Il Ceta non si può fermare, servono tipicità e qualità

10 luglio 2017 | 10:39
di Alberto Lupini
Che succede nel campo dell’agroalimentare italiano? Qualcuno (Coldiretti) si è schierato con Trump e altri (le associazioni di Dop e Igp) con la Merkel e Macron? Fuor di metafora, c’è oggi una divisione profonda nel giudizio sul Ceta, l’accordo di liberalizzazione degli scambi e degli investimenti tra Europa e Canada. Italian sounding (l’imitazione dei prodotti italiani più tipici) e importazioni senza limiti di grano duro e carne a dazio zero sono i pericoli paventati dagli agricoltori che non a caso avevano invaso Roma nei giorni scorsi. L’Aicig (associazione italiana consorzi indicazioni geografiche) e Federdoc (confederazione nazionale dei consorzi volontari per la tutela delle denominazioni dei vini italiani) replicano che, al contrario, da questa novità nel commercio internazionale si avvantaggeranno le denominazioni italiane protette e di maggiore qualità.



Secondo il presidente di Aicig Cesare Baldrighi, ad esempio, grazie all’accordo Ceta il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano aumenteranno sensibilmente le esportazioni in Canada. E sono convinto che ciò avverrà anche per il Gorgonzola, l’Asiago, il Provolone, i Prosciutti di Parma e San Daniele, l’Aceto Balsamico e tanti altri prodotti Dop e Igp. Dello stesso avviso è Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, che auspica peraltro che possa crescere negli anni l’elenco delle Igp italiane in Canada. Una questione non banale, visto che il Ceta non tutela tutte le denominazioni di origine. Ne è prova la forte contestazione ad esempio del consorzio dell’Olio Toscano Igp, la più grande denominazione di settore, che non è nell’elenco.

Da un lato la non tutela di tutte le denominazioni, quindi, e dall’altro la riduzione delle protezioni di fatto esistenti per i prodotti “base” della nostra agricoltura, sono in ogni caso le ragioni della contrarietà della Coldiretti che contesta la mancanza di attenzione per tutti i prodotti italiani (al punto che in Canada potranno continuare a produrre il “parmesan”).

La divisione di campo, per quanto riguarda i grandi numeri, passa di fatto attraverso il discrimine fra le produzioni agricole prevalentemente rivolte al mercato italiano (che quindi potrebbe soffrire in presenza di articoli concorrenti “simili” a prezzi contenuti) e quelle invece ormai avvezze alle esportazioni, e per le quali la riduzione dei dazi aprirebbe praterie sconfinate in Canada. Una questione non facilmente risolvibile sulla carta, connessa ai temi del libero mercato e della globalizzazione, ma che forse potrebbe avere la sua soluzione giocando la carta della qualità e della vera tipicità. Con tutto il rispetto per gli agricoltori, fra un pomodoro di San Marzano coltivato a Piacenza, in Olanda o in Canada (magari in serra) c’è davvero una differenza sostanziale? Dove sarebbe la tipicità? Se parliamo di quelli del sud, allora è un’altra storia, ed è quella che va valorizzata sul serio. Questa è la sfida per cui dobbiamo impegnarci tutti: tipicità e qualità.

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