Il pane tra ieri e oggi Tecniche e tendenze dell’arte bianca

Le tecniche con cui si produce il pane sono lo specchio dei tempi e della società. Gli ingredienti e le tecniche di lavorazione ci dicono tutto sulle abitudini alimentari e di vita e indicano come l’uomo vede il cibo e sé stesso a seconda delle tendenze e dei fenomeni sociali del momento, tra “moda” e salutismo

18 novembre 2017 | 09:20
di Giovanni Romito
Con Massimo Maiorano, esperto maestro panettiere da oltre 40 anni, titolare de La Forneria in via Giorgio de Grassi a Napoli, attento alle tradizioni e alla ricerca costante di innovazioni nel settore dell’arte bianca, abbiamo ripercorso l’evoluzione della produzione del pane negli ultimi 40 anni: da come si è raccolta l’eredità delle grandi produzioni del dopoguerra a come si è giunti agli attuali stili di produrre e consumare il pane nelle famiglie italiane.



La domanda forse è troppo ampia, ma vogliamo iniziare d’impatto: cosa è cambiato da ieri ad oggi, nel produrre il pane?
La prima considerazione da fare è di natura meccanica. Un tempo l’impasto era lavorato a mano e quindi subiva una minore ossigenazione. Questo dava luogo a pani più compatti, con minori “occhiellature” rispetto a i pani impastati meccanicamente. Forse questo è un aspetto positivo che caratterizza il pane di oggi rispetto a quello di una volta.

Per quanto riguarda invece la composizione degli ingredienti?
Il pane ha visto modificarsi nel corso dei decenni la composizione del proprio ingrediente principale: la farina. Oggi mangiamo farina bianca e la consideriamo la farina normale, quella che diamo per scontato, per intenderci. Tuttavia nessun consumatore sa che la farina bianca non è la farina perfetta e per certi aspetti è la peggiore. Basti pensare che un tempo, prima dell’introduzione delle tecniche di separazione del chicco dall’involucro esterno, si consumava solo ed esclusivamente farina di colore giallastro, farina “integrale” diremmo oggi. I mulini moderni sono capaci di separare il chicco dall’involucro, la cosiddetta crusca, prima vittima della raffinazione delle farine. Il risultato è che oggi del grano, utilizzando per lo più farina bianca, consumiamo solo la parte amidacea, con conseguenze importanti sulla dieta e sull’alimentazione.

Rispetto alle strutture e agli utensili, come è cambiata la situazione?
La prima considerazione riguarda i forni. Un tempo erano tutti di forma circolare, mentre oggi, per questioni logistiche, i forni sono quadrati. La forma rotonda dei forni garantiva assenza di tiraggi e correnti all’interno della camera. Oggi questa necessità è stata sopperita dall’elettronica e dunque dalla possibilità di termoregolare i forni e stabilire le temperature costanti in ogni periodo dell’anno. Basti pensare che un tempo fare il pane in determinati giorni troppo caldi e umidi o troppo piovosi era un grande azzardo e spesso si potevano perdere per alterazione intere notti di lavoro. Forse per questo, un tempo si aveva la buona abitudine, oggi persa, di segnare con una croce tutti i pezzi di pane, in segno di riconoscenza per la buona riuscita della produzione. Anche i frigoriferi oggi offrono la possibilità di regolare la lievitazione per evitare brutte sorprese al risveglio. Un tempo i fornai andavano a letto con la paura che i panetti crescessero male. Oggi è facile, forse troppo comodo, ottenere un buon pane, e questo ci sta facendo perdere l’importanza e la percezione della bellezza di un dono così bello.


Massimo Maiorano

Come sono cambiate le abitudini dei consumatori?
La prima considerazione da fare riguarda la pezzatura del pane, strettamente connaturata alla qualità dello stesso. Mi spiego: un tempo il pane aveva una minore percentuale di amido, proprio perché non veniva eliminata la crusca. Questo dilazionava la depauperazione del prodotto consentendo una più lunga conservazione del pane e dunque la vendita di pezzature di grandi dimensioni. Basti pensare che fino a 50 anni fa le famiglie compravano 4 chili di pane in un solo acquisto. Oggi che la farina è bianca e l’amido è preponderante, la vita media del pane si è accorciata tantissimo in quanto l’amido interagisce con l’acqua. Questo, unito anche alla riduzione dei nuclei familiari, porta all’acquisto di pezzature di minori dimensioni, con conseguenze sul costo del packaging e ovviamente dei trasporti. Un tempo il pane si conservava negli armadi avvolto nelle coperte, proprio per evitare che l’amido entrasse a contatto con l’acqua contenuta naturalmente nell’aria. Oggi il pane si conserva in luoghi momentanei e spesso, già in serata, non può più essere consumato.

Il carattere simbolico che oggi riveste il pane è radicalmente cambiato?
Che significa oggi il pane per l’uomo? Come dicevo prima oggi il pane è meno buono per certi aspetti, ma ovviamente più facile da ottenere, come tutte le cose della vita ormai. A portata di mano ma meno saporito. In questo senso sono molto contento dei giovani fornai che stanno recuperando le farine gialle ricche di crusca e le farine originarie del nostro Stivale, spesso abbandonate per dar luogo alle produzioni industriali.

E per te oggi il pane cosa significa?
Quando ero piccolo, nel quartiere napoletano di Pianura, dove risiedo e lavoro, vi era un celebre venditore di farina, detto in dialetto “Gino e’ Paolo”. Il pane si lavorava con le mani e si lasciava riposare in tavole di legno. Oggi quel produttore è cresciuto e si chiama Mepa, un punto di riferimento in Campania per le farine. Insieme stiamo cercando di innovare e tenere alta allo stesso tempo la bandiera della tradizione.

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Alberto Lupini


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