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Il paradosso tassa di soggiorno Al turismo solo il 29% dei fondi

Dovrebbe essere uno strumento che consente agli albergatori di contare su investimenti importanti nel mondo dell'accoglienza, ma i Comuni troppo spesso non li fanno. Il 13% delle amministrazioni comunali la applica, il gettito del 2020 è calato di quasi 500mila euro.

di Vincenzo D’Antonio
09 settembre 2020 | 08:30
Il paradosso tassa di soggiorno 
Al turismo solo il 29% dei fondi
Il paradosso tassa di soggiorno 
Al turismo solo il 29% dei fondi

Il paradosso tassa di soggiorno Al turismo solo il 29% dei fondi

Dovrebbe essere uno strumento che consente agli albergatori di contare su investimenti importanti nel mondo dell'accoglienza, ma i Comuni troppo spesso non li fanno. Il 13% delle amministrazioni comunali la applica, il gettito del 2020 è calato di quasi 500mila euro.

di Vincenzo D’Antonio
09 settembre 2020 | 08:30
 

Atteso che di tributo trattasi, e pertanto qui volutamente parliamo di “tributo di soggiorno”, proviamo a capire se questo tributo va definito “imposta di soggiorno” oppure “tassa di soggiorno”. Non è cesellare, è voler capire bene il tema, onde addivenire ad opinione valevole per poi provare anche ad analizzare correttamente lo scenario, la sua evoluzione prospettando. L'imposta è un prelievo coattivo da parte di un Ente impositore, in questo caso il Comune, che non risulta però connesso a nessuna prestazione specifica da parte del Comune stesso. La tassa invece è una somma di denaro versata all’Ente impositore, in questo caso il Comune, in cambio di servizi specifici.

Il 13% dei Comuni italiani applica la tassa - Il paradosso tassa di soggiorno Al turismo solo il 29% dei fondi

Il 13% dei Comuni italiani applica la tassa

E allora, almeno in prima approssimazione, di pancia ancor prima che di testa, verrebbe da dire: abbasso l’imposta di soggiorno, evviva la tassa di soggiorno. I soggetti coinvolti sono tre: chi versa la somma di denaro, chi questa somma la maneggia, chi questa somma la incassa e la spende. Il turista versa il denaro al termine del suo soggiorno nella struttura che lo ha ospitato. L’albergatore incassa il denaro e lecitamente lo trattiene fino a quando sarà tenuto a versarlo. Il Comune incassa periodicamente le somme e…? E poi comincia il buco nero. Nel senso che solo successivamente si potrà capire se quel denaro versato dal turista è da considerare pagamento di imposta oppure pagamento di tassa. L’Italia è il Paese europeo con la tassa di soggiorno più elevata.



Il D. Lgs. n. 23/2011 stabilisce che il gettito derivante dalla tassa di soggiorno deve essere destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali. I Comuni dove si paga la tassa di soggiorno sono circa mille, quindi circa il 13% dei comuni italiani. In stagione di turismo fiorente, è il caso del nostro Paese nel 2019, il gettito è stato di 622 milioni di euro all’anno, con Roma che da sola (una su mille!) ha incassato circa il 28% del totale, ovvero 130 milioni di euro.

Ed è proprio il caso della Capitale, l’immagine che offre di sé ai turisti, i servizi che a costoro eroga, la reputazione in calo vertiginoso, che ci fa propendere verso una catalogazione del tributo di soggiorno, molto più vicina all’imposta di soggiorno piuttosto che alla tassa di soggiorno. In anno corrente, annus horribilis per il turismo, il gettito totale previsto, con il primo semestre già consuntivato, è di 182 milioni di euro, equivalente ad appena il 29% del gettito globale dello scorso anno. E difatti, nel secondo trimestre dell’anno corrente il settore alberghiero ha fatto registrare un calo del fatturato dell’88% sull’anno precedente.

Ritorniamo ai tre soggetti coinvolti sul tema tassa di soggiorno. Proviamo a leggere i loro pensieri. Il turista che al momento del check-out si vede presentare oltre al conto anche la ricevuta del pagamento della tassa di soggiorno: “Ah, anche questa gabella mi tocca pagare! Chiamatela come volete, alla fine per me sono sempre soldi in più che mi escono dalla tasca e siccome è la somma che fa il totale è proprio questo totale, ovvero la somma di prestazione alberghiera e di tassa di soggiorno, che mi appare eccessiva e terrò ciò a mente nella scelta della prossima destinazione turistica”.

L’albergatore: “Ho due sensazioni contrastanti. Da un lato questo cash di stamane mi dà un minimo di respiro, mi agevola in qualche pagamento, mi fa fare qualche acquisto irrimandabile, insomma mi può solo fare del bene, tanto poi a versarla ci sarà tempo. Dall’altro lato però, io vedo la faccia dei clienti quando mi devo prendere ‘sti soldi oltre a quelli che mi prendo per me. Di certo non li vedo felici. Ma poi ci faccio anche un’altra considerazione: ma che ci sta facendo il Comune con questi soldi? Una volta, dico una volta, che a noi albergatori ci chiedessero un parere su come spenderli”.

Quasi 500mila euro in meno di gettito - Il paradosso tassa di soggiorno Al turismo solo il 29% dei fondi
Quasi 500mila euro in meno di gettito

Il “Governo del Comune”: “Sì, ope legis saranno pure denari provenienti da tasse e quindi con precisi scopi di spesa, ma adesso c’è da pagare debiti, personale, servizi essenziali. Suvvia, storniamo e poi si vedrà, tanto tutto si aggiusta”. Ed a proposito di scopi di spesa, analizziamo, con l’elogio del pressappoco, ovvero arrotondando, come negli anni passati sono stati utilizzati i flussi provenienti dalla tassa di soggiorno.

Per manifestazioni ed eventi culturali il 29%, per la sostenibilità ambientale il 17%, per il sostegno alle istituzioni (!) il 16%, per i servizi di trasporto pubblico il 13%, e per la promozione il 6%. Non proprio tutti gli utilizzi sono coerenti al dettato del legislatore come dal succitato Il D. Lgs. n. 23/2011 e non proprio risulterebbero congrue le ripartizioni percentuali se osserviamo un 16% di sostegno alle istituzioni, e proprio non si capisce che cosa significhi, e poi solo un 6% per la promozione e poi un 29% per manifestazioni ed eventi culturali, avendo timore che con questa voce si intenda il più delle volte foraggiare la sagra di paese.

Tanti rivoli, insomma, con la conseguenza che un fiume di discreta portata viene ridotto a qualche rigagnolo improvvido e di scarsa utilità. A fine stagione i Comuni si troveranno un “tesoretto” pari al 29% del tesoretto che i turisti hanno conferito loro nello scorso anno. Poca cosa? Certo, 29 è meno di un terzo di cento, quindi sì che è poca cosa. Ma non è detto che questa “poca cosa” non possa essere sufficiente, più che sufficiente, se destinata a scopo ben preciso (tassa, non imposta), Scopo individuato di concerto con gli operatori del settore e con tutti gli stakeholders.

È la risorsa che diviene preziosa quando se ne percepisce la carenza. È l’acqua nel deserto: è preziosa e non se ne spreca neanche una goccia. Si tratta perciò di sapere e volere progettare e di sapere e volere attuare quei pochi progetti strategici individuati come prioritari, atti a fungere da leve per lo sviluppo turistico del territorio nel tempo medio. E magari si scopre che le priorità sulle quali investire il denaro scaturente dalla tassa di soggiorno sono semplicemente tre: a) formazione alle persone che lavorano nel settore; b) digitalizzazione delle attività connesse alla struttura turistica in ottica di rete; c) attuazione virtuosa quanto concreta e pragmatica, della green economy. Se tutto ciò si volesse fare per davvero, se manifesta e schietta fosse la volontà di chi governa la comunità e di chi presidia il settore, si arriverebbe nel medio tempo ad un paradosso sintomo di ottima salute ritrovata. L’attrattività del territorio con il conseguente incremento dei flussi turistici non solo in quantità ma anche (soprattutto) in qualità, consentirebbe, posta la volontà politica, la soppressione stessa della tassa di soggiorno o almeno una sua consistente diminuzione tale da non essere percepita come gabella.

Il turismo in Italia vale 93 miliardi di euro. Che non si possa rinunciare allo 0,7% costituito dal gettito globale della tassa di soggiorno, è arduo ipotizzarlo. Che non si voglia rinunciare è indizio allarmante in quanto denota un comportamento più da redditiere che non da imprenditore. E nello scenario dell’economia globale, i players sono gli imprenditori che sanno guardare avanti e non i redditieri che si adagiano sul passato.

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