Contraffatto ma ben fatto

19 agosto 2015 | 15:18
di Guerrino Di Benedetto
Questo potrebbe essere un buono slogan per chi produce mozzarelle in Argentina e Parmigiano in Canada. Sì perché le contraffazioni alimentari sono fatte mediamente bene, ovviamente non nel gusto, e allora perché? Semplicemente perché grazie all’italian sounding, a un packaging (di solito le migliori macchine per packaging le produciamo noi in Italia) accattivante, e a una efficace rete vendita, i contraffattori si creano un mercato interno di grande valore commerciale.



Ricordo a Seattle una amica ristoratrice mi portò da tagliare una mortadella surgelata fatta in Winsconsin. Ma purtroppo mi duole scrivere che “il pesce puzza dalla testa”, sì perché spesso le contraffazioni alimentari nascono anche in Italia grazie a ristoratori che speculano su finte cotolette alla milanese, su riso fatto in paesi non italiani, su carni e salumi di dubbia provenienza; spacciandoli per carni piemontesi e salumi artigianali nei loro menu fissi o menu turistici e spesso anche in carta, confidando sempre nel vecchio concetto, duro a morire, che il cliente non capisce nulla.

Penso che sia il momento per tutti gli operatori del settore di farsi una analisi di coscienza, anche se tardiva, e anziché manifestare davanti a McDonald a Expo per ritagliarsi qualche apparizione sui giornali e in tv (McDonald poi ha dato vita ad una serrata pubblicità a favore del prodotto tipico italiano usato nei loro panini e ha zittito tutti), sarebbe bello che quegli stessi chef e ristoratori si facessero portavoce del made in Italy enogastronomico, con corsi di formazione interni al personale, degustazioni mirate ai clienti, promoter di turismo enogastronomico, aiutare i produttori ad entrare nel mercato etc.

Purtroppo questo non accade, o se qualcuno lo fa, lo fa spesso in maniera confusionaria senza creare rete o per trarne un profitto e un utile suo, ricordate le parrocchie di alcuni miei vecchi articoli? Però poi siamo tutti pronti a criticare i governi, i ministri etc. perché non invitano tutti ai forum, perché difendono solo le grandi aziende e via discorrendo.

Allora mi vengono in mente cari amici le “vecchie” ma sempre attuali parole di J.F.Kennedy (da me modificate): non chiediamo ai governi cosa possono fare per l’enogastronomia ma cosa noi possiamo fare per il nostro patrimonio enogastronomico. Expo 2015 poteva essere una occasione seria, sei mesi dove tutti i ristoratori italiani nel mondo cucinavano cibo italiano vero; si è preferita una sfilata. Salute.

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Alberto Lupini


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