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Wagyu, carne di alta qualità per la ristorazione che vuole distinguersi

Il mercato italiano e l’attenzione dei consumatori verso il “manzo giapponese” è in ascesa. Qualità, tracciabilità, costi di acquisto elevati, particolarità organolettiche uniche. Blasonati chef in tutto il mondo si sono avvicinati a questo prodotto facendolo diventare un punto di forza dei loro menu

di Stefano Calvi
 
15 aprile 2021 | 05:00

Wagyu, carne di alta qualità per la ristorazione che vuole distinguersi

Il mercato italiano e l’attenzione dei consumatori verso il “manzo giapponese” è in ascesa. Qualità, tracciabilità, costi di acquisto elevati, particolarità organolettiche uniche. Blasonati chef in tutto il mondo si sono avvicinati a questo prodotto facendolo diventare un punto di forza dei loro menu

di Stefano Calvi
15 aprile 2021 | 05:00
 

Siamo in Giappone, nell’area montagnosa della regione di Kobe. Qui si allevano manzi della razza Tajima, una specie a pelo nero originaria dell’omonima zona che si trova nella regione di Hyogo, sul mare, nel sud del Giappone. Gli allevamenti di questa zona regalano una carne unica al mondo. Apprezzata dai grandi chef per la sua particolare texture burrosa e per un sapore chiaro e distinto rispetto a tutte le altre tipologie. Si tratta della carne di Kobe Gyu, meglio conosciuta come carne Wagyu di Kobe. Famosa in tutto il mondo, in Italia spesso la parola Wagyu non è nemmeno conosciuta e questa carne viene chiamata semplicemente Kobe.

Wagyu, carne di alta qualità per la cucina che vuole distinguersi



Questa prelibatezza nasce grazie alle caratteristiche dell’animale. Il manzo Tajima ha geni molto forti e perfetti per ottenere la carne Wagyu che il mercato desidera: ossa sottili, marezzatura, gusto e struttura. Questo animale viene definito “manzo originale” e oggi in Giappone ci sono pochissimi tori da riproduzione Tajima purosangue. Il loro Dna è quindi un patrimonio genetico di inestimabile valore utilizzato per gli incroci con vacche in tutto il Giappone (Omi, Matsusaka, Yonezawa e Hida hanno tutte Tajima nel loro albero genealogico). L’altissimo livello della qualità di questa carne viene quindi tramandato ancora oggi grazie al lavoro e alla passione degli allevatori che continuano a cercare di proteggere al massimo l’importante patrimonio della razza Tajima e della Kobe Gyu.

Wagyu significa “manzo giapponese” e comprende la tipologia Kobe

Oggi, purtroppo, in questo campo c’è parecchia confusione. In effetti i non esperti confondono le cose, equiparando il concetto di Wagyu con quello di Kobe. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza anche a partire dall’etimologia del nome. Wagyu è una parola composta formata da due ideogrammi giapponesi: “Wa”, che significa Giappone, e “Gyu”, che vuol dire manzo. Il suo significato finale è quindi “manzo giapponese”. Quindi con questo termine si identificano tutte quelle razze di manzo di origine giapponese che hanno delle caratteristiche ben precise come una carne ricca di grasso intramuscolare (le venature del grasso nella carne danno vita alla cosiddetta marezzatura) molto aromatico, dolce e, difficile da credere, salutare. Quindi rappresenta una categoria ampia all’interno della quale possiamo trovare tante tipologie di carne derivanti da animali allevati in zona diverse del Giappone stesso. Ad esempio la Kobe.

A far chiarezza ed entrare maggiormente nel dettaglio delle varie distinzioni, purtroppo ancora poco conosciute, è Francesco Ferraboschi, l’anima imprenditoriale di Wagyu Company, partner esclusivo per l’Italia di Wagyu Master, che con la succursale europea Wagyu Master Europe rappresenta in assoluto l’azienda giapponese più grossa e influente nel settore delle carni Wagyu. «Bisogna assolutamente capire che quello che chiamiamo carne di Kobe è una selezione di carni della prefettura di Hyogo, centro del Giappone», spiega Ferraboschi. «In questa prefettura c’è la città di Kobe, sul mare, e più a nord, sulle montagne, la zona chiamata Tajima. In quest’area c’è una razza di animali bovini chiamati Tajima Ushi, ovvero manzi Tajima prima della macellazione. Solo questi ultimi possono diventare carne di Kobe. Non esiste un manzo di Kobe, esiste invece un manzo Tajima che se supera una serie di test diventa carne di Kobe, Kobe Gyu in lingua giapponese».

Elevati standard di qualità, a partire dall’allevamento

Esistono degli standard di selezione rigorosi per cui un taglio possa definirsi Kobe Gyu. «Proprio così - ci spiega Ferraboschi - prima di tutto l’animale deve essere di razza Tajima e deve essere nato nella prefettura di Hyogo. Poi deve essere allevato nella stessa prefettura da un allevatore facente parte dell’Associazione ufficiale del manzo Kobe. Deve essere o una vacca che non ha mai partorito o un giovenco o manzo castrato, e deve essere macellato nei macelli di Kobe, Nishinomiya, Sanda, Kakogawa o Himeji nella prefettura di Hyogo».

Anche sotto il profilo della qualità la carne deve avere dei particolari requisiti, come sottolinea Ferraboschi: «Tecnicamente deve avere un punteggio di 4 o 5 e deve essere di classe A o B. A questa condizione si somma il fatto che il peso della carcassa, ovvero il corpo dell’animale da cui sono stati tolti pelle, ossa e organi interni, deve essere tra i 260 e i 470 kg per i maschi e tra 230 e 470 kg per le femmine. Infine, la percentuale di marezzatura, la cosiddetta BMS, deve essere di livello 6 o superiore. Caratteristiche chiare e ben definite».

Wagyu, carne di alta qualità per la cucina che vuole distinguersi


La vera carne Wagyu è quella giapponese

La carne Wagyu non esiste solo in Giappone e possiamo trovare alcuni allevamenti in Australia, Stati Uniti, Cina o anche nel nostro Paese. Anche se parliamo sicuramente di carni di buona qualità, è fondamentale sottolineare che, secondo il ministero dell’Agricoltura giapponese, la vera carne Wagyu è solo quella degli animali allevati con determinate modalità e in determinate aree del Giappone.

«Proprio così - precisa Ferraboschi - WaGyu vuol dire manzo giapponese. Se non nasce e cresce in Giappone non possiamo chiamarlo Wagyu. Questa è la regola. Questa è la Geographical Indication (una sorta di “Dop”) che lo Stato giapponese ha registrato internazionalmente per proteggere da questo tipo di “attacco”, ossia allevamenti di Wagyu fuori dal Giappone le cui carni prodotte non possono chiamarsi così. Per poter verificare la tracciabilità dell’animale Wagyu originale è stato creato un link dove è possibile vedere luogo di nascita, crescita, macellazione del bovino e altre essenziali caratteristiche. Serve inserire il numero ID di identità che viene applicato al taglio anatomico».

Per questo motivo, tra l’altro, è stato creato un vero e proprio marchio che può essere apposto solamente sulla carne Wagyu giapponese che soddisfa precisi standard qualitativi. Questo marchio serve a certificare e ad assicurarci che la carne che lo presenta proviene da un autentico manzo nato, cresciuto e allevato in Giappone con pedigree certificato. In Giappone, entro sei mesi dalla nascita del vitello, viene emesso il certificato di pedigree, che permette di tracciare in modo univoco l’autenticità della razza fino a tre generazioni. In questo modo, il ministero dell’Agricoltura giapponese è riuscito fino ad oggi a proteggere l’autenticità della linearità del manzo Wagyu giapponese. Una margherita, fiore simbolo della prefettura di Hyogo, è il marchio di “certificazione” della Kobe Gyu: tutti i bovini allevati in questa determinata zona vengono ispezionati dopo essere stati macellati e venduti come manzi di Tajima al mercato delle carcasse; tra questi, quelli che superano i criteri di valutazione diventano “Kobe Gyu” e ricevono il timbro della margherita.

Macelleria Callegari ha scelto la razza Japanese Black

A sottolineare l’importanza della qualità è anche Fabio Callegari, l’ultima generazione della storica Macelleria Callegari dal 1961 di Piacenza. Il papà Claudio, grazie alla passione per le carni continentali e intercontinentali, si guadagna presto il titolo di “The Butcher”, che lo vede come uno dei pionieri della vendita di Black Angus, Galiziana e ovviamente Wagyu, sia in negozio che online. «La costante ricerca della qualità e dell’eccellenza spazia sia a livello provinciale che nazionale, spingendosi sino ai territori oltreoceano», spiega Fabio, che nel 2012 ha avuto l’intuito di “trasformare” la macelleria anche in ristorante informale, facendolo diventare un punto di ritrovo dove pranzare e cenare in un’atmosfera conviviale e casalinga. «Mi preme ricordare che i bovini da cui si ricava questa tipologia di carne hanno un disciplinare di tutela che identifica alcune caratteristiche specifiche. La razza giapponese da noi selezionata è la più pregiata e prende il nome di Japanese Black, nome che deriva dal manto molto scuro di questi bovini».

Ottima fonte di proteine, ma si consiglia un consumo moderato

Questa carne è una fonte preziosa di proteine, ma c’è un rovescio della medaglia. Ci spiega queste particolarità la dietologa Sabrina Ravaioli, esperta in scienze alimentari e conoscitrice del mondo delle carni: «A rendere così pregiata e buona questa carne è la sua marezzatura, ovvero la sua marmorizzazione derivante dalla distribuzione del grasso nel tessuto muscolare. Detto questo, è una fonte di proteine di qualità elevata e di ferro in una forma facilmente assimilabile dall’organismo, importante per la produzione dei globuli rossi e quindi per combattere le anemie. Purtroppo, però, la marezzatura, che le conferisce il gusto particolarmente saporito e la consistenza tenera e che rende questa carne molto apprezzata, è la prova di quanto sia più ricca di grassi rispetto alla carne di altre razze di manzo. Sono grassi saturi, il cui consumo non dovrebbe superare il 10% delle calorie introdotte quotidianamente con il cibo. È anche una fonte di colesterolo, le cui dosi quotidiane non dovrebbero superare i 300 mg. Da sottolineare però la maniacale tracciabilità di questo prodotto, non trascurabile per degustare una carne di altissima qualità e di certificata provenienza».

Wagyu, carne di alta qualità per la cucina che vuole distinguersi


Come può orientarsi il consumatore nella scelta?

È utile capire i criteri con cui un consumatore deve scegliere questa tipologia di carne. Ce ne parla Francesco Ferraboschi di Wagyu Company: «La carne Wagyu di Kobe è una garanzia di provenienza. Quindi un primo criterio è la regione. Oltre a Kobe segnalo Miyazaki come regione di grandissimo valore in Giappone. Un secondo criterio per i veri appassionati è andare a scegliere l’allevatore. Mi spiego meglio, e spiego l’importanza di questa affermazione che può apparire inutile, in prima battuta. Noi siamo quello che mangiamo. Un vero appassionato vuole essere sicuro che la sua Wagyu sia stata nutrita in modo corretto, senza alcun tipo di “aiuto” all’ingrasso. Questa sicurezza la può dare la conoscenza dell’allevatore. Nel nostro sito, per esempio, raccontiamo la produzione di Muhenaru Ozaki San: l’allevatore ci informa sul mangime che viene dato agli animali, prodotto interamente e non acquistato per avere completo controllo dell’alimentazione dell’animale. Terzo (ma non meno importante) criterio di scelta è il taglio: non sempre i più cari sono i migliori, dipende dall’obiettivo dell’acquisto e dalla preparazione successiva. Faccio un esempio semplice ma estremo: per cucinare una ribollita con l’aggiunta di carne di Wagyu, capace di dare complessità al piatto finale, non userei mai un controfiletto o una costata, ma più semplicemente un gustoso stinco. Quindi bisogna acquistare tagli in base all’uso che si vuole fare».

La carne più costosa al mondo

Il mercato italiano e l’attenzione dei consumatori verso questa “carne dagli occhi a mandorla” è in ascesa. Un mercato fatto prevalentemente di esperti, capaci di assaporare un prodotto dalle qualità uniche che ben si discosta, per sapore e consistenza, dalla tipica carne italiana. Partiamo dal prezzo: questa carne è considerata la più costosa al mondo. «I costi, seppur alti, variano e sono frutto della qualità e della filiera e del brand - spiega Ferraboschi - ma come in ogni analisi del prezzo c’è dietro un motivo. Diciamolo in modo molto sintetico, è il metodo di allevamento ciò che rende costosa questa carne».

In Giappone il bestiame, per essere qualificato con il marchio Wagyu, deve essere allevato e nutrito secondo rigide linee guida. I bovini da riproduzione e le vacche gravide vengono allevati al pascolo mentre i vitelli vengono nutriti con mangimi speciali, per garantire che la loro carne sia marezzata. Per esempio, i giovani vitelli Wagyu vengono nutriti a mano con un sostituto del latte e ricevono giacche da indossare quando fa freddo. Rimangono in fattoria fino all’età di sette mesi prima di essere poi mandati all’asta per essere venduti alle aziende dove cresceranno. Molte degli accorgimenti che l’allevamento richiede generano importanti costi di gestione che impattano nel gusto ma anche nella tracciabilità, infatti ogni singola mucca ha un certificato di nascita che ne identifica la linea di sangue: ogni taglio Wagyu può essere così ricondotto ad una specifica fattoria.

E il mercato? «Prima di tutto - spiega Ferraboschi - bisogna dire che i ristoratori sono stati i primi ad avvicinarsi a questo prodotto e sono già attivi. Il pubblico comincia ora ad apprezzare questa carne. Ci siamo resi conto che il mondo dell’e-commerce della carne sta crescendo velocemente anche grazie alla forzatura del lockdown di questi mesi».

Wagyu, carne di alta qualità per la cucina che vuole distinguersi
Luca Brasi


Wagyu, punto di forza nei menu dei ristoranti

Qualità, tracciabilità, costi di acquisto potenzialmente elevati, ma soprattutto particolarità organolettiche uniche: sono le caratteristiche di questa carne. Andiamo ora ad approfondire un ultimo aspetto, quello relativo alla cucina. Blasonati chef si sono avvicinati a questo prodotto facendolo diventare un punto di forza dei loro menu.

Come nel caso di Luca Brasi, chef del ristorante La Braseria di Osio Sotto, in provincia di Bergamo. Curioso e attento cittadino del mondo, Brasi ha iniziato la sua avventura gastronomica collaborando con alcuni dei migliori chef di alcuni tra i più importanti ristoranti del mondo, apprendendone stili e raffinatezze interpretative. Ha trasformato La Braseria in un tempio per i cultori della carne nella sua espressione più pura, atavica, ancestrale. Con la particolarità che in Braseria non lavora, per scelta, carni sottovuoto, quindi tagli anatomici d’importazione. «L’unica azienda in Italia che alleva Wagyu a Dna certificato seguendo il protocollo giapponese è Cà Negra a Loreo, in provincia di Rovigo», spiega Brasi. «È una carne molto marezzata per genetica e l’animale è soggetto ad un’alimentazione molto rigorosa. Ogni tre mesi viene cambiata la tabella nutrizionale di ogni singolo capo in funzione della crescita e dello sviluppo, inoltre la tranquillità dell’animale durante tutta la crescita è un fattore determinante per l’ottenimento di un capo di qualità. Voglio ricordare che per essere certificato Wagyu oltre alle caratteristiche organolettiche e al grado di grasso, il capo deve avere più di 33 mesi, a differenza dei 18-24 dei nostri manzi».

Qual è il vantaggio di lavorare Wagyu italiano? «Noi lavoriamo la mezzena», afferma Brasi. «I vantaggi sono diversi a partire dal fatto che oltre ad averlo in osso e non confezionato sottovuoto, abbiamo la fortuna di avere a disposizione tutti i tagli. Lavoriamo Wagyu Cà Negra da ormai 8 anni e questo ci ha permesso di perfezionare i salumi di Wagyu come lardo, bresaola e lardo spalmabile, oltre a sperimentare diverse cotture con altri tagli».

Diversa la storia di Massimiliano Manfrè, chef del ristorante Al Braciere di Eraclea, splendida località marittima alle porte di Venezia. Appena è stato possibile esportare in Europa questa tipologia di carne, l’ha inserita immediatamente nel menu. Nella sala principale del ristorante fa bella mostra un grande camino dove vengono cotte, nella griglia a legna, i tagli di carne frollati direttamente dalla famiglia Manfrè e che si possono scegliere direttamente dalla vetrina in sala.

Wagyu, carne di alta qualità per la cucina che vuole distinguersi
Massimiliano Manfrè


«Nel 1995 apriamo il ristorante dopo la ristrutturazione di un rustico ad Eraclea», spiega Massimiliano Manfrè. «Il nostro locale si caratterizza per un menu con piatti a base di carne e di prodotti stagionali. Un ruolo importante lo diamo al Wagyu. Una carne tenera e saporita che ho conosciuto in un viaggio in Giappone quando in Europa non veniva ancora importata e di cui mi sono subito innamorato. Nel momento in cui si è aperta l’importazione in Europa questa carne è subito entrata a far parte delle nostre proposte».

Lo chef veneto ha le idee chiare su cosa servire in sala: «Acquistiamo sempre la categoria A5 per avere il massimo della marezzatura e come taglio abbiamo scelto lo “striploin” perché è quello che ci dà il risultato migliore per il nostro servizio. Lavoriamo solo il Wagyu giapponese perché a confronto con altre produzioni mondiali è l’unico che in cottura sprigiona un profumo e un sapore di umami, tratto distintivo di questo prodotto. Lo cuciniamo nella teppanyaki (piastra rovente in acciaio) dopo averla privata del grasso esterno, che risulterebbe poco gradevole con una cottura breve come questa. Facciamo una buona Maillard esterna e non portiamo la temperatura al cuore sopra ai 28-30°C per non sciogliere troppo il grasso d’infiltrazione. Lo serviamo con verdure di stagione che facciamo spadellare con il “burro di Wagyu”, ricavato da una lunga bollitura del grasso esterno tolto in precedenza, e un pizzico di sale di Maldon».

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