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Mensa aziendale al ristorante L'idea piace e funziona. In attesa di tornare alla normalità

Grazie a una deroga del ministero degli Interni anche i ristoranti in zona rossa o arancione possono aprire a pranzo ai dipendenti di alcune aziende con le quali hanno stipulato contratti. Positiva l'esperienza di due locali di Bergamo, soddisfatti per un minimo di incasso e per il servizio offerto. Un'alternativa alla crisi nera.

di Federico Biffignandi
 
02 febbraio 2021 | 08:31

Mensa aziendale al ristorante L'idea piace e funziona. In attesa di tornare alla normalità

Grazie a una deroga del ministero degli Interni anche i ristoranti in zona rossa o arancione possono aprire a pranzo ai dipendenti di alcune aziende con le quali hanno stipulato contratti. Positiva l'esperienza di due locali di Bergamo, soddisfatti per un minimo di incasso e per il servizio offerto. Un'alternativa alla crisi nera.

di Federico Biffignandi
02 febbraio 2021 | 08:31
 

Dall’1 febbraio l’Italia è diventata quasi tutta gialla, il che significa bar e ristoranti aperti dalle 6 alle 18: sì a colazione, pranzo e merenda, più in bilico l’aperitivo mentre la cena resta ancora un miraggio. Un sospiro di sollievo (almeno sulla carta, perché diversi locali hanno comunque deciso di non ripartire) che però non spetta a tutti. Sebbene nessuna regione sia in zona rossa ce ne sono ancora cinque in zona arancione, il che significa serrande di bar e ristorante abbassate ad ogni orario, con la solita eccezione di un asporto e delivery che ormai sono gli unici “contentini” lasciati dal Governo.

Per i lavoratori un'occasione ghiotta -

Per i lavoratori un'occasione ghiotta

Diventare mense aziendali, un'alternativa valida
Per i ristoratori di queste regioni tuttavia c’è una possibilità in più per salvarsi alla quale si sono aggrappati i colleghi di altre regioni che fino a domenica sono state arancioni per poi passare in giallo, ovvero: trasformare i propri ristoranti in mense aziendali.

Cosa significa? Che pur dovendo rimanere chiusi al pubblico, i ristoranti che ne fanno richiesta possono aprire ai dipendenti di aziende con le quali è stato stipulato un contratto per i pranzi di lavoro quelli che “spezzano” il turno mattutino da quello pomeridiano. L’idea era venuta in primis ai ristoratori di Veneto ed Emilia-Romagna e poi era stata cavalcata da altri. Pure da Bergamo, la provincia più colpita dal Covid che per qualche giorno ha sfruttato solo questa possibilità prima di passare in zona gialla e poter lavorare a pieno regime, almeno a pranzo.

Come fare per ottenere il permesso
Sulla bocca di questi ristoratori “apripista” si accende un sorriso che non si vedeva da tempo perché più che il poter lavorare c’è l’idea che dalle istituzioni sia arrivato un allargamento delle maglie positivo soprattutto in chiave futura. Ma cosa significa diventare mense aziendali? Strutturalmente, niente perché i locali che si “trasformano” devono “solo” rispettare i protocolli di sicurezza stabiliti per i ristoranti al momento della prima riapertura di questa primavera; a livello più burocratico invece tutto è diventato più ufficiale e consentito dal ministero dell’Interno e dalle Prefetture adeguando di fatto il proprio codice Ateco e rispettando un’altra serie di regole.  

In primis: nei ristoranti che hanno ottenuto la deroga possono accedere solo dipendenti d’azienda; l’azienda deve avere un contratto con il ristorante e lo stesso ristorante è tenuto ad esporre la lista di nomi e cognomi che possono sedersi al tavolo. Chi ha ottenuto il via libera e ha accolto gli ospiti dopo mesi di sala vuota si è detto molto soddisfatto.

L’ufficialità è arrivata nel corso della scorsa settimana quando lo stesso Ministero ha emesso una circolare nella quale annunciava alle Prefetture che era possibile concedere questa licenza, anche alla luce delle numerose richieste e informazioni che erano pervenute da tutta Italia.

L'esperienza della Trattoria Bolognini
«Era un mese e mezzo che cercavo di capire se potevo lavorare offrendo un servizio mensa - ha spiegato Romina Bolognini, della storica Trattoria Bolognini di Mapello (Bg) - perché, nonostante l’aiuto di Ascom, riuscivo ad ottenere il permesso dalla Polizia Locale, ma non dalla Prefettura. Non è stato facile, ma dopo l’annuncio della circolare ho fatto tutte le pratiche e ce l’ho fatta. È stato comunque un percorso ad ostacoli perché alcuni documenti che presentavo mi dicevano non essere idonei e anche le regole non erano di immediata comprensione: ho capito solo dopo, ad esempio, che le partite Iva non potevo ospitarle».

La Trattoria Bolognini -
La Trattoria Bolognini (foto: La Rassegna)

Nei tre giorni di apertura, il movimento c’è stato: «Con le aziende con le quali avevamo già i contratti, una quindicina, abbiamo proseguito - osserva Romina - poi se ne sono aggiunte altre. Non abbiamo riempito il ristorante, siamo riusciti a fare una ventina di coperti, ma comunque chi è venuto è stato soddisfatto e noi pure perché abbiamo offerto un servizio a lavoratori che erano costretti a mangiare in macchina o all’aperto, al freddo. Noi abbiamo scelto questa via perché con il delivery non avevamo molto potenziale, non potevamo preparare tutti i nostri piatti e poi perché ci volevamo sentire d’aiuto alla gente. I clienti si sono detti molto soddisfatti, non sono venuti tutti perché non tutti erano ancora al corrente della possibilità, temevano controlli e multe».

Bilancio positivo anche al Bigio
Soddisfazione anche nelle valli. Lo storico albergo-ristorante Bigio di San Pellegrino Terme, in val Brembana, ha adottato la stessa soluzione e non se ne è pentito. Le motivazioni sono uguali a quelle dei colleghi di Mapello, a testimonianza del fatto che i ristoranti vivono del servizio che offrono ai clienti. «Siamo stati contenti di poter riaprire la sala del ristorante - ha detto Francesca Milesi, socia del Bigio - ed è stato bello rivedere al tavolo i nostri clienti abituali, lavoratori, che finalmente hanno potuto gustarsi un pranzo seduti al caldo invece che in qualche furgoncino. Certo, siamo ancor più contenti di essere in zona gialla e poter tornare a lavorare come piace a noi, ma quella possibilità ce la teniamo stretta considerando il momento di incertezza che potrebbe portarci a dover chiudere da un momento all’altro».

Il ristorante-hotel Bigio -
Il ristorante-hotel Bigio

Anche da queste parti non sono mancate le difficoltà burocratiche, ma tutto si è risolto al meglio una volta che tutto è stato chiarito. «Abbiamo contratti con alcune aziende del nostro territorio - ha osservato Francesca Milesi - piccole realtà che non si sono affidate in maniera massiccia allo smart working per cui i lavoratori vanno regolarmente in ufficio e necessitano di una pausa pranzo, spesso fuori casa. Siamo anche fortunati perché abbiamo una sala da 200 metri quadrati, riusciamo a fare 70 coperti anche con restrizioni, mentre in questa modalità “mensa” ospitiamo una trentina di persone».

Bigio, il cui ristorante ha già lavorato bene nel primo giorno in zona gialla, è anche un albergo che non ha mai chiuso. Numeri piccoli, traffico al 30% del potenziale, ma comunque la porta è sempre rimasta aperta. «Oggi abbiamo ospiti soprattutto in settimana - spiega Milesi - lavoratori fuori sede che necessitano di un alloggio. Nel weekend invece pochissima gente, non c’è il movimento dello sci, manca tutto l’indotto delle terme e dunque dobbiamo rassegnarci».

Le occasioni però ci sono, con un po’ di insistenza, coraggio e fantasia (dei ristoratori) e un po’ di buonsenso delle istituzioni gli accordi e le aperture sono una possibilità. In attesa, si intende, di tempi migliori.

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