamo sulla strada giusta.

Però se la aspettava, i pronostici erano dalla sua.
Al contrario, dico la verità! Non me l'aspettavo. L'anno non era propizio per via del Covid, ma ero ottimista perché credevo moltissimo nella mia squadra.

Una cucina legata alla tradizione, ma con una voglia mai sazia di stupire - Laera, allievo di Cannavacciuolo: Le sue pacche sono segni d'affetto
Una cucina legata alla tradizione, ma con una voglia mai sazia di stupire

Le è mancata l'emozione di non salire sul palco della Michelin?
Mi è mancato non godermi la giornata, stare con i miei colleghi e salutare gente che non riesci mai ad incontrare. Non sono salito sul palco, è vero, ma avevo accanto tutta la mia brigata, l'abbiamo vissuta insieme, ed è stato bellissimo.

Antonino Cannavacciuolo l'ha chiamata dopo la premiazione?
È stato uno dei primi a chiamarmi, non era finita ancora la presentazione della Guida. In lui ho trovato un maestro ma anche una persona che sento di avere al mio fianco. Ci sentiamo ogni due settimane per parlare di tutto. Non ci siamo mai mancati di rispetto. E da lui ho imparato a gestire un ristorante, gli devo molto. Mi ha insegnato a vedere oltre il piatto.

Si parte dalle eccellenze del territorio delle Langhe - Laera, allievo di Cannavacciuolo: Le sue pacche sono segni d'affetto
Si parte dalle eccellenze del territorio delle Langhe

Quante "pacche" ha preso in tanti anni di collaborazione con Antonino?
Le sue "pacche" sono un marchio di fabbrica, danno serenità ai ragazzi. Se non te le dà, devi preoccuparti. Perché è il suo modo per dire che tiene a te.

Quanti venditori di fumo ci sono nel mondo della cucina?
Per parlare devi essere consapevole di ciò che stai dicendo. Ad esempio, quando ho bisogno di chiarimenti sulla situazione politica, mi confronto con un amico esperto di scienze politiche che mi racconta in pochi minuti come stanno le cose. Non mi affido alle chiacchiere da bar. Quando si ascolta una notizia bisognerebbe andare a fondo, non farsi abbagliare da un titolo sensazionalista. E questo vale in qualunque settore, anche in cucina. Prima ancora dell'approfondimento però, quello che insegno ai miei ragazzi è avere la sensibilità di capire il cliente. C'è quello interessato a conoscere tutto del piatto, e c'è chi invece vuole solo godersi la serata. Non bisogna ostentare la propria conoscenza.

Le materie prime sono quelle dei contadini, con cui continua un rapporto di collaborazione anche in questo periodo difficile - Laera, allievo di Cannavacciuolo: Le sue pacche sono segni d'affetto
Le materie prime sono quelle dei contadini, con cui continua un rapporto di collaborazione anche in questo periodo difficile

Che coordinate ha la sua cucina?
Tutto quello che faccio in cucina è il risultato delle mie esperienze passate, delle mie origini e del luogo in cui mi trovo. Sono molto riconoscente alle Langhe, prendo più che posso da loro e provo a valorizzarle al meglio. Cerco anche di riscoprire tradizioni andate perse, ricette antiche riprese da vecchi libri grazie ai quali ho scoperto che già nel 1951 si parlava di cucina vegetariana in Piemonte, quando tutti identificavano la cucina piemontese esclusivamente con la carne. I gesti della mia cucina sono molto italiani. Ho avuto la fortuna di girare molto, ma il legame stretto con la padella, con il soffritto, con le nostre tipicità ha sempre avuto la meglio. Nei miei piatti cerco sempre di rimanere fedele a me stesso e di essere consapevole di quello che ho cucinato.

È più facile emergere in un territorio, le Langhe, così ricco di Stelle, dove tutto ciò che si tocca diventa oro, oppure è più complicato per via della competitività?
Questo bisognerebbe chiederlo a chi cerca quel riconoscimento da una vita e non è ancora riuscito a trovarlo. Le Langhe ti portano sicuramente a non sederti, proprio perché sei circondato dall'eccellenza. Cerchi di dare sempre qualche novità. La clientela è internazionale, attenta ed esigente e viene qui per il paesaggio, per la cucina e per il vino, quindi si aspettano molto. Penso che la sfida sia doppia.

Ristorante Borgo Sant'Anna - Laera, allievo di Cannavacciuolo: Le sue pacche sono segni d'affetto
Ristorante Borgo Sant'Anna

La pandemia ha dato il via ad una questione non facile: delivery sì, delivery no. Lei da che parte sta?
Anche in questo caso la posizione del ristorante rispetto al contesto è basilare. Noi ci troviamo in mezzo a paesini da mille abitanti, con la prima ondata abbiamo voluto mantenere vivi questi borghi, essere vicini ai nostri clienti e quindi ci abbiamo provato. Ma non eravamo strutturati per farlo, perciò abbiamo abbandonato. Il delivery, per quanto mi riguarda, rimane qualcosa che non ti deve far sporcare i piatti a casa, che non ti deve costringere a cucinare. E sono convinto che chi investe in quella direzione e lo fa nel modo giusto, vince. Tanto che sto valutando canali alternativi di vendita.

È diventato più complesso scegliere e reperire le materie prime a causa della pandemia?
Acquisto molto della mia materia prima dai contadini; e quei prodotti sono piantati e coltivati su richiesta, quindi abbandonarli ora significa in qualche modo tradirli. Perciò ho deciso di cambiare metodi di preparazione, produco verdure sott'olio che utilizzerò alla riapertura, ad esempio. Si è rafforzato sicuramente un senso di unità e di solidarietà tra tutti.

Qual è il suo confort food?
È un piatto che adoro ma che non faccio mai a casa: il panzerotto. Mia mamma li fa piccoli, sembrano delle ciliegie, è impossibile smettere di mangiarli. Mi ricorda casa, era un rito di famiglia, una scusa per invitare amici, parenti e vicini.

Per informazioni: www.borgosantanna.it

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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