Corretta alimentazione e fake news Troppi rischi, urge una soluzione efficace

Siamo sempre più informati perché abbiamo a disposizione più fonti di ieri, e più velocemente? Se ne può dubitare, visto il bombardamento di fake news che dobbiamo subire tutti, e tutti i giorni

29 maggio 2018 | 10:24
di Guido Gabaldi
Il tema è stato affrontato da Yakult, azienda giapponese produttrice della omonima bevanda a base di fermenti lattici vivi, che intende far crescere una cultura scientifica, in tema di alimentazione, a prova di “fake”. Yakult ha promosso e sponsorizzato l’incontro fra esperti del settore, giornalisti e blogger, dal titolo “Alimentazione e corretta informazione”, tenutosi il 23 maggio a Milano, Casa Lago, vicino alla centralissima via Dante. La biologa nutrizionista Carla Favaro, docente presso l’università di Milano Bicocca, ha parlato della possibilità di individuare dei criteri antibufale, in grado di proteggere i non esperti dalla diffusione di notizie infondate.



«Si ha l’impressione - ha dichiarato Favaro - che le sparate antiscientifiche si trovino ormai in qualsiasi contesto mediatico, nessuno escluso. Anzi, spesso un canale fa da eco all’altro, e così le falsità si irrobustiscono rimbalzando dal cartaceo alla televisione, per non parlare dei social network. E finché leggiamo o sentiamo che un quadratino di cioccolato al giorno allunga la vita possiamo anche stare tranquilli: è una sciocchezza, ma con quelle quantità danni seri non se ne fanno. Il problema è quando si esagera, e purtroppo accade spesso: una bufala come quella che ho letto da poco, sui miracoli legati al consumo quotidiano di una singola mela (si abbassa il colesterolo Ldl del 40%!), può essere seriamente pericolosa».

Tra i presenti, qualcuno ha fatto notare che il pericolo può venire dalle pure invenzioni, qualche volta dalle distorsioni informative, ma c’è anche una terza ipotesi: la mala fede. Ossia la notizia consapevolmente manipolata al solo scopo di attirare il lettore: 10mila click in più generano introiti pubblicitari, e allora perché non provarci?

«Fermo restando - ha aggiunto la dottoressa - che è la natura stessa della nutrizione, scienza giovane e in rapida evoluzione, a porre il problema. Esiste, tuttavia, qualche criterio valido per tutti, che può servire a orientarsi in questa giungla piena di insidie. Mi sembrano particolarmente utili le linee guida elaborate dalla Harvard School of Public Health in collaborazione con la Ific Foundation, per sintetizzare le principali domande da porsi di fronte a un “fatto” (fattoide?) alimentare. E quindi:
  • Le informazioni comunicate migliorano la comprensione del pubblico in materia di salute e regime alimentare?
  • I risultati della ricerca sono stati inseriti nel relativo contesto?
  • La ricerca o i suoi risultati sono stati sottoposti a verifica?
  • Sono stati evidenziati i punti essenziali della ricerca?
  • Sono disponibili tutte le necessarie informazioni sui finanziamenti della ricerca?
  • Già una scrematura di tal genere può consentire un primo orientamento, aiutando il lettore a partire da una base di sano scetticismo rispetto a tutte le novità scientifiche “gridate”; ed abituandolo, inoltre, alla fatica di individuare con precisione le fonti della notizia, e di soppesare la loro affidabilità».



Più difficile farlo oggi, rispetto a ieri, è stato sottolineato in sala: la solitudine del giornalista, non più inserito in un contesto redazionale, sottopagato e costretto a tempi di lavoro da catena di montaggio, è un fattore di rischio che si aggiunge agli altri.

«Ma è un fatto che i rischi odierni siano particolarmente alti perché trovano terreno fertile in qualcosa - precisa il secondo relatore, Giorgio Donegani, membro del Comitato scientifico di Italia a Tavola, tecnologo alimentare ed ex-presidente di Food Education Italy - e quel qualcosa è il bisogno universale di certezze che siano semplici, rassicuranti e affascinanti. Anch’io voglio citare il mio caso esemplare di fake news, quello ben riassunto nel titolo “Lo yogurt fa bene o fa male? Ecco tutta la verità”. Ma se l’incipit, di per sé, strappa un sorriso di degnazione, la struttura dell’articolo fa invece venire i brividi, quando si elencano senza un minimo di vergogna le seguenti verità: lo yogurt non fa perdere peso (e chi ha mai detto il contrario?); non ha impatto sulla qualità della vita (idem come sopra); non ha un contenuto significativo di calcio; intensifica la produzione di muco».

«Come siamo giunti a un simile livello di pressappochismo? - si chiede Donegani - basta soffermarsi un attimo sulla storia di internet per comprendere l’evoluzione del rischio-notizia, e forse per capire dove stiamo andando: siamo partiti dal web 1.0, quello dell’informazione trasmessa da uno a molti, più che altro tramite i website. Il secondo stadio è stato quello del web 2.0, uno a uno, in cui l’informazione si condivideva e discuteva. Il web 3.0, molti a molti, è quello attuale, il regno dell’informazione che si crea e si autogiustifica a prescindere dai fatti, il mondo dei cluster di utenti e di valori chiusi e impermeabili l’uno all’altro, che servono a darsi un’identità tribale e, naturalmente, a far guadagnare i più furbi».

Una via d’uscita potrebbe essere, come proposto all’uditorio dallo stesso Donegani, tornare a investire sulla formazione scientifica, creare nuovi ponti fra consumatori e scienziati, insistere sul ruolo essenziale dell’educazione scolastica, anche in campo alimentare. Per far questo non bastano le parole, serve anche tanta lungimiranza da parte del mondo imprenditoriale e istituzionale; occorre tempo, convinzione, capacità d’investire. Ci auguriamo perciò che l’esempio di Yakult, che ha scelto di mettere a disposizione spazi e risorse per promuovere una corretta informazione sui temi alimentari, sia seguito da molti altri.

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Alberto Lupini


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