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Sulle tracce dello Spungone Un itinerario tutto romagnolo

di Marco Di Giovanni
 
08 settembre 2019 | 12:30

Sulle tracce dello Spungone Un itinerario tutto romagnolo

di Marco Di Giovanni
08 settembre 2019 | 12:30
 

Una particolare dorsale rocciosa attraversa quattro comuni - Meldola, Bertinoro, Castrocaro e Predappio - costituendo la strada maestra per un percorso turistico tra vino e cucina.

Facile che i nomi di questi quattro comuni dicano qualcosa a chi li legge. Mi riferisco a Castrocaro, con il suo festival e le sue terme, o a Predappio, casa natale di Mussolini, o a Bertinoro, forse, citato da Dante nella sua Commedia. Ma quanti davvero han pensato che tra queste terre potessero nascondersi tesori enogastronomici e storici?

Una Romagna diversa, la Romagna dello spungone (Sulle tracce dello Spungone Un itinerario tutto romagnoloDA FINIRE)
Una Romagna diversa, la Romagna dello spungone

Per scoprirli è sufficiente seguire lo Spungone. Una particolare tipologia di roccia, un grossolano impasto di gusci di conchiglie marine tenute assieme da cemento calcareo: le sue origini derivano da una barriera corallina presente circa 3 milioni di anni fa lungo le zone rialzate che costituivano la Romagna di allora (insomma, Sharm di oggi, Romagna di ieri).

Meldola
La prima traccia di Spungone l'abbiamo rinvenuta a Meldola. Piccolo paese (12mila abitanti circa, nemmeno così piccolo) a breve distanza dal nostro punto d'appoggio, il tradizionale Grand Hotel Terme della Fratta, Meldola è la patria del rivoluzionario Felice Orsini. Nasce per la precisione nel sottotetto del palazzo del Principe, che si specchia, dalla parte opposta della piazza, con il comune. Meldola, per chi non lo sapesse, è stato anche centro nevralgico per il commercio del baco da seta (per curiosi e appassionati, un bel museo è nascosto appena alla destra del palazzo comunale, sotto gli archi dell'ex piazzetta delle erbe, luogo eletto, tempo addietro, per questo particolare mercato).


Si capitasse in queste zone, vale la tappa anche il piccolo teatro poco più su rispetto al centro: 300 posti, ancora agibile, costruito nel 1826, chiuso da Mussolini, restaurato nel '77 e ufficialmente inaugurato nell'84 - oggi rassegne in prose, commedie dialettali, concertini e spettacoli per bambini ne animano le stagioni.

Tuttavia vera protagonista del primo dei quattro comuni dello Spungone è la Rocca. Complesso realizzato intorno al Mille, ad oggi in fase di ristrutturazione: «Abbiamo messo in sicurezza una parte della Rocca e sistemato altre zone, mancano i sotterranei, per quelli servono investimenti», così la responsabile dell'archivio storico Aurora Bombacci, che insieme all'assessore alla cultura Michele Drudi, al direttore del Museo del baco da seta Luciano Ravaglioli e ad altri ci hanno accompagnato in questa visita. Piccola chicca: la campana incastonata nella piccola torre di vedetta è stata benedetta da papa Clemente VIII.


È sufficiente uscire dal retro della Rocca e tenersi lo Spungone, frastagliato tra roccia e fossili marini, sulla destra per arrivare ad un piccolo Museo ecologico realizzato all'interno di una chiesetta sconsacrata. Qui, ben realizzata, la storia della fauna dell'Emilia Romagna dalla Preistoria ad oggi, con animali imbalsamati e fedeli riproduzioni a fare da tappe di un percorso lungo milioni di anni.

Bertinoro
Anche detto il paese dell'ospitalità, Bertinoro è un Borgo Autentico d'Italia. Strade strette che s'arrampicano su per la collina, racchiuse da piccole casette d'epoca, un'atmosfera suggestiva e familiare, un clima reso ancora più accogliente dalla notte bianca che una volta l'anno anima questo piccolo villaggio romagnolo.

La Rocca di Bertinoro, oggi sede distaccata dell'Università degli studi di Bologna (Sulle tracce dello Spungone Un itinerario tutto romagnoloDA FINIRE)
La Rocca di Bertinoro, oggi sede distaccata dell'Università degli studi di Bologna

La Rocca di Bertinoro
Protagonista un'altra rocca, quella probabilmente meglio conservata tra i quattro comuni, ad oggi sede di corsi di specializzazione Alma Mater, Università degli studi di Bologna. Enrico, "custode" della Rocca e direttore del museo allestito nei suoi sotterranei, ce ne spiega la costruzione grazie a quelle informazioni emerse durante il restauro tra il 1998 e il 2002. Nel corso dei secoli, lo Spungone è stato raccolto dai sotterranei dell'attuale Rocca ed utilizzato per costruire pezzo dopo pezzo (in altezza) il grande complesso. Piccola chicca, il museo interreligioso: una raccolta di reperti ed oggetti di pregio delle tre grandi religioni monoteiste - islam, cristianesimo ed ebraismo.


Campo del Sole
Lo Spungone, anche qui la fa da padrone. Ma a Bertinoro questa preziosa roccia non è stata e non è tuttora importante soltanto per l'edilizia. È nei vini che lo Spungone rivela la propria natura di roccia calcarea ricca di fossili marini. Vini come quelli di Campo del Sole, azienda vitivinicola bertinorese dal 1992. All'inizio qui albicocchi e peschi, tutti estirpati (sono rimasti giusto 2 ettari di olivi) per lasciare spazio a 75 ettari di vigne.


Si parla di circa 750mila bottiglie per due linee di produzione, una destinata alla Gdo (60%) e una all'Horeca (20%) - il rimanente viene esportato. Tra le referenze il Pagadebit Dop, un 100% Bombino bianco dalla spiccata mineralità che nasce da una storia interessante: quando i contadini non riuscivano a saldare eventuali spese, al posto dei soldi "pagavano" con questo vino, da lì il nome Pagadebit, "paga debito". L'Albana poi, prima Docg bianca in Italia, è il vino di Bertinoro per eccellenza. Ce ne sono davvero tante varianti, dalle più secche (come quella di Celli) alle più dolci (come quella degustata a Campo del Sole). Piccola chicca, questo vino ha una sua leggenda: pare che nel 435 d.C. la principessa Galla Placidia, figlia dell'ultimo imperatore dell'Impero Romano unito, Teodosio, si sia ritirata in Romagna per sfuggire alla malaria; lungo la strada, in un piccolo villaggio, le fu offerto un vino bianco locale noto come Albana in un calice di terracotta; ella lo assaggiò e disse "Non di così rozzo calice tu sei degno, bensì di berti in oro", e da quest'ultime tre parole si dice il piccolo villaggio abbia preso il nome.

Assaggiamo anche i Sangiovese Romagnoli proposti da Campo del Sole, resi più amabili da una piccola percentuale (dal 3 al 5%) di Merlot passato prima in barrique poi blendizzato con il Sangiovese.

Ca de Be
Al centro di Bertinoro, nella piazza principale appena sopra (50 metri) il ghetto ebraico, c'è una scaletta a scendere che porta sulla Terrazza di Romagna. Nulla a che fare col balcone di Giulietta e simili: è un ristorante con una vista mozzafiato, ideale per una cena romantica durante la bella stagione. È stato aperto nel 1972 su volontà dei Tribuni di Romagna. Piccola chicca: i Tribuni, una delle associazioni di maggior rilievo in romagna, fecero un decreto iniziale per il quale «gli sarebbe stato consentito di bere gratuitamente in tutte le cantine di Romagna», ci racconta il vicesindaco di Bertinoro Mirko Capuano.


Una cena a dir poco tipica, a dir poco tradizionale. Fan da apripista salumi del posto accompagnati dall'immancabile squacquerone, a seguire i crostini con fegatini, ricetta di Pellegrino Artusi (prima del suo spostamento a Firenze); meritano un assaggio i Ravioli saltati con burro fuso e cacio romagnolo, riepini di erbette del campo di proprietà e ricotta; le tagliatelle al ragù son quelle autentiche, la pasta è severamente fatta in casa; buono il coniglio, ancor meglio le costolette di maiale, cotte a bassa temperatura per 16 ore.

Castrocaro
Noto per le sue terme, questo comune della Romagna nasconde tesori ben più antichi, come la sua Fortezza. A mostrarcela, il temerario Elio Caruso, presidente della Proloco del comune. Come sottolinea il sindaco Marianna Tonellato, «il castello è più suo che nostro». È Elio infatti ad essersi prodigato in tutti questi anni per riorganizzare le stanze, sistemare ogni dettaglio, organizzare addirittura un piccolo museo storico. Questo museo traccia i tre periodi di vita del Castello (che sappiamo essere eretto almeno 50-70 anni prima dal primo documento scritto che lo interessa, una lettera di Ottone I del 961 d.C., in un viaggio verso Roma per essere consacrato imperatore): prima il Sacro Romano Impero, poi lo Stato della Chiesa, infine la Repubblica fiorentina e il dominio Mediceo.


Due piccole chicche. Nonostante alcune guide, anche recenti, dicano che il castello sia un rudere, le parti visitabili sono cospicue, per le sue zone sì restaurate ma ancora ricche di fascino vale indubbiamente una visita; inoltre, verso la fine del tour, una leggera storiella ci fa sorridere: una piccola finestrella dà l'affaccio sui colli fiorentini, il buon Elio fa mettere qualcuno davanti e, alimentando la fantasia come solo lui sa fare, paragona la vista allo sfondo della Gioconda di Leonardo.


Il Castello del capitano delle artiglierie
In centro al paese un'altra "fortezza": il Castello del capitano delle artiglierie. Oggi questo "maniero" è più che visitabile, è addirittura un bellissimo b&b dove poter soggiornare, tra lusso e natura. La sua storia ci piace: la proprietaria ha raccontato di un casuale incontro del padre con un mercante, dal quale acquistò quella che pensava essere una cantina; tuttavia, una volta visitata, ci trovò sopra un rudere, lo ristrutturò e da lì nacque una struttura che ad oggi ospita anche meeting, feste (c'è una piccola discoteca al piano più basso) e matrimoni (il catering è esterno, il parco per il banchetto invece è di proprietà). Piccola chicca: in una delle prime stanze, un biliardo ben tenuto pare essere quello a cui era solito giocare Benito Mussolini.


Predappio
Poco più di 6mila abitanti, diverse frazioni e una Predappio alta che domina, con potere ecclesiastico, amministrativo e politico tutti raccolti attorno al comune. Predappio si è rifatta un po' il nome in questi ultimi anni, dopo esser stata malvista a partire dal secondo Dopoguerra, essendo casa natale del Duce. Il sindaco Roberto Canali ci spiega: «In ogni parte del paese c'è qualcosa di storico che vale la pena visitare, la casa di Mussolini ad esempio, fatta tra l'altro con roccia Spungone». Poco al di sotto della casa, una piazza, dalla quale a fine degli anni '20 fu eretta una lunga scala in onore del Duce, da lui stesso poi fatta distruggere perché "eccessivamente celebrativa". Piccola chicca: in questa stessa piazza si svolge ogni anno la tre giorni dedicata al Sangiovese di Romagna.


Salendo per le strade del paese ci si immerge nella natura boschiva; tuttavia, per chi conosce bene questo territorio, gli accessi più nascosti non sono un mistero. È così che scopriamo una stupenda grotta sotterranea con due interessanti particolarità: innanzitutto ogni anno nel periodo che va dall'Immacolata all'Epifania viene allestito un presepe sempre diverso (quest'anno tocca ad Andrea Fontana) caratteristico appunto perché incastonato tra le rocce; in secondo luogo qui si fa anche un particolare tipo di formaggio, il Formaggio della Solfatara, infossato qui da luglio a ottobre - quest'anno ne verranno prodotti 5 quintali, ma con la nuova presidente della Proloco di Castrocaro questi numeri sono destinati a crescere, anche fuori Romagna.

Nicolucci


Una piccola realtà nel solco della tradizione; cantine sotterranee che un tempo facevano parte di tutta una rete di tunnel, riparo per la comunità durante la seconda Guerra mondiale; un prode viticoltore che con orgoglio ricorda gli step della sua proprietà. Alessandro Nicolucci aveva un nonno, questi lavorava per un generale dell'epoca, al termine del conflitto il comandante si ritirò in Sardegna, lasciando al vecchio vignaiolo il suo podere, che da allora prende il nome di Vigna del Generale. Una storia appassionate e una realtà tradizionale danno vita a grandi vini, come il Sangiovese Superiore Tre Rocche (5-6 mesi in botti grandi di rovere, un vino strutturato, intenso al naso ed equilibrato in bocca, un tannino presente e morbido e una buona persistenza) o il Sangiovese Riserva 2016 (da uve della Vigna del Generale, naso fine ed ampio).

Vecia Cantena d'la Prè


Un locale tanto modesto quanto accogliente: lo stile è quello artigianale, quello da osteria tipicamente romagnola, dove passi una serata di convivialità, dove torni perché senza rendertene nemmeno conto è già diventato uno dei tuoi posti del cuore. Il menu è stato più che abbondante e a dir poco del territorio: un pinzimonio di verdure, cosa rara da trovare oggi giorno fuori casa, ha fatto da antipasto insieme alla PiaVina (brevettata, una piadina al vino con squacquerone e formaggio della Solfatura - non per niente in cucina c'è proprio la presidente della Proloco comunale). Con i primi piatti non ci si smentisce: degli ottimi Cappelletti nel brodo delle feste e dei Tortelli di patate e zucca al Pecorino della Soldatura e pepe; abbondante ma cotto alla perfezione l'Arrosto misto dell'aia con spiedino di verdure grigliate e patate arrosto; golosa e per nulla stucchevole la Ciabella al rosolio con mascarpone e gocce di cioccolato.

La Festa dell'Ospitalità
In poco tempo abbiamo fatto tanta strada, ad ogni step abbiamo cercato di cogliere tutti i comun denominatori di questi paesi: vino, tavola, tradizione, lo Spungone, naturalmente. Ma uno sopra tutti si è dimostrato sempre presente: l'accoglienza. Non è dunque un caso se proprio a Bertinoro è stata celebrata la 93ª Festa dell'Ospitalità. Le radici sono ben più antiche di quanto ci si immagini. Pieno Medioevo: i pellegrini giungevano in queste zone cavalcando il proprio destriero (era in realtà più probabile venissero a piedi, ma proseguiamo con la storia) fino alla piazza centrale; erano ricolmi di informazioni dal mondo esterno, ecco perché le famiglie nobili di Bertinoro (per tradizione se ne contano 12) cercavano di accaparrarsene la compagnia; inizialmente si contendevano l'ospite a suon di spada, finché uno tra tutti non semplificò la "procedura", apponendo alla colonna nel centro della piazza una serie di anelli, uno per famiglia; a seconda dell'anello scelto dal pellegrino per legare il suo cavallo, la famiglia proprietaria dell'anello in questione avrebbe avuto il diritto di ospitare il forestiero.


Questa bella leggenda viene fatta rivivere ancora oggi: un lungo corteo di cittadini, vestiti d'epoca, un finto pellegrino su di un cavallo. Poi sbandieratori, musiche e discorsi. Perché, come detto dal vicesindaco Mirko Capuano, «Noi di Bertinoro non ci pentiamo di ciò che non abbiamo, ma siamo grati e valorizziamo quello che è nostro».

Ospiti tra critici d'arte, amici della città e giornalisti (io compreso ho avuto quest'onore) hanno uno per uno scelto una busta, scoprendo chi li avrebbe ospitati. Non posso sapere a chi gli altri ospiti siano stati assegnati secondo sorte, posso solo dire che pur non sapendolo non farei, con gli occhi di poi, cambio con alcuno di loro. Una bella famiglia con l'ospitalità nel cuore; una tavola imbandita e piatti e vini che sapevano di casa, della loro casa; un ambiente accogliente che testimonia la vera eredità di un valore che ancora vive. Così ci hanno accolto in casa loro Silvia Stromboli e Fabiano Amaducci, insieme ai figli Federico e Francesco e al cugino di Fabiano con rispettiva famiglia.


Un veloce aperitivo in terrazza, protagonista un frizzantino di Bertinoro e un crescione tra i migliori della Romagna. Poi a tavola: in cucina, come da tradizione, la nonna, la signora Giuliana, che di ricette del suo territorio ne conosce non poche. Prima i Passatelli in brodo - assaggiarli fatti in casa è qualcosa di unico - poi gli Strozzapreti al ragù, tutto home-made, dalla conserva alla pasta; un Petto di pollo ai funghi con melanzane e una Faraona hanno fatto la loro figura. La sensazione è quella di essere nel vero "home-restaurant", e ci tornerei subito, insieme al collega Filippo Fabbri!

Perché è questo il senso che gli home-restaurant dovrebbero immancabilmente portarsi appresso: sentirsi in famiglia. Chiacchierare con Fabiano dei vini di Bertinoro e dei concerti di Antonello Venditti, abbozzare piccole perle satiriche con il cugino, godere della gentilezza di Silvia, ricordare i bei tempi da studente a Milano con il giovane Federico e riesumare quelle poche conoscenze calcistiche per chiacchierare con il piccolo Francesco.

Dopo questo pranzo "tutto in famiglia", rientrando verso casa, in macchina, ad alto volume ed in loop, il vecchio valzer "Romagna mia".

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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