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La favola nobile dei vini Il Pollenza, figli del Conte Aldo Brachetti Peretti

La cantina si trova tra i monti Sibillini e il mare Adriatico e i suoi vini sono stati protagonisti di una serata organizzata dalla Fondazione Italiana Sommelier a Catania

di Antonio Iacona
 
05 maggio 2022 | 18:20

La favola nobile dei vini Il Pollenza, figli del Conte Aldo Brachetti Peretti

La cantina si trova tra i monti Sibillini e il mare Adriatico e i suoi vini sono stati protagonisti di una serata organizzata dalla Fondazione Italiana Sommelier a Catania

di Antonio Iacona
05 maggio 2022 | 18:20
 

Questo racconto potrebbe tanto sembrare una favola. E forse, in parte lo è! C’è un Conte, spinto per tutta la vita dall’ardore di riscoprire le proprie origini, le proprie radici. Ci sono due Papi, che appaiono nella storia di questa famiglia. C’è persino un motto, di quelli nobiliari: “Per angusta ad augusta”. E c’è, infine, un castello, uno château, tanto che il sospetto viene che potremmo essere in Francia, vista la passione del Conte per i vini d’Oltralpe…

E invece no, siamo in Italia, in una delle sue tante regioni affascinanti, forse tra le meno apprezzate dal punto di vista vitivinicolo, ma certamente degna di essere anch’essa riscoperta, proprio come la storia della famiglia di Brachetti Peretti, Conte di origini marchigiane, ma che le Marche non le ha vissute per una parte della sua vita. E così, le ha inseguite, le ha ri-amate, le ha coltivate, culturalmente ed enologicamente, tanto da creare (erano gli Anni ’70) la propria tenuta e poi la propria cantina, Il Pollenza.

La favola nobile dei vini Il Pollenza, figli del Conte Aldo Brachetti Peretti

Il Pollenza protagonista con la Fondazione Italiana Sommelier 

Questa favola reale si colloca tra i Monti Sibillini e il Mare Adriatico e dobbiamo essere grati alla Fondazione Italiana Sommelier, e in particolare alla Delegazione Sicilia, brillantemente guidata dal presidente regionale Paolo Di Caro, se nel suo “giro d’Italia” enologico ha inserito anche questa nobile cantina del centro del nostro Paese. Nobile in tutti i sensi, poiché la degustazione andata in scena qualche sera fa negli eleganti locali dello Sheraton di Catania, proprio a firma di FIS Sicilia, ha incantato, ha stupito, ha svelato vere e proprie poesie del vino sottoforma di calici ed etichette.

“Nobili, eleganti, unici” annunciava la locandina di quello che è stato considerato un vero e proprio evento, non solo dalla stampa, ma dagli stessi organizzatori, appassionati e amanti del vino ricercato. Di suo, FIS Sicilia ha messo sul banco tutta la professionalità ed eleganza dei relatori, compresa l’introduzione del presidente Paolo Di Caro. A condurre il gioco sensoriale è stato un altrettanto elegante e brillante Raffaele Fischetti, presidente di FIS Alto Adige, mentre a presentare la cantina nei suoi aspetti più attraenti ed anche reconditi è stata la responsabile commerciale, la lucana Lucrezia Bencivenga.

La favola nobile dei vini Il Pollenza, figli del Conte Aldo Brachetti Peretti

Il Pollenza: 150mila bottiglie

Una lunga esperienza maturata prima tra cantine della sua Basilicata e poi della Campania, Lucrezia è approdata da qualche anno proprio alla cantina Il Pollenza, per rimanerne stregata, affascinata, conquistata. «Uno spazio di centinaia di ettari – ha spiegato la responsabile marketing al folto pubblico di degustatori – ma che solo poco tempo all’anno è preso di mira da visitatori e avventori. Per molti mesi, soprattutto quelli autunnali e invernali, siamo in “solitaria”, accompagnati dal canto della natura, della neve il più delle volte, e dalla poesia degli ettari vitati, appena 60, per un totale di 150 mila bottiglie prodotte ogni anno, con tanto di pratiche manuali, dalla vendemmia in poi, imposte dal Conte, nel segno della totale eccellenza».

Gli enologi dell'azienda 

La descrizione corrisponde a quei quadri di fine ‘800, di quei naturalisti che, forse anche senza volerlo, pennellavano di poesia le proprie tele. E lo château de Il Pollenza sembra corrispondere proprio a queste ambientazioni. È qui che il Conte Aldo Maria Brachetti Peretti conduce, rigorosamente quanto amorevolmente, la propria azienda. Qui egli ha dato vita al suo sogno-progetto, con il supporto, sin dalla prima annata (2001), di enologi che hanno segnato la storia stessa della viticoltura italiana: Giacomo Tachis, il primo, che ha condotto il Conte nel magico mondo di botti e fermentazioni, vigne e vendemmie, fino al 2006, anno in cui passa la mano ad un altro grande collega: Carlo Ferrini. Una successione che segna anche un cambio stilistico importante, ma con il fil rouge sempre presente: l’amore smisurato del Conte per la propria famiglia, tanto da considerare i vini come “figli”, dedicando ogni etichetta di sua produzione ai propri nipoti, e l’amore al contempo per l’eccellenza, per la nobiltà in ogni gesto, in ogni azione che compie per nome e per conto della propria cantina. Così nascono vini come quelli degustati a Catania. 

I vini degustati a Catania 

La favola nobile dei vini Il Pollenza, figli del Conte Aldo Brachetti Peretti

A.BP. Metodo Classico Millesimato 2012, Angera Ribona 2021, Brianello 2020, Didi Rosato 2020, Cosmino Cabernet Franc 2015, Pius Sauvignon Passito 2015, mentre una vera e propria mini-verticale è stata dedicata a Il Pollenza 2003, 2006, 2015.

“Il Conte? È stato ed è un visionario, proprio come Andy Warhol…” ha esordito Raffaele Fischetti alla prima mescita nei calici…

Le bollicine sono le preferite dal Conte, di quell’A.BP. Metodo Classico Millesimato, di cui abbiamo degustato il 2012. Quell’ “Aldo Brachetti Peretti”, un’etichetta auto-dedicata, che in quell’annata riesce a esprimere eleganza attraverso il suo colore rosa antico, quasi salmone. Il Pinot nero ha evidenti richiami ai frutti rossi, con in bocca un richiamo alla cremosità, all’elegante avvolgenza. Un “quadro pop” lo ha definito Fischetti, a ben guardare, e ha trovato ragione nel suo declinare questo vino.

Stessa ragione riscontrata nel Brianello 2020, buona espressione di Sauvignon blanc, con richiami al naso di biancospino e frutta esotica, con un soffio di zenzero. Leggiadro in bocca e con una piacevole acidità.

Angera Ribona 2021 è stato l’occasione per evidenziare come nelle Marche ci siano solo una quindicina di produttori di Ribona e come proprio quest’anno sia stato fondato il suo Consorzio di tutela. “Ricorda l’estate, questo vino – ha esclamato il presidente FIS Alto Adige – e con i suoi accenni alla mimosa, alla ginestra, alla frutta gialla. Peccato che in bocca sia ancora work in progress, nonostante la presenza già assidua della spalla acida…”.

Didi Rosato 2020 è stato inteso dal Conte come una carezza per la sua famiglia. Il colore lo fa collocare tra i vini provenzali, ma è tutt’altro che un vino facile o piacione. Il rosa antico richiama un po’ il Metodo Classico. Si sente la speziatura tipica del Syrah: ci sono fiore di ciliegio, maggiorana, macchia mediterranea. Il sorso in bocca è snello, agile, elegante. Su qualche risotto con crudité sarebbe perfetto!

Il Cosmino 2015 fino al 2014 è stato un blend tra Cabernet Franc e Sauvignon. Poi, la scommessa audace è stata puntare soltanto sul Cabernet Franc in purezza. Perché questo monovitigno o lo si ama o lo si odia, non ci sono alternative, così ruvido e fin troppo virile! Al calice, bacche nere, humus, sentori di terra bagnata, liquirizia, spezie dolci. E ancora, erba medicinale, note balsamiche. Il tannino è elegante, al palato rimane pulito, con una bella persistenza.

Passiamo direttamente al Passito, il Pius IX 2015, prima di concludere con la mini-verticale de Il Pollenza, il vino di punta della cantina. Sauvignon blanc 100%, da abbinare con formaggi erborinati più che con i dolci, vino mai stucchevole, “non è un passito seduto, ma piacevole da bere” ha detto Fischetti. E la cantina ha avuto un bell’ardire a presentare questa etichetta nell’Isola per eccellenza terra di passiti e malvasie. Ma la prova è stata degnamente superata!

Infine, ecco le tre etichette de Il Pollenza: 2003, 2006 e 2015. Partiamo da quest’ultimo, nato da 90% di Cabernet Sauvignon, 7% di Merlot e 3% di Petit Verdot. Ci indica la strada per una passeggiata nel sottobosco, con anice stellato e una stecca di liquirizia. Richiami alla polvere di caffè, alla torrefazione, ma che ha ancora molto da raccontare. Il Petit Verdot, poi, aiuta in questa passeggiata, perché entra con la sua nota rustica. In bocca la nota sapida è evidente, minerale. Il 2006, invece, ha visto l’utilizzo del 70% di Cabernet Sauvignon, 15% di Merlot, 10% Cabernet Franc e 5% di Petit Verdot, rivelando un equilibrio perfetto. Il 2003, infine, al 60% di Cabernet Sauvignon ha aggiunto il 25% di Merlot e il 15% di Cabernet Franc. Degna chiusura di una favola che vorremmo rileggere ancora, e ancora…

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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