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Gita in “osmiza” sul confine sloveno alla scoperta di vini e tradizioni

Sull’altopiano del Carso, tra Italia e Slovenia, la cosiddetta “osmiza” è un luogo dove si vendono e si consumano vini e prodotti tipici. Una sorta di agriturismo, dove trascorrere giornate conviviali con amici o parenti

di Liliana Savioli
 
18 maggio 2015 | 15:46

Gita in “osmiza” sul confine sloveno alla scoperta di vini e tradizioni

Sull’altopiano del Carso, tra Italia e Slovenia, la cosiddetta “osmiza” è un luogo dove si vendono e si consumano vini e prodotti tipici. Una sorta di agriturismo, dove trascorrere giornate conviviali con amici o parenti

di Liliana Savioli
18 maggio 2015 | 15:46
 

Nel mio profondo Nordest difficilmente si va in enoteca per degustare un bicchiere di vino e fare uno spuntino. Si prende la macchina e si va “in osmiza”. Non sono altro che case e corti dei vignaioli del Carso che, a turno, vengono aperte per permettere a chiunque di assaggiare i prodotti dell’azienda. Pare che la sua istituzione risalga ai tempi di Carlo Magno quando quest’ultimo permise ai contadini dei territori di Tergeste e Istria, allora parte del Regno dei Franchi, di vendere il proprio vino direttamente, segnalandolo con una frasca appesa.



L’antica usanza si radicò ulteriormente con il decreto di Giuseppe II d’Asburgo nel 1784 che permetteva la vendita di vino sfuso di propria produzione per un periodo di otto giorni. Infatti il termine in sloveno “osmica” (pronuncia: osmiza) viene da “osem” che significa “otto” e indicava la durata della concessione del periodo di apertura, di otto giorni appunto. L’attività doveva essere segnalata lungo la strada o sul portone di casa da una frasca, pena la confisca della merce. Le antesignane dei moderni agriturismi. Ci vanno tutti: giovani con le chitarre, anziani del paese con il mazzo di carte per far una partitina, signore eleganti che si trovano per far quattro “ciacole” (chiacchiere), famiglie con bimbi liberi di scorazzare per il cortile, compagnie di amici affamati dopo una lunga passeggiata.



In questo periodo è aperta l’Osmiza dei Parovel a San Dorligo della Valle (Ts), località Dolina. Più a est di così non si può essere. Si trova alla fine del Carso Triestino che implodendo ha formato la val Rosandra. Siamo all’inizio della penisola Istriana. Praticamente l’ultimo lembo italiano prima del confine con la Slovenia. Due fratelli sono a capo di questa azienda. Elena ed Euro (nella foto). Elena si occupa di tutto ciò che è amministrativo, Euro di tutto ciò che è operativo. Bruna, occhi scuri e irrequieti, fisico scattante, parlantina sciolta, sorriso smagliante lei. Biondo, occhi chiari, timido e di poche parole lui. Metà e metà. Come metà e metà sono gli ettari coltivati metà a vigneto e metà a oliveto. Come metà e metà sono i terreni tra la collina e la pianura. Come metà e metà sono le vendite, metà in Italia e metà all’estero. Come metà e metà sono i vini tra bianchi e rossi. Insomma tutto dai Parovel è a metà e metà!

Elena ed Euro Parovel

Prima di assaggiare formaggi e salumi vari, vado in cantina. Grande, spaziosa, pulitissima, niente è fuori posto anche se tutto è in lavorazione. Degusto i bianche della nuova annata. Sia la malvasia che la vitovska sono ancora in vasca d’acciaio e ci rimarranno per altri 3 mesi e poi riposeranno ancora in bottiglie per un altro anno prima di essere messi in commercio. Annata difficile, lo sappiamo tutti, il 2014, infatti la loro produzione è pari ad un terzo del normale. Però i due bianchi sono freschi, con aromi varietali e gusti armonici. Passare nelle barricaia è un gran piacere. Assaggio di tutto e di più, ed Euro si lascia andare, cosa non semplice per lui, a racconti e spiegazioni.

Rimango estasiata dal Matos Nonet (Matos perché è un vino matto e Nonet dal nome del coro di 9 voci maschili, di cui Euro fa parte). Un vero uvaggio di Malvasia, Sauvignon e Semillon. Da vigne vecchie, raccolte tutto assieme in un solo giorno, macerato una settimana, fermentato con soli lieviti indigeni e lasciato sulle fecce in tonneau per due anni. Travasato il acciaio per la decantazione e imbottigliato senza filtrazione.

Oro liquido nel bicchiere, un naso intrigante, amplissimo. Spazia dalla ginestra al cardamomo, per passare alla nocciola e alla crosta di pane, fa poi un giretto sulle note verdi del sambuco per poi continuare sul balsamico. Al gusto è intenso, sapido, lungo, avvolgente, leggermente tannico. La circolarità è sorprendente.

Per ultimo un moscato passito e botritizzato non dolce del 2009 ancora in botte. Non sa ancora quale sarà il suo destino. Arriverà il matrimonio con del mosto di moscato per renderlo un passito dolce? Verrà imbottigliato così come è ora? Rimarrà in botte per farsi scoprire solo agli amici che verranno a trovarlo in cantina? Ancora non si sa. Ma non lo perderò di vista di sicuro.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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