Dall’1 febbraio l’Italia è diventata quasi tutta gialla, il che significa bar e ristoranti aperti dalle 6 alle 18: sì a colazione, pranzo e merenda, più in bilico l’aperitivo mentre la cena resta ancora un miraggio. Un sospiro di sollievo (almeno sulla carta, perché diversi locali hanno comunque deciso di non ripartire) che però non spetta a tutti. Sebbene nessuna regione sia in zona rossa ce ne sono ancora cinque in zona arancione, il che significa serrande di bar e ristorante abbassate ad ogni orario, con la solita eccezione di un asporto e delivery che ormai sono gli unici “contentini” lasciati dal Governo.
Per i lavoratori un'occasione ghiotta
Diventare mense aziendali, un'alternativa validaPer i ristoratori di queste regioni tuttavia c’è una possibilità in più per
salvarsi alla quale si sono aggrappati i
colleghi di altre regioni che fino a domenica sono state arancioni per poi passare in giallo, ovvero: trasformare i propri ristoranti in
mense aziendali.
Cosa significa? Che pur dovendo rimanere
chiusi al pubblico, i ristoranti che ne fanno richiesta possono aprire ai dipendenti di aziende con le quali è stato stipulato un contratto per i pranzi di
lavoro quelli che “spezzano” il turno mattutino da quello pomeridiano. L’idea era venuta in primis ai ristoratori di
Veneto ed Emilia-Romagna e poi era stata cavalcata da altri. Pure da
Bergamo, la provincia più colpita dal Covid che per qualche giorno ha sfruttato solo questa possibilità prima di passare in zona gialla e poter lavorare a pieno regime, almeno a pranzo.
Come fare per ottenere il permessoSulla bocca di questi ristoratori “apripista” si accende un sorriso che non si vedeva da tempo perché più che il poter lavorare c’è l’idea che dalle
istituzioni sia arrivato un allargamento delle maglie positivo soprattutto in chiave futura. Ma cosa significa diventare
mense aziendali? Strutturalmente, niente perché i locali che si “trasformano” devono “solo” rispettare i
protocolli di sicurezza stabiliti per i ristoranti al momento della prima riapertura di questa
primavera; a livello più burocratico invece tutto è diventato più ufficiale e consentito dal ministero dell’Interno e dalle
Prefetture adeguando di fatto il proprio codice Ateco e rispettando un’altra serie di regole.
In primis: nei ristoranti che hanno ottenuto la deroga possono accedere solo
dipendenti d’azienda; l’azienda deve avere un contratto con il ristorante e lo stesso ristorante è tenuto ad esporre la lista di
nomi e cognomi che possono sedersi al tavolo. Chi ha ottenuto il via libera e ha accolto gli
ospiti dopo mesi di sala vuota si è detto molto soddisfatto.
L’ufficialità è arrivata nel corso della scorsa settimana quando lo stesso
Ministero ha emesso una circolare nella quale annunciava alle Prefetture che era possibile concedere questa licenza, anche alla luce delle numerose
richieste e informazioni che erano pervenute da tutta Italia.
L'esperienza della Trattoria Bolognini«Era un mese e mezzo che cercavo di capire se potevo
lavorare offrendo un servizio mensa - ha spiegato Romina Bolognini, della storica Trattoria Bolognini di Mapello (Bg) - perché, nonostante l’aiuto di
Ascom, riuscivo ad ottenere il permesso dalla Polizia Locale, ma non dalla Prefettura. Non è stato facile, ma dopo l’annuncio della circolare ho fatto tutte le
pratiche e ce l’ho fatta. È stato comunque un percorso ad ostacoli perché alcuni documenti che presentavo mi dicevano non essere idonei e anche le
regole non erano di immediata comprensione: ho capito solo dopo, ad esempio, che le partite
Iva non potevo ospitarle».
La Trattoria Bolognini (foto: La Rassegna)
Nei tre giorni di
apertura, il movimento c’è stato: «Con le
aziende con le quali avevamo già i contratti, una quindicina, abbiamo proseguito - osserva Romina - poi se ne sono aggiunte altre. Non abbiamo riempito il
ristorante, siamo riusciti a fare una ventina di
coperti, ma comunque chi è venuto è stato soddisfatto e noi pure perché abbiamo offerto un servizio a lavoratori che erano costretti a
mangiare in macchina o all’aperto, al freddo. Noi abbiamo scelto questa via perché con il delivery non avevamo molto potenziale, non potevamo preparare tutti i nostri
piatti e poi perché ci volevamo sentire d’aiuto alla gente. I clienti si sono detti molto soddisfatti, non sono venuti tutti perché non tutti erano ancora al corrente della possibilità, temevano
controlli e multe».
Bilancio positivo anche al BigioSoddisfazione anche nelle valli. Lo storico albergo-ristorante
Bigio di
San Pellegrino Terme, in val Brembana, ha adottato la stessa soluzione e non se ne è pentito. Le motivazioni sono uguali a quelle dei colleghi di Mapello, a testimonianza del fatto che i ristoranti vivono del servizio che offrono ai clienti. «Siamo stati contenti di poter riaprire la
sala del ristorante - ha detto
Francesca Milesi, socia del
Bigio - ed è stato bello rivedere al tavolo i nostri clienti abituali, lavoratori, che finalmente hanno potuto gustarsi un pranzo seduti al caldo invece che in qualche
furgoncino. Certo, siamo ancor più contenti di essere in zona gialla e poter tornare a lavorare come piace a noi, ma quella possibilità ce la teniamo stretta considerando il momento di
incertezza che potrebbe portarci a dover chiudere da un momento all’altro».
Il ristorante-hotel Bigio
Anche da queste parti non sono mancate le difficoltà
burocratiche, ma tutto si è risolto al meglio una volta che tutto è stato chiarito. «Abbiamo contratti con alcune aziende del nostro territorio - ha osservato Francesca Milesi - piccole realtà che non si sono affidate in
maniera massiccia allo smart working per cui i lavoratori vanno regolarmente in ufficio e necessitano di una pausa pranzo, spesso fuori casa. Siamo anche fortunati perché abbiamo una sala da 200 metri quadrati, riusciamo a fare 70 coperti anche con
restrizioni, mentre in questa modalità “mensa” ospitiamo una trentina di persone».
Bigio, il cui
ristorante ha già lavorato bene nel primo giorno in zona gialla, è anche un
albergo che non ha mai chiuso. Numeri piccoli, traffico al 30% del potenziale, ma comunque la porta è sempre rimasta aperta. «Oggi abbiamo ospiti soprattutto in settimana - spiega Milesi -
lavoratori fuori sede che necessitano di un alloggio. Nel weekend invece pochissima gente, non c’è il movimento dello
sci, manca tutto l’indotto delle
terme e dunque dobbiamo rassegnarci».
Le occasioni però ci sono, con un po’ di
insistenza,
coraggio e
fantasia (dei ristoratori) e un po’ di buonsenso delle
istituzioni gli accordi e le aperture sono una possibilità. In attesa, si intende, di tempi migliori.