La crisi provocata dal Covid-19 ci ha (e lo farà per molto tempo) imposto la domanda di “come” fare ristorazione alla riapertura delle attività, si presume dopo il 15 maggio, dopo quasi 3 mesi di chiusura. Nella rete è un susseguirsi di annunci, desideri, strategie da parte di “grandi” cuochi e anche di ristoratori “normali”. C’è chi annuncia di non riaprire o che modificherà il percorso lavorativo o le scelte di cucina. Decisioni che andranno a impattare forse per sempre sul volto della ristorazione, non solo italiana.
Certamente uno dei problemi principali, comune alla stragrande maggioranza, è nell’immediato la crisi finanziaria: c’è una mancanza di liquidità che ha portato una fetta di cuochi e ristoratori a reinventarsi, sfruttando le poche possibilità che le strette maglie della sicurezza anti Covid ha permesso, cioè il delivery, quell’attività che in televisione viene pubblicizzata dalle grandi piattaforme di multinazionali di distribuzione di cibo attraverso l’impiego dei “rider”, ovvero i fattorini più o meno in regola con la sicurezza alimentare, che tanto hanno fatto scalpore anche per alcuni servizi televisivi di “Striscia la notizia”.
Uno dei tanti (troppi?) decreti che il nostro governo ha emanato permette a molti ristoratori di poter effettuare delivery di food e piatti pronti per lenire le difficoltà finanziare del momento. La creatività e la voglia di fare tipica del nostro tessuto di microimprese hanno fatto il resto: ora in molti affermano che il delivery si imporrà e forse sarà una nuova modalità di lavoro per la ristorazione. Al punto che la Fipe-Federazione italiana pubblici esercizi ha chiesto al governo di allargare questa possibilità anche all’asporto. Eppure c’è una bella differenza tra le due forme: il delivery presuppone la consegna a casa del cliente; con l’asporto è il cliente che si deve recare presso il ristorante per ritirare il cibo ordinato. Comprensibilmente quest’ultima possibilità per ora non era stata concessa dal governo.
Ma vediamo cosa prevde prevede uno dei decreti sulla possibilità di fare delivery.
Le misure precauzionali previste sono molto precise:
- I ristoratori debbono mettere a disposizione del personale tutto quanto serve per operare in maniera igienica, e soprattutto mantenere la distanza di un metro nello svolgimento di tutte le attività. Quindi chi ha cucine piccole rischia di non poter effettuare questa nuova attività.
- Si debbono definire aree destinate al ritiro del cibo preparato osservando procedure di pulizia e igienizzazione straordinarie. Queste aree debbono essere separate dai locali destinati alla produzione di cibo.
- Il ritiro del cibo dovrà avvenire nel rispetto della distanza di un metro con l’assenza di contatti diretti.
- Il cibo deve essere chiuso in apposite confezioni con adesivi, graffette o altro per assicurare la massima protezione. Il cibo così preparato deve essere riposto in zaini termici o nei con contenitori da trasporto, che debbono essere sempre puliti e igienizzati.
- La consegna deve avvenire tenendo conto della distanza prevista senza contatto diretto con il cliente.
Specifichiamo tutto questo perché se un ristoratore si organizza può fare delivery in proprio senza appoggiarsi ad una piattaforma. Il ristoratore si deve attrezzare e adeguare il processo produttivo a norme che prevedono:
- un piano Haccp specifico;
- possibilmente una documentazione via mail dell’ordine del cliente;
- un trasporto del cibo in totale sicurezza;
- una tracciabilità del pagamento.
Insomma un percorso non proprio facile, ma possibile. Ci auguriamo peraltro che i ristoratori non facciano le consegne con la propria auto. E ci chiediamo: tutti i ristoratori che svolgono delivery si sono adeguati a queste norme? Una delle cose più facili è appoggiarsi ad una delle piattaforme presenti sul mercato, il cliente ordina, il ristoratore cucina e prepara le confezioni, il rider consegna e il pagamento avviene attraverso la suddetta piattaforma. Nel leggere le offerte anche delle recenti proposte pasquali, ci chiediamo però quale marginalità ci possa essere; le commissioni delle società di delivery ormai oscillano dal 20 al 30%, l’iva è del 22%. Poi c’è la commissione del pagamento elettronico. Speriamo anche in questo caso che i ristoratori sappiano far di calcolo...
È altresì evidente che l’
asporto, cioè la presa diretta del cibo da parte del cliente farebbe diminuire, e di molto, il sovraccarico dei costi a carico del ristoratore. Siamo certi in proposito che non ci siano pressioni perché questo non avvenga? Le piattaforme di delivery, oggi in fortissima ascesa, avrebbero infatti un calo di lavoro notevole: vedremo cosa succederà. È quello che si definisce anche take away e che da da sempre è praticato dalla gran parte delle pizzerie e negli ultim tempi vale molto per i piatti di sushi..
Come Italia a Tavola quello che più ci preme maggiormente è analizzare e capire quale sarà la ricaduta sulla cucina se la ristorazione si avvia verso questi nuovi percorsi di business. Il cuoco dovrà necessariamente accettare un compromesso per mantenere il livello qualitativo che fin qui lo ha contraddistinto. Un conto è far trasportare da un rider una pizza, un hamburger o un sushi. Un altro affidargli un primo piatto, un brasato, una costoletta alla milanese o addirittura un risotto. Se già in un ristorante normale quando il cameriere ritarda di 2 o 3 minuti la consegna al tavolo il risotto si trasforma, la cotoletta rischia la sua impanatura, ecc., quale sarà il compromesso che il cuoco dovrà accettare e come affronterà questa nuova situazione? Il ristorante rischia di cambiare la sua missione? Sarà sempre un luogo dove si cucinerà, ma con standard diversi?
Ovvio che per far bene queste scelte si dovranno adottare nuovi protocolli di lavoro, usare materie prime di elevata qualità (o comunque scegliere e studiare ingredienti che si possano trasformare per resistere al trasporto), contenitori per il mantenimento del cibo di nuova generazione, che mantengano umidità e calore minimo, contenitori più spessi che possibilmente possano andare in microonde o nel fornetto di casa. Ricordo che giorni fa un ristoratore milanese che mi chiedeva consigli per il menu di Pasqua, ed è rimasto sorpreso quando gli ho raccomandato di ricordare al cliente che il contenitore di alluminio non può andare nel microonde e quindi di farlo presente. Ergo ci vorranno nuove attenzioni anche in questo, usare contenitori e sacchetti isolanti per il trasporto, magari allegando al delivery spiegazioni per il cliente su come riprendere e servire i piatti, se con gli stessi contenitori oppure no. Soprattutto servirà un’attenzione al food cost, perché non è detto che in proporzione il costo del delivery, se fatto in totale sicurezza e con la giusta qualità, sia inferiore al servizio del ristorante. Tutti questi ragionamenti e queste attenzioni valgono ovviamente con la sola sottrazione dei costi di consegna a domicilio e con una ricalibrazione quindi del prezzo da indicare in menu. Ma procedure, materie prime e tipologie dei contenitori saranno praticamente identiche.
Un’ulteriore possibilità per il ristoratore, di cui si parla poco, è poi la
vendita diretta, anche online, sia con il delivery che con l’asporto vero e proprio, di prodotti confezionati o materie prime. Per intenderci, il più classico vino, olio o altri prodotti tipo pasta, pelati, dolci, barattoli sott’olio o cibi sottovuoto. Cosa dice in proposito la legge? C’è un problema di autorizzazione e uno di tipo fiscale. Il ristoratore può di fatto vendere tutti i prodotti che utilizza nella pratica giornaliera di cucina, ha l’autorizzazione di somministrazione di alimenti e bevande, ma non della vendita al dettaglio. Un ristorante, oggi, produce e vende un servizio con fatture e ricevute elettroniche e con un’iva fissa del 10%, mentre la vendita al dettaglio, quindi con asporto, prevede la presenza di uno scontrino elettronico e un’iva differenziata per tipologia di prodotto, molti vini hanno ad esempio l’iva al 22%. Tenendo conto che il commercio è regolato su base regionale, prima di avventurarsi sarebbe meglio farsi appoggiare da un consulente specifico. Sappiamo che in molti casi i ristoranti vendono vino addebitandolo sulla ricevuta del pasto del cliente, ma anche qui si rischia. In questo caso il vino verrebbe venduto con un ricarico diverso, più basso, dello stesso nella carta dei vini, e questo complica le cose in un controllo induttivo fiscale, dato che i ricarichi sono diversi, potrebbero sorgere delle contestazioni. Si vende con la ricevuta del pasto e si presume che sia un vino consumato al tavolo.
Un altro aspetto sempre più frequente è che molti cuochi e ristoratori producono salse, confetture, marmellate e altri prodotti in proprio; è una attività che normalmente non rientra nella “licenza” di somministrazione. In questo caso è un’attività produttiva vera e propria da comunicare attraverso una Scia al Comune e all’Ats del territorio, che eventualmente possono controllare il percorso produttivo con tanto di Haccp. Le cose si complicano per esempio già nel realizzare le etichette, molto complicate, con le relative norme previste dalle leggi in vigore.
Delivery, asporto e vendita di prodotti sono attività che si affiancano alla tradizionale attività di cucina e che certamente possono essere un’interessante diversificazione e compensazione per la riduzione dei coperti imposta dal distanziamento sociale. Bisogna però attrezzarsi da subito, tenendo conto dei nuovi costi aggiuntivi e delle eventuali autorizzazioni che vanno richieste subito.
Per chiudere, ci preoccupa che il Covid-19 rischi di stravolgere la nostra ristorazione. In molti, pur di continuare la propria attività, si avventureranno nei percorsi che abbiamo descritto. Il rischio, lo vogliamo sottolineare, è che ci possa essere uno snaturamento dell’attività di ristorazione tradizionale e che il cliente alla fine non sia più in grado di distinguere il cibo del delivery o dell’asporto dal cibo servito nel ristorante. Ci dovrà essere una differenza, perché in caso contrario tutto il nostro Made in Italy potrebbe avere un contraccolpo negativo e avviarsi ad un declino. La responsabilità dei nostri cuochi e ristoratori dovrà quindi essere quella di salvare la nostra storia e la nostra tradizione e proporre ancora un’emozione, non limitandosi a vendere cibo.