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Dl Dignità, associazioni preoccupate: Troppe “tutele” frenano la crescita

 
03 luglio 2018 | 16:45

Dl Dignità, associazioni preoccupate: Troppe “tutele” frenano la crescita

03 luglio 2018 | 16:45
 

Il Jobs Act si prepara ad essere smantellato pezzo dopo pezzo dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi di Maio, che con il nuovo dl Dignità vuole dire stop alla precarietà. Tuttavia, sui contratti a tempo determinato le associazioni di categoria hanno avuto non poco da ridire. Conte intanto prova a calmare le acque.

«Oggi nel decreto Dignità iniziamo a smantellare quella parte di Jobs Act che ha creato la precarietà, ed è solo l'inizio». Deciso Luigi Di Maio, che di applausi ne ha ricevuti per (tra le altre cose) aver detto la parola stop alle pubblicità sul gioco d'azzardo (anche se la Lotteria d'Italia non rientra...).

(Dl Dignità, associazioni preoccupate: Tutto questo tutelare frena la crescita)

Tuttavia, quando parla di contratti a tempo determinato, quelli che lui stesso ha definito «strumento che alimenta il precariato a tal punto da segnare il record della storia italiana», si mette in una posizione delicata, non poco contestata dalle associazioni di categoria.

Se da una parte Fnsi si è concentrata sul settore giornalistico, ammonendo il Ministero circa la possibilità che si creino "dignità" differenti tra precari, dall'altra Fipe, Confindustria e Confesercenti si sono trovate d'accordo su un più che possibile risvolto negativo più generale del decreto. Tutte e tre le associazioni lamentano un'evidente penalizzazione delle imprese che, tirando le fila, sono le prime a produrre lavoro.

Luigi Di Maio (Dl Dignità, associazioni preoccupate: Tutto questo tutelare frena la crescita)
Luigi Di Maio (foto: Wired)

Frase di grande impatto e di buona sintesi, quella di Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria: «Il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà». Con il nuovo dl infatti il contratto a tempo determinato avrà costi ancora più alti che, come sottolinea Confesercenti, nell'anno porteranno ad un aggravio di 100 milioni di euro per le imprese.

A risentirne, più nello specifico, settori come l'agricoltura e il turismo, che inevitabilmente sopravvivono di questa tipologia di contratto. Come sottolinea Fipe, questa volontà di tutelare soprattutto i giovani dal precariato svuota di significato la contrattazione settoriale; conferma questa affermazione Confesercenti, secondo cui i contratti a tempo determinato sono indispensabili per le attività turistiche, soggette ad una richiesta proporzionale alla stagione.

Luigi Di Maio e Giuseppe Conte (Dl Dignità, associazioni preoccupate: Tutto questo tutelare frena la crescita)
Luigi Di Maio e Giuseppe Conte (foto: Ansa)

Il premier Giuseppe Conte, dal canto suo, si è detto «lieto come presidente di questo governo del fatto che il primo decreto approvato in materia sociale sia sul recupero della dignità dei lavoratori e delle imprese» per poi puntualizzare subito dopo: «Ovviamente questo governo non è in contrasto con il mondo imprenditoriale, anzi, adotteremo anche misure per favorire la crescita economica, vogliamo una sana alleanza con il mondo del lavoro ma vogliamo contrastare le iniziative ingiustificate», come, prendendo un esempio dell'Ansa, coloro che se ne vanno dopo aver beneficiato degli aiuti pubblici (questo il punto del dl sulle delocalizzazioni).

Di seguito riportiamo i commenti integrali delle associazioni di riferimento, così da fornire una panoramica completa dei rischi del nuovo dl per coloro che rappresentano lavoratori e imprese.

Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) - Lino Enrico Stoppani, presidente

Lino Enrico Stoppani (Dl Dignità, associazioni preoccupate: Tutto questo tutelare frena la crescita)
Lino Enrico Stoppani


Il termine “dignità” dovrebbe riguardare non solo i lavoratori dipendenti, ma anche gli imprenditori, che meritano lo stesso rispetto e considerazione, favorendoli nello svolgimento di attività spesso caratterizzate da difficoltà - economiche ed organizzative - che la crisi ha aggravato. Il provvedimento sul lavoro, purtroppo, non va in questa direzione perché introduce elementi di contrasto alle formule contrattuali di flessibilità di cui le imprese hanno bisogno.

Il lavoro a tempo determinato non può essere confuso con la cattiva occupazione, perché molte attività sono (per fortuna) caratterizzate da fisiologici picchi di incremento, che non possono essere diversamente gestiti. Anche riproporre la causale riporta la disciplina dei contratti a termine al passato. Comprendiamo la necessità di tutelare i giovani dal precariato, ma paradossalmente si rischia di crearne di nuovo. Inoltre decretare così nel dettaglio queste materie svuota di significato la contrattazione settoriale: si impone un abito uguale a settori differenti con esigenze fortemente disomogenee.

Ridurre poi la durata massima da 36 a 24 mesi, creando ulteriore rigidità, ed eliminare le causali legate alla stagionalità, rappresenta un fattore estremamente penalizzante per le imprese del nostro settore che operano nel campo turistico. Così facendo si impone una disciplina del lavoro più rigida, creando problemi di natura organizzativa e favorendo la concorrenza internazionale.

Un altro rischio riguarda la nuova definizione di lavoratore subordinato riportata nell'articolo 1 della bozza del Decreto sui rider, secondo la quale sarebbe considerato tale chiunque si obblighi, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro, manuale o intellettuale, alle dipendenze e secondo le direttive, almeno di massima, dell'imprenditore, anche senza predeterminazione dell'orario di lavoro, se vi sia la destinazione al datore di lavoro del risultato e se l’organizzazione alla quale viene destinata la prestazione non sia propria ma del datore di lavoro. Si tratta di un'accezione ampia e di rischiosa interpretazione, che fa venire meno la certezza del diritto e pone rischi giurisprudenziali di cui non c’è assolutamente necessità.


Confesercenti


Rileviamo con profonda insoddisfazione l’inserimento nel decreto dignità di pesanti interventi sui contratti a termine. Se da una parte riteniamo condivisibile cercare di stabilizzare l’occupazione e dare le giuste garanzie ai lavoratori, dall’altra non possiamo accettare la penalizzazione delle imprese, che garantiscono il lavoro in primo luogo.

Il contratto a tempo determinato costa già più di quello a tempo indeterminato, con un contributo addizionale a carico del datore di lavoro pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Un ulteriore aumento degli oneri - il dl prevede lo 0,5% in più dal secondo rinnovo - si trasforma in un aggravio stimabile in oltre 100 milioni di euro l’anno, di cui più della metà verrà sborsato già quest’anno, visto che scadranno il 55% dei contratti. Che le nuove norme siano una batosta per i bilanci delle imprese, d’altro canto, lo conferma indirettamente il fatto che non si prevede la loro applicazione nella Pubblica amministrazione, per chiari motivi di sostenibilità.

In una fase economica come quella attuale, caratterizzata da una grande incertezza e da un forte turn over fra le imprese, la cui esistenza in vita media è ormai di tre anni, il lavoro a termine è per ovvi motivi la forma contrattuale più utilizzata dalle Mpmi (micro-piccole-medie-imprese), il 90% delle quali occupa meno di 10 dipendenti. I contratti a tempo determinato sono indispensabili in particolare per le attività del turismo, settore ad elevata stagionalità. La contrattazione privata ha da sempre trovato regole condivise tra imprese e lavoratori e nelle attività stagionali la riconferma delle assunzioni è una prassi consolidata, che ora - a causa degli aumenti incrementali - rischia di venire meno.

Assolutamente controproducente anche il passo indietro sulle causali, che rendere più rischiose le assunzioni, crea un clima di incertezza e porterà ad un inevitabile aumento dei contenziosi. Più che fissare per decreto regole che vanno contro le esigenze delle imprese e degli stessi lavoratori, sarebbe stato più utile un confronto con il Ministro ed i rappresentanti delle imprese per agire contro il dumping contrattuale che, molto più dei contratti a tempo determinato, penalizza lavoratori e imprese oneste. Auspichiamo che possa avvenire a breve.


Fnsi (federaizone nazionale stampa italiana) - Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso, segretario generale e presidente

Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso (Dl Dignità, associazioni preoccupate: Tutto questo tutelare frena la crescita)
Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso (foto: Ansa)


La lotta al precariato e a tutte le forme legalizzate di finta flessibilità è sacrosanta. Desta però stupore l’assenza, nel cosiddetto "decreto dignità" approvato dal governo, di quegli interventi necessari per contrastare il precariato e il lavoro irregolare nel settore giornalistico, dove si sono raggiunti livelli inaccettabili di sfruttamento

L’auspicio è che, in sede di conversione, si possa provvedere alla dimenticanza con opportuni emendamenti. In caso contrario passerebbe un messaggio pericoloso, ossia che non tutti i precari sono uguali e che, evidentemente, esistono precari di serie A e precari di serie B.


Confindustria - Vincenzo Boccia, presidente

Vincenzo Boccia (Dl Dignità, associazioni preoccupate: Tutto questo tutelare frena la crescita)
Vincenzo Boccia (foto: Ansa)


Il decreto-legge "dignita" approvato ieri è il primo vero atto collegiale del nuovo esecutivo e, anche per questo, è un segnale molto negativo per il mondo delle imprese. Come abbiamo sempre sostenuto sono infatti le imprese che creano il lavoro. Le regole possono favorire o scoraggiare i processi di sviluppo e hanno la funzione di accompagnare i cambiamenti in atto, anche nel mercato del lavoro. Si dovrebbe perciò intervenire sulle regole quando è necessario per tener conto di questi cambiamenti e, soprattutto, degli effetti prodotti da quelle precedenti. Il contrario di ciò che è avvenuto col decreto "dignita". Mentre infatti i dati Istat raccontano un mercato del lavoro in crescita, il Governo innesta la retromarcia rispetto ad alcune innovazioni che hanno contribuito a quella crescita.

Secondo Confindustria, le nuove regole saranno poco utili rispetto all’obiettivo dichiarato - contrastare la precarietà - perché l’incidenza dei contratti a termine sul totale degli occupati è, in Italia, in linea con la media europea. Il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà. Preoccupa anche che siano le imprese a pagare il prezzo di un’interminabile corsa elettorale all’interno della maggioranza e che si creino i presupposti per dividere gli attori del mercato del lavoro, col rischio di riproporre vecchie contrapposizioni.

Sulle delocalizzazioni...
L’Italia è un grande Paese industriale, la seconda potenza manifatturiera in Europa dopo la Germania, e avrebbe bisogno di regole per attrarre gli investimenti, interni ed esteri. Quelle scritte ieri, invece, gli investimenti rischiano di disincentivarli. Sia chiaro: colpire duramente i comportamenti opportunistici di chi assume un impegno con lo Stato e poi non lo mantiene è un obiettivo che condividiamo. Ma revocare gli incentivi per colpire situazioni di effettiva distrazione di attività produttive e di basi occupazionali dall’Italia è un conto; altro è, invece, disegnare regole punitive e dalla portata tanto ampia quanto generica. L’unico denominatore comune delle scelte fatte in tema di lavoro e delocalizzazioni è di rendere più incerto e imprevedibile il quadro delle regole in cui operano le imprese italiane: l’esatto contrario delle finalità di semplificazione e snellimento burocratico dichiarate dal nuovo Governo all’atto del suo insediamento.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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