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Epatite C, un piano dell'Oms per eliminarla entro il 2030

 
13 agosto 2018 | 15:17

Epatite C, un piano dell'Oms per eliminarla entro il 2030

13 agosto 2018 | 15:17
 

Nel giugno scorso presso il Global Hepatitis Summit tenutosi a Toronto (Canada), il dottor Homie Razavi e il suo team hanno presentato i nuovi dati sull’epidemia di epatite C a livello mondiale.

L'obiettivo dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è chiaro: sradicare l'epatite C entro il 2030. La squadra del dottor Razavi, appartenente all’Osservatorio Polaris del Centre for disease analysis foundation (Cdaf), che si trova a Lafayette in Colorado (Usa), ha mostrato che solo 12 Paesi nel mondo sono sulla buona strada per raggiungere questo obiettivo che l’Oms ha posto nel 2016 a 194 Paesi per eliminare l’infezione a livello planetario.

L’osservatorio si avvale di oltre mille esperti internazionali e tiene traccia dei progressi ottenuti dalla lotta all’epatite C in oltre 100 Paesi. Di questa patologia e del modo di eliminarla ha parlato Roberto Ceriani, epatologo di Humanitas, in un intervento tratto da Humanitasalute che riportiamo di seguito integralmente.

(Oms, il problema dell'epatite C Un progetto internazionale per eliminarla)


L’aggiornamento globale

Per essere sul binario giusto un Paese deve trattare ogni anno almeno il 7% degli infetti e non avere restrizioni nell’accesso. Nonostante l’accesso aperto a tutti i pazienti con virus dell’epatite C, anche i meno gravi, e nonostante l’utilizzo di farmaci che agiscono e curano in sole 8 settimane, anziché 12, con una efficacia altissima, secondo l’ultimo congresso europeo sulle malattie del fegato, in corso a Parigi, l’Italia non sarebbe sul binario giusto per eradicare la malattia.

Dall’aggiornamento globale del 2017, ai Paesi già inseriti nella lista di coloro che potrebbero eliminare l’infezione da Hcv entro il 2030 Australia, Egitto, Francia, Georgia, Islanda, Giappone e Paesi Bassi, sono stati aggiunti Italia, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Mongolia in relazione al numero dei pazienti trattati e all’eliminazioni delle restrizioni al trattamento.

In questi paesi si trattano almeno il 7% della popolazione infetta ogni anno, mentre sono stati esclusi la Germania, che non tratta più il 7% della popolazione infetta e il Qatar, che non è stato in grado di fornire nuovi dati all’Osservatorio Polaris per la conferma dei suoi progressi. Al Giugno 2018, secondo i dati Aifa, in Italia sono stati avviati 145.009 trattamenti.

Verso l’obiettivo posto dall'Oms
Per raggiungere l’obiettivo prefissato è necessario avere un accesso illimitato alle cure e trattare almeno il 7% della popolazione infetta, ci sono paesi ad alto reddito o con strutture mediche ad alto profilo, che applicano restrizioni ai trattamenti come gli Stati Uniti o che trattano un numero di pazienti al di sotto della soglia come il Canada.

Globalmente nel 2017 sono stati trattati 2,1 milioni di pazienti rispetto al 1,8 milioni del 2016. Questa crescita si è verificata nei paesi a reddito medio mentre nei paesi ad alto reddito il numero dei pazienti trattati è diminuito. La riduzione dei trattamenti dipende dal fatto che sono state completate le terapie nei pazienti noti Hcv Ab positivi, quindi diventano fondamentali gli screening nazionali per la diagnosi di nuovi pazienti.

I Paesi ad alto reddito stanno attualmente concentrando lo screening nelle popolazioni ad alto rischio, come gli utilizzatori di droghe per via endovenosa,  gli ospiti dei Centri di riabilitazione per tossicodipendenti e i carcerati. Questa strategia, però, a lungo termine potrebbe non essere pagante, poiché si stima che tra questi soggetti vi sia solo il 20% delle infezioni non note.

(Oms, il problema dell'epatite C Un progetto internazionale per eliminarla)

Uniche eccezioni sulle campagne di screening nazionale sono l’Egitto, che nel 2017 ha testato circa 4,5 milioni di soggetti ed ha ottenuto un prestito di 200 milioni di dollari dalla Banca Mondiale per controllare il resto della popolazione, e la Mongolia, che nel 2016 ha testato tutta la popolazione tra i 41 e 65 anni e nel 2017 tra i 18 e 40 anni.

Attualmente il dottor Razavi e il suo team stanno lavorando con i vari paesi, per identificare ciò che è necessario per rendere redditizio un programma di screening nella popolazione generale con un progetto dimostrativo pianificato in Africa.

Gli obiettivi dell’Italia
Obiettivo Aifa è quello di mantenere un alto numero di trattamenti annuali anti-Hcv, per poter raggiungere l’eliminazione dell’infezione. Il trattamento di tutti i pazienti Hcv positivi, indipendentemente dal grado e stadio di malattia, produce importanti guadagni in termini di salute e di riduzione dei costi diretti ed indiretti da parte del Sistema sanitario nazionale.

Purtroppo, le persone che hanno contratto l’infezione da Hcv nella maggior parte dei casi non sviluppano evidenti sintomi e pertanto non vengono identificati e trattati. È indispensabile poter scoprire il “sommerso”, e quindi aumentare il numero di pazienti con diagnosi di Hcv per poterli indirizzare alla terapia con i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (Daas).

Uno screening ampio potrebbe essere effettuato nelle corti di persone nate dagli anni 50 agli anni settanta o da tutti coloro che hanno maggiori accessi sanitari a causa di patologie croniche.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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