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Lavoratore non vaccinato? Se contagiato da coronavirus, nessun risarcimento dall'Inail

L'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro sembra intenzionato a non garantire risarcimenti nel caso in cui un lavoratore risultati positivo senza essere vaccinato. Tema caldo soprattutto nel mondo sanitario

 
22 febbraio 2021 | 10:43

Lavoratore non vaccinato? Se contagiato da coronavirus, nessun risarcimento dall'Inail

L'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro sembra intenzionato a non garantire risarcimenti nel caso in cui un lavoratore risultati positivo senza essere vaccinato. Tema caldo soprattutto nel mondo sanitario

22 febbraio 2021 | 10:43
 

Mentre il dibattito sui vaccini dilaga tra mancanza di dosi e priorità da assegnare alle varie categorie, professionali e anagrafiche, c’è il fronte dei lavoratori che non intendono sottoporsi all’iniezione. Cosa succede in questi casi? La domanda se la stanno ponendo in molti e sta lentamente salendo verso i piani alti dei palazzi di coloro ai quali spetta la decisione.

Quali provvedimenti per i lavoratori non vaccinati -

Quali provvedimenti per i lavoratori non vaccinati

Cosa succede a chi non si vaccina?
Detto che l’obbligatorietà non c’è (altro tema caldo, soprattutto nell’ambiente degli operatori sanitari) ci si chiede tra le altre cose se chi rinuncia al vaccino può poi farsi riconoscere la positività come infortunio sul lavoro. L’orientamento dell’Inail (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) è quello di escludere da eventuali risarcimenti quanti rifiutano di immunizzarsi contro il Covid. L’affermazione negativa riguarderebbe particolarmente alcune categorie, quelle sanitarie in primis, dove è maggiore il rischio di contagio e per questo proprio da loro è partita la campagna vaccinale.

La goccia che ha portato l’Inail ad una riflessione più approfondita è arrivata da Genova. All’ospedale San Martino quindici infermieri, che si erano rifiutati di fare il vaccino, ora sono positivi al Covid. E quindi che si fa? Il direttore generale della struttura, Salvatore Giuffrida, si è rivolto all’Inail, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Ha chiesto se quei quindici infermieri «devono essere considerati in malattia o dovranno essere considerati inidonei alla loro attività professionale». L’istruttoria dell’Inail sul parere è ancora agli inizi. Ma su un punto l’orientamento sembra già consolidato. E cioèche in questo caso il contagio non può essere considerato infortunio sul lavoro. Sembra un aspetto tecnico, ma non lo è.

Gli infermieri i più a rischio
Apparentemente la discussione sembra dipendere da aspetti prettamente tecnici, ma basta dare uno sguardo ai numeri per capire che poi tanto tecnica non è. Fino a gennaio i casi di Covid di origine professionale segnalati all’Inail sono stati 147mila. Circa il 5% del totale. Mentre le morti denunciate per contagio sul posto di lavoro sono state 461. Per questi casi, se alla fine la denuncia si dimostra fondata, sono previsti gli indennizzi per infortunio sul lavoro. Anche in caso di morte a favore degli eredi. Ma fino alla fine dell’anno scorso i vaccini non c’erano, visto che le prime (simboliche) somministrazioni sono arrivate il 27 dicembre. E sono proprio i dati Inail a certificare che il settore della sanità è stato quello più colpito per i contagi sul lavoro. Non solo. Proprio dai tecnici della salute, categoria nella quale rientrano gli infermieri, è arrivato il 39,2% delle denunce. Numeri che confermano come il lavoro di infermiere sia tra quelli più esposti al rischio. Per questo la campagna di vaccinazione è cominciata da loro. Ma chi rinuncia al vaccino, scelta legittima visto che non c’è obbligo, può poi farsi riconoscere la positività come infortunio sul lavoro?

Il parere di Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro
A dare una risposta al Corriere della Sera è l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano che oggi è componente del consiglio d’amministrazione dell’Inail. Premette di parlare a titolo personale, ma non ha dubbi: «La soluzione migliore - spiega - sarebbe una legge sull’obbligo di vaccinazione, almeno per alcune categorie». Ma questa scelta, presa in considerazione dal precedente governo, è stata scartata per timore che fosse controproducente.

Problemi di privacy
«A mio giudizio - dice ancora Damiano - è logico che chi decide di non vaccinarsi e svolge una mansione a rischio poi non possa chiedere il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro. Anzi, dovrebbe essere messo nelle condizioni di non essere un pericolo per sé e per gli altri, evitando il licenziamento, ma svolgendo mansioni che non hanno contatto con il pubblico». Solo che qui la situazione si complica. Come spiega l’avvocato Salvatore Di Pardo, che sta seguendo alcuni casi di questo tipo, il «Garante per la privacy ha confermato pochi giorni fa che il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti se si sono vaccinati oppure no. E non può chiederlo nemmeno al medico».

Il settore sanitario, però, è un caso molto specifico. Lo stesso Garante ricorda che, in attesa di una legge che «valuti se porre la vaccinazione come requisito per lo svolgimento di determinate professioni», ci sono regole specifiche per i settori in cui c’è «esposizione diretta agli agenti biologici», come la sanità. Qui solo il «medico competente può trattare i dati relativi alla vaccinazione dei dipendenti e tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica». Un rompicapo che sarà il tema dei prossimi mesi.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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