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Sara Roversi, dal cibo al digitale: «Veri innovatori sono i lavoratori dietro le quinte»

La fondatrice del Future Food Institute fa il bilancio del 2020 e rilancia le attività per il 2021: dai Living lab al G20 che si terrà in Italia. «Il network globale continua a crescere ma ci manca la condivisione».

di Piera Genta
 
09 febbraio 2021 | 18:25

Sara Roversi, dal cibo al digitale: «Veri innovatori sono i lavoratori dietro le quinte»

La fondatrice del Future Food Institute fa il bilancio del 2020 e rilancia le attività per il 2021: dai Living lab al G20 che si terrà in Italia. «Il network globale continua a crescere ma ci manca la condivisione».

di Piera Genta
09 febbraio 2021 | 18:25
 

Un curriculum incredibile quello di Sara Roversi che illustra una figura professionale con multiformi esperienze e che dal food, con un passato molto articolato di imprenditrice, si muove nel digital, nella social innovation e nella formazione. Fondatrice, a Bologna nel 2014, del Future Food Institute, una organizzazione no profit che ha come missione quella di favorire la nascita e la crescita di giovani imprenditori e di food innovator in collaborazione con organizzazioni, industrie alimentari e mondo della ricerca di tutto il mondo.

Sara Roversi, fondatrice di Future Food Institute - Sara Roversi, dal cibo al digitale: «Veri innovatori sono i lavoratori»

Sara Roversi, fondatrice di Future Food Institute

Partiamo da Future Food Institute, un macromondo composto da tre grandi aree di intervento: formazione, innovazione e comunità.
La formazione si sviluppa su molti progetti. Il primo è stato il Master internazionale di secondo livello Food Innovation Program in collaborazione con il professore Matteo Vignoli che si è tenuto nel 2015, anno dell’Expo, a Reggio Emilia in una location particolare: un container trasparente nella piazza principale della città con un programma che permetteva alla comunità e quindi non solo agli studenti di essere parte del processo. I nostri programmi sono disegnati per essere elementi di contaminazione. Dalla seconda edizione, oggi siamo alla terza, l’offerta è on the road. Dopo un periodo preparatorio di studio in Italia, i partecipanti vanno a visitare i più significativi food innovation hub nel mondo per alimentare la community dei giovani imprenditori. Oggi coinvolgiamo le scuole, gli istituti alberghieri, gestiamo i bootcamp della Fao in 10 Paesi nel mondo, sono programmi che stanno avendo molto successo riuscendo a coinvolgere ragazzi da oltre 50 Paesi.

La parte di innovazione dedicata al settore alimentare è diretta da una collega che è stata uno dei nostri primi allievi del master. Ha sede a San Francisco e coordina tutta la parte di corporate innovation. Il team è sparso tra America, Giappone e Asia e lavoriamo su progetti molto concreti di ricerca e sviluppo coinvolgendo grandi aziende al mondo come Nestlé, Google o Unilever con cui collaboriamo in qualità di acceleratori dei loro reparti di ricerca e sviluppo. Tutti fanno riferimento allo sviluppo sostenibile e l’azienda è una BCorp e sono progetti concreti di innovazione.

Comunità si sviluppa in verticale sul mondo degli eventi che si svolgono tutto l’anno a supporto delle attività delle agenzie delle Nazioni Unite di cui siamo diventati partner e sui Living lab, che sono spazi fisici. Quello dell’Università di Bologna è stato aperto anche durante la pandemia, in periodi normali accoglie circa 2.500 ragazzi al giorno, si trova nella piazza centrale dell’Università.

Cosa sono i Living lab?
Uno spazio reale, un punto di incontro tra il contesto universitario, le startup e le imprese. Sia quello in Italia sia quello di Tokio o quello in apertura a Singapore e quello di Pollica nel Cilento sono composti da un’area di condivisione delle esperienze legate al cibo, un’altra per ospitare eventi e convegni e aree di laboratorio. Il Living lab di Bologna è in un luogo storico. Per anni, dal dopoguerra, ha ospitato la più grande mensa universitaria. Composto da tre lab che si occupano di innovazione della filiera alimentare su tre verticali: urban farming, fabbricazione digitale applicata al food e ricerca di sviluppo nel Food Alchemist lab. Quello di Tokyo, in collaborazione con il gruppo Tokyo Tatemono, si trova nel quartiere Kyobashi, un luogo in cui si trovavano gli antichi mercati, da quello delle radici a quello del pesce, ed è stato il simbolo dello stile di vita giapponese per oltre tre secoli, lo scopo è proprio quello di riportare la centralità del cibo nella cultura di quel quartiere.

Lei parla di tre luoghi: Bologna, Asia e America. Ma non ho sentito parlare di altre zone dell’Italia.
Esploderà il Mediterraneo. A ottobre abbiamo fondato Future Food Mediterraneo, società benefit, luogo simbolo della dieta mediterranea, e poi la Sicilia da cui abbiamo iniziato da qualche anno.

L’Italia ha la presidenza del G20, quanto è importante per voi?
Strategico per noi, un valore enorme. Se esiste oggi Future Food Institute lo devo all’incontro con Lucio Cavazzoni, fondatore di Alce Nero, che mi ha fatto capire quale fosse la mia responsabilità di imprenditore nel mondo del food e in un secondo momento il partecipare ai tavoli del G20 in Russia nel 2013 che mi ha fatto riflettere su quanto il nostro settore fosse connesso con le più grandi sfide, dall’obesità, all’inquinamento al climate change e da quell’anno ho partecipato a tutti i tavoli di lavoro. Quest’anno saremo molto presenti e partecipi.

Chi sono gli innovatori del cibo in Italia?
Sono quelli che non si ritengono tali. Gli innovatori sono quelli che non arrivano sulle pagine dei giornali ma che stanno innovando, ad esempio, nel modo di fare agricoltura, di riprendere diversità che andrebbero perdute. Tanto sommerso fuori dalle testate di innovazione che si concentrano sulla tecnologia, ma non è detto che la tecnologia sia sempre innovazione.

Dove trova gli stimoli?
Dai figli, dai viaggi, dalle letture, dal passato.

Quale impatto ha avuto la pandemia sul vostro lavoro?
Sulla mia vita un impatto enorme, ero sempre in viaggio tra le nostre varie sedi. Per il lavoro non è cambiato molto, perché il network globale ha continuato a crescere. Ci manca la condivisione. Ci siamo focalizzati su progetti concreti portati avanti con le comunità locali in diverse parti del mondo e fermandoci a riflettere abbiamo capito dove andare a concentrare le nostre energie. Importante dedicarci al Mediterraneo e al Sud Italia, un patrimonio fondamentale per il mondo intero.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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