Due notizie, una “cattiva” e una buona. La cattiva è che l’area di Bergamo è stata una delle più colpite al mondo dal nuovo coronavirus, con una prevalenza di casi positivi maggiore di quella di New York, Londra e Madrid. La buona è che “essere positivi non significa per forza essere contagiosi e quindi in grado di trasmettere il coronavirus”. Questo è ciò che emerso dalla ricerca dell’Istituto Mario Negri di Milano e pubblicata sulla rivista EBioMedicine (gruppo The Lancet).
La ricerca dell’Istituto Negri ha anche confermato la validità dei test sierologici pungidito
Ipotesi quest’ultima che circolava da maggio nella comunità, ma ora ufficializzata nell’ambito dello studio sostenuto da Regione Lombardia, Brembo Spa e Milano Serravalle - Tangenziali Spa, e che ha portato alla validazione del test sierologico rapido di Prima Lab, azienda svizzera.
IL RISULTATO DI POSITIVITÀ NON È SUFFICIENTE: DEVE ESSERE ACCOMPAGNATO DALLA CARICA VIRALESecondo la ricerca, su 423 volontari sottoposti al
sierologico, 23 sono risultati positivi anche ai tamponi, che sono stati confrontati con cellule vive, rimaste tali: «L’analisi evidenzia una bassissima carica virale che fa pensare a una
capacità infettiva probabilmente nulla — dice
Susanna Tomasoni, capo del laboratorio di
Terapia genica e riprogrammazione cellulare — I dati suggeriscono che qualificare l’entità della
carica virale, piuttosto che riportare solo una positività di per sé, è importante per ottimizzare i criteri di dimissione dei soggetti infetti». «Questo studio ha importanti risvolti per le
politiche di
contenimento del nostro servizio sanitario nazionale — sottolinea
Ariela Benigni, segretario scientifico e coordinatore delle ricerche — È molto prezioso per liberare dalla
quarantena soggetti con carica virale bassa».
PALÙ, POSITIVO NON VUOL DIRE CONTAGIOSO. INUTILE TRACCIARE GLI ASINTOMATICIUn concetto affermato anche da
Giorgio Palù, già presidente delle
Società italiana ed
europea di
virologia, che ha sottolineato a Tv7 come
positivo non vuol dire
ammalato e non vuol dire
contagioso. Tutto dipende, appunto, dalla
carica virale. «Il termine
sintomatico è molto chiaro: dimostra una persona che ha dei
sintomi (mal di gola, mal di testa, congiuntivite, febbre, diarrea, perdita di olfatto e di gusto, sintomi neurologici ecc…); sintomi che per larga misura sono simili a quelli
dell’influenza almeno nei prodromi e nelle prime manifestazioni. Quando parliamo di
contagiati usiamo un termine
improprio. Dovremmo parlare di soggetti
positivi al test (quello di riferimento è ancora il
tampone molecolare):
ci sono i positivi che contagiano e i positivi che non contagiano. Se una persona è
positiva, non vuol dire che si è
ammalata. Non vuol dire che sia
sintomatica e non vuol dire che sia
contagiosa. Se una persona è
asintomatica può essere tracciato solo durante la ricerca che si fa durante lo
screening o durante il tracciamento dei cosiddetti contatti. Se una persona è asintomatica, non lo sa. Può sapere se è positivo da asintomatica solo se fa il
test. Quindi è certo importante seguire la catena del
contagio, ma oggi con il 95% di
asintomatici in
Italia ha senso inseguire e tracciare gli
asintomatici?».
ANCHE ASINTOMATICI CON CARICA VIRALE ALTISSIMASu questo punto d’accordo anche
Carlo La Vecchia, ordinario di Epidemiologia all’Università degli studi di
Milano: misurare la carca virale diventa importante «per i pazienti a lungo positivi, dopo diversi tamponi ancora costretti a casa: valutandola si stabilisce se persiste il pericolo di contagio o meno». Anche se, aggiunge, «misurare la carica virale su vasta
scala richiede ancora tecnologie sofisticate e costose. In più la moltiplicazione delle
molecole Rna del virus varia da soggetto a soggetto; ad esempio, ci sono asintomatici con carica virale altissima. È quindi difficile, su base scientifica, correlare l’alta carica virale al numero dei ricoveri».
SIEROLOGICO TRADIZIONALE E PUNGIDITO: SOVRAPPONIBILITÀ AL 90%La ricerca dell’Istituto Negri ha anche confermato la
validità dei test
sierologici pungidito. Ognuno dei volontari è stato sottoposto al sierologico con prelievo di sangue e poi con il pungidito: è emersa una sovrapponibilità quasi perfetta, oltre il 90%, in termini sia di specificità sia di sensibilità. «Il test di
Prima Lab (società svizzera con cui il Negri non ha rapporti commerciali) è sostanzialmente sovrapponibile a quello venoso - dice
Luca Perico, primo autore dello studio - Può essere considerato estremamente efficace e prezioso per identificare nel giro di dieci minuti soggetti venuti a contatto con il virus».
TRISTE PRIMATO PER BERGAMOLa stessa ricerca ha, però, portato alla luce il triste primato di
Bergamo come la città più colpita al
Mondo. Il 38,5% dei 423 volontari (133 ricercatori del Negri e 290 dipendenti della Brembo Spa) è risultato positivo al sierologico, e cioè ha sviluppato gli anticorpi al Covid-19. «Bergamo, quindi, si profila come una delle aree più colpite al mondo con una sieroprevalenza che supera le stime di
New York (19,9%),
Londra (17,5%) e
Madrid (11,3%). Il campione dell’istituto dà una sieroprevalenza alta rispetto a quella certificata dall’Istat, al 24% per la Bergamasca, comunque la più alta d’Italia e, al momento, del mondo. Quel 38,5% rapportato alla popolazione bergamasca, calcola il Negri, equivarrebbe a 420 mila persone che hanno contratto il Covid, contro i 16mila contagiati che risultano alla Regione grazie ai tamponi. «Ciò indicherebbe che il 96% delle infezioni da Covid-19 non è stato rilevato dal sistema sanitario», conclude
l’Istituto. La percentuale Istat del 24%, che corrisponde invece a circa 240mila bergamaschi che hanno contratto il virus, abbasserebbe la percentuale al 93,6% di contagi non tracciati.