La Mantia, a due anni da #NoTripAdvisor giudica «infamità» le false recensioni

06 marzo 2017 | 15:45
TripAdvisor manda su tutte le furie (ancora una volta) il cuoco siciliano Filippo La Mantia. Sì diciamo “ancora una volta” perché due anni fa aveva già manifestato tutta la sua disapprovazione nei confronti del Gufo aderendo alla campagna di Italia a Tavola #NoTripAdvisor.

Questa volta, per ribadire il concetto, non si è affidato all’hashtag ma ad un “infamità” scritto sui suoi profili social per commentare un post lasciato sul portale dall’utente fervik, già autore di ben 332 recensioni: «Locale molto carino - recita - ma con troppa polvere dappertutto, brutto impatto con la pavimentazione di moquette pure datata che non giova ad un ristorante e tanto meno allo chef Filippo La Mantia».


Filippo La Mantia

Sembrerebbe una recensione dettagliata ed equilibrata pur nella sua negatività, ma c’è un “ma”. Nel ristorante di La Mantia, Oste & Cuoco, la moquette - quella moquette - non solo non è datata, ma non c’è proprio. «Avevo deciso tempo addietro di “fregarmene” delle FALSE RECENSIONI - scrive il cuoco - ma questa merita. E pubblicamente, chiunque Lei sia, le scrivo INFAME. Non ho moquette. E tutto il resto è al limite della fantascienza».

Ma l’utente fervik non si limita ad un commento sull’arredo perché poi aggiunge: «Vino compreso nel buffet indecente e pessimo per uno chef stellato che rappresenta il ristorante. Lista vini troppo cara». E ancora: «Cibo pesantissimo con digestione superiore alle 48 ore, per questo motivo non ci ritornerò».

«Non sono contrario alle critiche che devono essere costruttive - aveva detto quando lo intervistammo al momento dell’adesione a #NoTripAdvisor - non mi permetterei mai di essere così presuntuoso da non riconoscere che a volte possiamo sbagliare. Noi cuochi non siamo delle macchine perfette che producono alimenti già pronti. Ogni sera noi stiamo in cucina e prepariamo i piatti: dopodiché ci saranno persone a cui piaceranno e altre a cui non piaceranno. E poi ci sono quelli come me che scelgono di stare in sala a captare l’umore dei clienti ed è uno sforzo non indifferente. Per questo odio in modo totale - e credo che valga anche per i miei colleghi - le infamità».

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Alberto Lupini


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