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Montagna e collina centrali per l’Italia: servono risorse concrete e strategie per i territori

Giampietro Comolli, consulente dei Distretti produttivi turistici esorta affinché i 50 miliardi di euro previsti per i prossimi 7 anni guardino allo sviluppo di queste aree. Tre quarti di tutto il territorio italiano è sopra i 350 metri di altitudine e qui si producono il 60% di tutte le specialità agroalimentari nazionali certificate Ue

di Emanuele Bottiroli
02 maggio 2021 | 05:00
Tre quarti di tutto il territorio italiano è sopra i 350 metri di altitudine Montagna e collina sono centrali Servono risorse concrete e piani
Tre quarti di tutto il territorio italiano è sopra i 350 metri di altitudine Montagna e collina sono centrali Servono risorse concrete e piani

Montagna e collina centrali per l’Italia: servono risorse concrete e strategie per i territori

Giampietro Comolli, consulente dei Distretti produttivi turistici esorta affinché i 50 miliardi di euro previsti per i prossimi 7 anni guardino allo sviluppo di queste aree. Tre quarti di tutto il territorio italiano è sopra i 350 metri di altitudine e qui si producono il 60% di tutte le specialità agroalimentari nazionali certificate Ue

di Emanuele Bottiroli
02 maggio 2021 | 05:00
 

Giampietro Comolli, consulente dei Distretti produttivi turistici e docente di Storia ed economia della vite e del vino, ha dedicato una riflessione al tema del Recovery Plan esortando la politica affinché i 50 miliardi di euro previsti per i prossimi 7 anni guardino anche allo sviluppo di collina e montagna oltre che delle annesse attività economiche: enoturismo, vino, allevamento e prodotti tipici, ad esempio.

Tre quarti di tutto il territorio italiano è sopra i 350 metri di altitudine Montagna e collina sono centrali Servono risorse concrete e piani

Tre quarti di tutto il territorio italiano è sopra i 350 metri di altitudine

Speranza per le agricolture resistenti

«L’Europa - spiega l’esperto - ha messo sul tavolo italiano a fronte di vere riforme istituzionali una vagonata di miliardi di euro per un piano di ripresa e di resilienza, da quello sanitario alla giustizia, dall’ambiente alla tecnologia. Un po’ di miliardi sono già stati spesi, ma il famoso Pnrr sta per essere declinato. La recente audizione alla Camera del neoministro all’agricoltura Stefano Patuanelli lascia sperare in alcune novità. Fra queste, in linea con l’annunciata transizione ecoambientale e digitale, viene dato spazio e attenzione alle produzioni più resilienti e sostenibili, al valore delle aree forestali, agli interventi di regimazione idrica, all’agroalimentare esteso e multifunzionale, alla messa in sicurezza di area difficili. Il tutto dovrebbe fare riferimento ai fondi del Recovery, della Politica Agricola Comune, di Coesione, Leader, Live, Horizon, eccetera».

Serve un piano strategico per la montagna

C’è una borsa con dentro 50 miliardi di euro dal 2021 al 2027. «Il tutto - esorta Comolli – deve essere orientato in piani reali di strutture, infrastrutture, lungo periodo, strumenti, lavoro, ecosistemi. No ad assistenzialismo, prebende, pioggia di euro senza costrutto, elargizioni senza obiettivo, credito senza solidità di impresa. Secondo queste linee guida può essere, finalmente, occasione buona per un impegno costruttivo e duraturo verso le nostre montagne appenniniche e le alte colline. Quei territori che hanno nel Dna quella biodiversità, naturalità, ambiente, ecosistemi che la Commissione della Von Der Leyen ha descritto nel Green Deal, base fondamentale per ottenere i fondi Ue».

Puntare sulle aree interne

Comolli invita quindi a invertire una tendenza che ha visto l’abbandono delle nostre aree interne. «Tre quarti di tutto il territorio italiano è sopra i 350 metri di altitudine con circa il 20% di abitanti (6 milioni vivono fissi in montagna). A fronte dello spopolamento, non è stato fatto nulla: qualche casa o borgo si è trasformato in zona di villeggiatura. In queste ampie aree interne o aree fragili come sono descritte, si producono il 60% di tutte le specialità agroalimentari nazionali certificate Ue, dai formaggi ai vini, dai funghi ai salumi. Ma fare l’agricoltore in queste zone è una impresa titanica, al di là della fatica e difficoltà. Ma è anche l’ultimo presidio umano che attraverso la proprietà privata personale svolge anche un compito di presidio, un po’ di manutenzione. Ma non basta. Il rischio è che se non si ricorre ai ripari la montagna crollerà, in tutti i sensi, a valle. La prima sicurezza e garanzia che le imprese a valle e in pianura possano continuare a esserci e a produrre è data dalla gestione continua e ordinata delle arre a monte. Sopra i 350-500 metri di altitudine i fondi della politica agricola e dei piani regionali non arriva o arriva con piccoli sussidi calcolati sulla superficie agricola e basta. Aziende troppo piccole. Redditi bassi e quindi anche tasse e imposte insufficienti per i piccoli enti comunali di 500, 1000, 1500 abitanti fissi cadauno. Per cui l’agricoltura da sola non paga neanche l’agricoltura stessa».

Giampietro Comolli Fonte: Olio Officina Montagna e collina sono centrali Servono risorse concrete e piani
Giampietro Comolli Fonte: Olio Officina

Sostenere i giovani e le famiglie che vogliono fare l’agricoltore di montagna

Comolli conclude: «Fare l’agricoltore in montagna è una vita disagiata, difficile, senza servizi e assistenza. Rammendi e rattoppi non servono più. Se esistono giovani e famiglie che vogliono tornare a fare anche l’agricoltore e l’allevatore, prima di tutto occorrono tutte le necessità di una vita normale. Uno sgravio fiscale di 10 anni, qualche contributo a fondo perduto, un sostegno all’avviamento di impresa, superbonus per la casa non sono sufficienti. Oggi ci vuole una legge dedicata alle nostre terre difficili, disagiate, vulnerabili che in primis riconosca all’agricoltura estensiva di montagna poco produttiva un “valore aggiunto” per tutta la società».

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